Edwin e gli altri “barboni”: ognuno di noi può fare qualcosa

Vegliamo su di loro

 Vegliamo su di loro  QUO-021
27 gennaio 2021

Un’altra mano tesa, un altro focolare per tenere in caldo il sogno di ricominciare. È stato aperto ieri a Roma, nella chiesa di Santa Croce alla Lungara, un altro rifugio per senza fissa dimora. Quindici posti letto con comodini e separé (per mantenere l’opportuno distanziamento sanitario in epoca covid). Ossigeno puro per chi in queste ore, nella Capitale, lotta con temperature che nella notte precipitano fino a sotto lo zero, sotto i cartoni o con una sola coperta come riparo. Lottava anche Edwin, il nigeriano con passaporto austriaco, morto a 46 anni il 20 gennaio sotto il colonnato di piazza San Pietro. Non ne è uscito vivo. Era un tipo riservato, non parlava molto. Probabilmente la sua è una storia di mancata integrazione. Ma è, letteralmente, una vita persa. Perché non è vero che chi sceglie la strada compie una scelta definitiva. Il percorso può cambiare. Lo sottolinea con forza e lo ribadisce più volte Filippo Sbrana, docente universitario, volontario presso la Comunità di Sant’Egidio, dove è responsabile del progetto «Housingfirst». «Si deve sapere: si possono strappare le persone alla strada. Quasi sempre. Naturalmente ogni persona ha un percorso differente. C’è chi è vittima della recente crisi economica e dunque ha più facilità a riprendere la strada, se aiutato. Altri hanno una storia di strada più lunga, bisogna prima guadagnarsi la loro fiducia. Ma, ripeto, la grande maggioranza di queste persone riescono a ripartire».

L’obiettivo primario delle attività della Sant’Egidio dedicate ai senza fissa dimora è quello di restituirgli, appunto, una dimora. Meglio, una casa. È insieme una meta e un inizio, come è facilmente comprensibile: la comunità ha dunque avviato il progetto «Housingfirst» in collaborazione con l’azienda statunitense Cisco, che si è dimostrata particolarmente sensibile al tema. Attualmente sono 20 gli appartamenti in tutta Roma dove si sperimenta il co-housing, in altri termini la convivenza fra persone che vengono dalla stessa esperienza. In totale sono ospitati un settantina di esseri umani strappati dal freddo e dai pericoli della strada. Non si tratta naturalmente solo di quattro mura: la casa è sempre qualcosa di più. «Tendiamo a far recuperare a queste persone anche e soprattutto i loro diritti. Molti non hanno neanche più i documenti, quindi hanno perso la cittadinanza. Li aiutiamo ad accedere agli uffici pubblici, a fare richiesta per i sussidi economici, come il reddito di cittadinanza, li andiamo a trovare una volta a settimana, per verificare come sta andando».

La vicenda di Edwin, grazie alle parole di Papa Francesco, ha commosso il grande pubblico. Ma gli operatori della Sant’Egidio di storie analoghe ne conoscono molte e sanno bene come talvolta basti poco: un gesto, un sorriso, una parola, una bevanda calda per far sì che un’esistenza prenda una direzione piuttosto che un’altra. «Tutti quanti possono fare qualcosa — spiega Sbrana — non solo le associazioni, il volontariato strutturato. Ognuno di noi può essere una sentinella per osservare e dare una prima risposta. Le parole del Papa sono una domanda per ciascuno di noi. L'auspicio è che la nostra città faccia qualcosa». Nei giorni scorsi lo stesso presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, ha lanciato un appello affinché nella Capitale siano realizzati con urgenza i piani per l’inverno: «In questi giorni il Tevere ha travolto le banchine — ha detto Impagliazzo — tantissime persone vivono lungo il greto del fiume, dove finiscono queste persone?». Da qui anche un appello al Prefetto di Roma, «perché nel più rapido tempo possibile possa aiutare il Comune e la Regione per trovare immobili di pronta agibilità per i senza fissa dimora. Sappiamo che ci sono caserme in buone condizioni, tanti hotel chiusi per mancanza di turismo. Serve una cabina di regia guidata dalla prefettura anche per le procedure di accesso per le quarantene fiduciarie prima di entrare in questi luoghi o negli alberghi covid».

