Una fraternità
che si fa popolo

 Una fraternità che si fa popolo  QUO-019
25 gennaio 2021

Sul numero 4/2020 de «La Società», rivista scientifica di dottrina sociale della Chiesa, è apparso l’articolo «Fratelli tutti una sfida per la Dottrina sociale della Chiesa» del quale riportiamo qui di seguito la parte riguardante il tema del “popolo” nel magistero di Papa Francesco e, in particolare, nella riflessione dell’enciclica.

«La fraternità è una dimensione essenziale dell’uomo il quale è un essere relazionale. La viva consapevolezza di questa relazionalità ci porta a vedere e trattare ogni persona come una vera sorella e un vero fratello; senza di essa diventa impossibile la costruzione di una società giusta, di una pace solida e duratura» (Francesco, Messaggio per la celebrazione della xlvii giornata mondiale della pace, 1° gennaio 2014). La convivenza politica nel magistero di Francesco si fonda sulla fraternità e non sull’essere soci. La socialità difatti, è una forma contrattuale di relazione. Il cui punto di partenza è ancora l’antropologia rivale e conflittuale di T. Hobbes dove il contratto rappresenta l’elemento che neutralizza il conflitto sempre latente. Cosa succede quando si firma un contratto? Certo, si diventa soci. Ma il contratto esprime non il luogo dell’amicizia o della fraternità (come potrebbe essere altrimenti?) ma il luogo della neutralizzazione del conflitto.

Lo stesso avviene nel mercato. Il mercato ha bisogno di individui uguali, o meglio “indifferenti” (cfr., L. Goldmann, L’illuminismo e la società moderna, Torino, Einaudi, 1967, 36-37; A.L. New-man, E. Posner, International interdependence and regulatory power: Authority, mobility, and markets, in «European Journal of International relations» 17 [4] 600-602). Per accedere al mercato è necessario rimuovere ogni forma di asimmetria e diversità. Al mercato non importa se sei nero o bianco, uomo o donna, schiavo o libero, cristiano, ebreo o musulmano. Il mercato stabilisce il principio dell’eguaglianza legale perché per funzionare ha bisogno di uguali. La libertà esigita dal mercato è una libertà formale, indifferente quanto ai veri rapporti tra esseri umani ma universale e di libero accesso quanto ai prodotti e ai beni che “stanno di fronte” come la mercanzia sugli scaffali del supermercato. «L’individualismo non ci rende più liberi, più uguali, più fratelli. La mera somma degli interessi individuali non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità. Neppure può preservarci da tanti mali che diventano sempre più globali. Ma l’individualismo radicale è il virus più difficile da sconfiggere» (Fratelli tutti 105).

La critica all’indifferenza formale realizzata dal neocontrattualismo e dal neoliberismo del mercato, è uno dei maggiori contributi di Papa Francesco. L’elemento di novità del suo magistero sociale sta nella centralità e ri-significazione della “relazione” che sposta e posiziona l’idea di “bene comune” dal campo della legalità a quello dell’equità e quindi della giustizia. Dal campo della socialità formale in quanto sottoscrittori di un contratto a quello delle relazioni di prossimità e dell’amicizia sociale. La debolezza e irrilevanza della “fraternité” (rispetto alla liberté ed égalité) nel motto della Rivoluzione francese e nell’architettura politica europea, appare essere proprio questo. Una fraternità che non si fa popolo in vista del bene comune diventa una socialità puramente formale. «Neppure l’uguaglianza si ottiene definendo in astratto che “tutti gli esseri umani sono uguali”, bensì è il risultato della coltivazione consapevole e pedagogica della fraternità. Coloro che sono capaci solamente di essere soci creano mondi chiusi» (Ft 104). La debolezza politica dell’Europa di questi ultimi anni lo conferma ampiamente.

Essere popolo è altra cosa. Francesco scrive che «popolo non è una categoria logica, né una categoria mistica», ma mitica. «La parola popolo ha qualcosa di più che non può essere spiegato in maniera logica. Essere parte del popolo è far parte di un’identità comune fatta di legami sociali e culturali. E questa non è una cosa automatica, anzi: è un processo lento, difficile... verso un progetto comune» (Ft 158). Nell’intervista rilasciata ad A. Spadaro, Papa Francesco afferma: «L’immagine della Chiesa che mi piace è quella del santo popolo fedele di Dio. È la definizione che uso spesso, ed è poi quella della Lumen gentium al numero 12» (Francesco, Intervista di A. Spadaro, in «La Civiltà Cattolica» iii [2013] 459). È il popolo che, nonostante le sue miserie e i suoi peccati, è autenticamente umano e, nonostante tutta la sua bassezza, è ricco di contenuti e sano, perché affonda le sue radici nella struttura essenziale dell’essere. Dal punto di vista antropologico questa concezione di popolo va oltre le relazioni astratte e parziali della letteratura contemporanea. Si differenzia tanto dalle analisi marxiste quanto dalle posizioni liberali. Si distingue anche dall’espressione “massa”, perché suppone un soggetto collettivo in grado di generare processi storici.

Già quando era arcivescovo di Buenos Aires, egli spiegava che «si può nominare il popolo soltanto se ci si impegna, se si partecipa. Più che una parola, è una chiamata, una con-vocazione a uscire da sé» (cfr. M.J. Bergoglio, Noi come cittadini. Noi come popolo, Jaca Book, Milano, 2013; D. Fares, Papa Francesco è come un bambù, Ancora, Milano, 2014; D. Fares, L’antropologia politica di Papa Francesco, in «La Civiltà Cattolica» 3928 [2014] 345-360). Sulla stessa linea il Compendio di Dottrina sociale della Chiesa quando scrive: «Ciò che caratterizza in primo luogo un popolo è la condivisione di vita e di valori, che è fonte di comunione a livello spirituale e morale» ( cdsc 386). Perché «la convivenza umana deve essere considerata anzitutto come un fatto spirituale» (cfr., Giovanni xxiii , Pacem in terris). La forza di questo paradigma sta nella sua capacità di individuare una radice comune a fenomeni diversi che, presi separatamente, non possono essere realmente compresi (cfr., G. Costa, P. Foglizzo, L’ecologia integrale, in «Aggiornamenti sociali» 8-9 [2015] 541-548). In questo modo «un’ecologia integrale è inseparabile dalla nozione di bene comune, un principio centrale e unificante dell’etica sociale» (Laudato si’ 156). Come si può intuire l’accento non cade sull’uguaglianza delle condizioni formali di partenza, ma sulla reciprocità come una relazione di riconoscimento o misconoscimento. In sintesi, la nozione di popolo fondata su una relazione ad alta qualità di partecipazione e responsabilità è molto più interessante e promettente dell’idea di uguaglianza formale o legale del neocontrattualismo e della moderna economia di mercato.

di Renzo Beghini