Janusz Korczack e i suoi orfani nell’inferno di Treblinka

Piccole orme indelebili

Particolare da una tavola tratta da «L’ultimo viaggio»
26 gennaio 2021

Sulla copertina, a capo del corteo di bambini, c’è un uomo. È l’ebreo polacco Janusz Korczack: medico, pedagogista, scrittore e ispiratore della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza datata 1989. A lui è dedicato lo splendido albo illustrato riedito da Orecchio Acerbo nella collana economica. Il volume s’intitola L’ultimo viaggio. I bambini del dottor Korczak (Roma, 2020, pagine 64, euro 13, traduzione di Paolo Cesari) ed è consigliato ai lettori dagli 8 anni in su e pure a chi «vuole che la memoria non sia solo un rito» e «ama il “proletariato dei piccoli piedi”». Scritto da Irène Cohen-Janca e corredato dai disegni di Maurizio A. C. Quarello, non a caso racconta — attraverso gli occhi dell’adolescente Szymek — gli ultimi attimi di Korczak e degli ospiti della Casa degli orfani di Varsavia, struttura che, a partire dal 1911, è dallo stesso dottore costituita e diretta all’insegna dell’amore, della verità, della giustizia e del rispetto dell’infanzia.

Con l’arrivo del nazismo, questi giovanissimi ebrei sono costretti ad abbandonare la Casa e a dire addio alla propria quotidianità, che, nonostante tutto, soleva trascorrere serena, grazie alle fiabe, al teatro, ai libri e ai racconti del dottore.

Il 20 novembre del 1940 gli orfani, su ordine degli occupanti tedeschi, s’incamminano — ecco il corteo — verso il ghetto della città, prigione a cielo aperto, da cui Korczak mai li abbandona. Non lo fa quando «sulle sue gambe affaticate batte le strade e chiede denaro e cibo per noi, i suoi orfani», nei momenti in cui esorta i ragazzi a «rimanere come un’isola in mezzo all’oceano scatenato» e «a vegliare sul proprio castello interiore» o a «tenere un diario personale». E non ci pensa nemmeno alla fine, quando la morte è vicina e la destinazione definitiva del viaggio s’identifica nel lager di Treblinka. Delicato e commovente, questo libro narra, dunque, un importante spaccato di storia, fatto di resistenza e solidarietà. Si tratta di fatti da non dimenticare, insieme a un’esperienza educativa — la Repubblica dei bambini — che i maestri della contemporaneità dovrebbero tenere a mente per il coraggio che vi è intrinseco o perlomeno «per non lasciare il mondo così come è» («Lui dice che i bambini sono dei poeti e dei filosofi» e che «anche i più poveri sono persone importanti e […] meritano tutta questa bellezza»). Oltretutto, nelle pagine di Irène Cohen-Janca e Maurizio A.C. Quarello emerge la profonda vicenda di chi è padre — padre putativo sì, che diventa tale nell’atto di prendersi cura dei bambini, ormai suoi figli.

Le metafore e le similitudini — presenti nel testo e nelle illustrazioni — sono inoltre gli elementi che più impreziosiscono il racconto. Tra tutte, c’è il bel paragone del dottor Korczak con «un vecchio albero sul quale i bambini si posano come gli uccelli», che inevitabilmente richiama il ruolo genitoriale, di una madre, di un padre o, volendo, di un docente: ogni bambino dovrebbe avere una casa, «quel posto — scriveva Robert Frost — dove, quando ci andate, vi accolgono sempre» e, ancora, poter chiedere aiuto senza paura, contare su un adulto. Poi non manca l’immagine di una gabbia aperta, al cui interno non c’è più niente e più nessuno: quegli uccelli, dapprima poggiati sul vecchio albero, sono saliti sul treno e, davvero, sono tornati a volare.

A caratterizzare, infine, L’ultimo viaggio sono le orme lasciate dai bambini e dal loro mentore. Orme che vengono evocate dalle parole — con la descrizione del citato corteo che attraversa la narrazione e conduce i protagonisti «dall’altra parte» — e dai disegni, tramite cui le orme, appunto, vengono messe nero su bianco. Orme che non possono essere cancellate nella storia della Shoah e persino in quella della pedagogia. I bambini e il dottor Korczak le hanno incise in modo indelebile nel libro e nel mondo.

di Enrica Riera