L'esperienza del volontariato, in particolare di quello cattolico, non è nuova: a Roma Sant’Egidio accoglie attualmente oltre 300 persone. Sono aperti tutto l’anno Palazzo Migliori di fronte al colonnato di San Pietro, realizzato in collaborazione con l’Elemosineria apostolica, e la Villetta della Misericordia presso l’Ospedale Gemelli. Nei mesi più freddi vengono aperte diverse accoglienze, che permettono di trascorrere la notte in un luogo caldo e comodo, nel rispetto delle norme sanitarie dovute alla pandemia. Una di queste è la Chiesa di San Callisto a Trastevere, attiva ormai da diversi anni: della trentina di persone che vi sono state accolte, nessuna è tornata in strada. Proprio in questi giorni, oltre a quella già citata nella chiesa di Santa Croce alla Lungara, si sta aprendo un’altra struttura, nella zona di Cinecittà, mentre sono in corso anche collaborazioni con alcuni alberghi per offrire una stanza con tariffe ridotta: in un tempo di crisi economica questo permette anche alle strutture alberghiere di continuare l’attività ricettiva e pagare gli stipendi al personale. Ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, la dimostrazione che fare del bene aiuta tutti, anche economicamente.

di Marco Bellizi


Storie di rinascita


Sergio

«Ho superato i 70 da un po’ — racconta questo ex ospite di Sant’Egidio — e ho la battuta pronta, alla livornese! La mia è stata una vita normalissima: per tanti anni ho lavorato come tecnico e caposquadra in raffineria, in particolare nei Paesi arabi. Nel 1998 persi mia madre e rimasi solo. Questo mi provocò un tracollo in tutti i sensi, lasciai perdere tutto e iniziai a girare come un “randagio”. Nel 1999 durante questo mio girovagare arrivai a Roma, dove ebbi la fortuna di conoscere alcune persone della Comunità di Sant’Egidio, che mi hanno aiutato in ogni modo, senza farmelo pesare: mi hanno dato da mangiare e da vestire, ma soprattutto ho ricominciato a parlare, ho trovato amici che mi hanno ascoltato e abbracciato, cose che non mi accadevano più da tanto tempo, mi sono improvvisamente sentito ancora una persona “normale”, come tutti gli altri... Venni accolto a braccia aperte nel rifugio che la Comunità apre ogni inverno vicino a Santa Maria in Trastevere. Qui mi resi conto che dovevo mettere a posto qualcosina nella mia vita: prima di tutto i documenti anagrafici, con il cambio di residenza a Roma, e le pratiche per la pensione. Con l’Inps fu una battaglia durissima, ma alla fine la spuntai e facemmo una grande festa alla mensa di via Dandolo. Così sono riuscito ad affittarmi una cameretta che mi ha permesso di fare una bella vita da pensionato... Per questo sono molto orgoglioso di fare oggi per la Comunità un piccolo servizio di volontariato: dapprima mi fermavo a sistemare la mensa dopo la chiusura e distribuivo pasti caldi e coperte alla stazione Termini, poi ho chiesto di aiutare tutti i martedì in un centro di aiuto a Trastevere dove la porta è sempre aperta per chi non ce la fa: mamme con bambini piccoli, famiglie bisognose, anziani che si mettono in fila per qualche genere alimentare o indumento. Quando vedo quei bambini così piccini mi commuovo sempre, perché la mia mamma faceva tanti sacrifici, ma non mi faceva mancare nulla. Il momento più bello dell’anno è il Pranzo di Natale a Santa Maria in Trastevere, un pezzo di paradiso. Lì i primi anni ero seduto a tavola tra gli “invitati”. Poi ho iniziato a stare tra i “volontari” a servire il pranzo o a incartare i regali. C’è differenza? Non credo, perché noi di Sant’Egidio diciamo che chi aiuta si confonde con chi è aiutato».

Giuliano

La crisi economica seguita alla pandemia ha colpito duramente anche il ceto medio. È la storia di Giuliano, che sin da giovane lavora nel settore ricettivo. Gran lavoratore, non temeva orari lunghi e turni molto impegnativi. Il covid ha chiuso in poco tempo tutte le porte. Non solo la sua attività, ma anche quelle dove aveva lavorato in passato, alberghi, ristoranti, catering: a seguito del coronavirus non c’erano più opportunità. I rapporti con la famiglia di origine non erano dei migliori e dopo qualche mese Giuliano si è trovato a vivere in un giardinetto al centro di Roma. Si era messo in contatto con la Comunità di Sant’Egidio subito dopo il lockdown ed è tornato a farsi vivo una volta finito in strada. Le sue condizioni fisiche erano peggiorate e soprattutto stava perdendo la fiducia in sé. La proposta di un alloggio è stata accolta con grande entusiasmo. In poco tempo Giuliano ha lasciato la strada, evitando tutti i rischi connessi ad un inverno trascorso all’addiaccio. Oggi ci sono le basi per costruire un futuro diverso.