Tre illustri autrici della letteratura patristica: Vibia Perpetua, Proba Petronia e una monaca ispanica

Come mosche bianche

Affresco raffigurante Vibia Perpetua
27 gennaio 2021

È quasi superfluo ricordare quanta importanza e dignità abbia conferito il cristianesimo alla donna. La grandezza femminile nella Scrittura, specie nel Nuovo Testamento, è davanti a tutti. Si pensi in primo luogo a Maria di Nazaret, o alla Maddalena, prima annunciatrice del Risorto, o a Maria di Betania, la pioniera della vita contemplativa abbracciata nei millenni da milioni di persone, uomini all’inizio ma presto anche donne (si veda la Regula ad virgines di Cesario di Arles). E la rivoluzione cristiana sul valore ascritto al genere femminile, uguagliato per la prima volta a quello maschile, passa coerentemente dalla Bibbia alla storia veterocristiana. Pure qui gli esempi non difettano. Si vedano le tante martiri anonime o divenute celebri, come la schiava Blandina caduta nell’arena di Lione durante la strage di cristiani del 177, o l’ispanica Eulalia, decapitata ragazzina sotto Diocleziano dopo essersi consegnata sua sponte ai persecutori, cantata con fervore ed emozione da Prudenzio e primo esempio dell’eroismo spirituale che la Chiesa riconoscerà sempre ai giovanissimi. E che dire di Monica, madre del massimo genio cristiano, Agostino, e fruitrice con lui dell’Estasi di Ostia, episodio memorabile nella storia della spiritualità? O di Galla Placidia, nipote-figlia-moglie di imperatori, fervente cristiana e donna politica vocata a coniugare nel ferreo v secolo potere e valori evangelici?

A fronte di questa pervasiva e fulgida presenza della donna nei testi e nei tempi cristianoantichi, non si può negare sorprenda lo scarso numero di autrici della letteratura patristica. D’altronde la donna antica era lungi dall’essere posta in toto al livello socioculturale dell’uomo; scrittura e scuola, ad esempio, salvo eccezioni tipo Ipazia, erano in mano maschile. Ma proprio perché mosche bianche, queste scrittrici meritano di essere riscoperte. Anche perché ognuna di loro — tre in tutto, almeno nella patristica latinoccidentale — ha i suoi meriti e un suo specifico. Vediamo chi sono.

La più antica è Vibia Perpetua, matrona cartaginese martirizzata nel 180, sotto Commodo, e protagonista della Passio intitolata a lei e alla serva Felicita, un testo così di tale bellezza e spessore sul piano spirituale e letterario da essere attribuito da alcuni a Tertulliano. I capitoli 3-10 di questo capolavoro della letteratura martiriale sono stati invece scritti manu sua, come reca il testo, proprio da Perpetua, per essere poi custoditi devotamente dalla Chiesa africana e letti nelle liturgie insieme alla Scrittura, come accadeva d’altronde pure ad altre cronache di martirio, trattate come lectio divina. Il commovente diario di prigionia di Vibia, che attende il processo e quella che sarà la condanna ad bestias nell’anfiteatro di Cartagine (giunto a noi), brilla per intensità emotiva e spirituale. È una grande testimonianza di fede, ma anche una pagina vissuta e coinvolgente.

La cronologia ci porta poi a Proba Petronia, patrizia romana del iv secolo, donna di ricca e raffinata cultura. Proba è poetessa e ci ha lasciato il più riuscito Cento virgiliano (genere di moda allora), composto da 694 esametri. Tutti di Virgilio, tratti dall’Eneide e dai due poemetti. L’autrice si rivela padronissima del maggior poeta latino nonché dotata di perizia letteraria e di buon gusto, nel suo cristianizzare la poesia romana “riscrivendo” con i versi virgiliani alcuni episodi centrali del Vecchio (versi 1-332) e del Nuovo Testamento (versi 333-694). Di Proba e del suo Centone parla Paolino di Nola e, non benissimo, il difficile (a volte) Girolamo, nell’Epistola 53. Ma neanche lui può negare l’acribia, l’erudizione, la pazienza e il gran mestiere dell’unica verseggiatrice cristiana antica.

Se vivessimo prima del 1884 quest’articolo finirebbe qui. Quell’anno fu scoperto ad Arezzo il codice col testo dell’Itinerarium Egeriae (o Aetheriae) in Terra Santa. È la madre di tutte le guide turistiche, specie ai santuari di Palestina, e fu scritto nel iv - v secolo da una monaca ispanica, o forse una ricca signora. Rimane solo la parte centrale, su Gerusalemme e dintorni. Quella di Egeria, intitolata pure Peregrinatio ad loca santa, è una lunga lettera, alle consorelle o a parenti e amiche, dove l’autrice scrive in un latino ormai corrotto ma vivo, curiosa non solo di siti, scavi e monumenti legati alla storia sacra, ma pure dei costumi locali, della gente e parecchio dei riti celebrati lungo l’anno liturgico. È un’opera dunque varia, storicamente importante, e la scrittrice cristiana chiude con essa l’antichità e apre il medioevo, nel segno della cultura, dei viaggi, della devozione. E della femminilità.

di Mario Spinelli