Pensare e generare
un mondo aperto

 Pensare e generare un mondo aperto  QUO-019
25 gennaio 2021

Pensare e generare un mondo aperto. Un mondo nuovo, soprattutto. È un programma, un obiettivo importante quello che la Pontificia università Antonianum di Roma — retta dal francescano Agustín Hernández Vidales, dell’ordine dei Frati minori — si pone di fronte. Il verbo “pensare”, accompagnato a quello di “generare”: due luci — colte nell’enciclica Fratelli tutti — che il rettore ha come speranza del cuore.

Alla tradizionale «Festa dell’università e del gran cancelliere» — dedicata alla lettera enciclica Fratelli tutti sulla fraternità e l’amicizia sociale — sono intervenuti tra gli altri monsignor Ambrogio Spreafico, presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo, e il ministro generale dell’ordine dei Frati minori, Michael Anthony Perry, che è gran cancelliere dell’università. Nell’occasione ripercorriamo con padre Vidales gli obiettivi raggiunti e le prospettive che si aprono per l’università pontificia francescana.

Padre Vidales, nella sua relazione all’apertura della festa dell’università, lei fa riferimento a un futuro non monocromatico, rifacendosi all’enciclica «Fratelli tutti». Come l’Antonianum intende contribuire a questa nuova concezione di futuro?

È la domanda che ci siamo posti fin dall’uscita dell’enciclica. Ed è la domanda che ci poniamo ogni giorno. Cosa possiamo dare noi, come realtà accademica, alla società? Sappiamo che il nostro impegno è sull’educazione. E su questo tema, è ben evidente come sia importante calare i due verbi “pensare” e “generare”, nella realtà concreta della vita di ogni giorno. Sono due verbi che circoscrivono — sicuramente — la nostra stessa realtà accademica. Infatti lo stesso pensare fa parte dell’attività didattica, lo sappiamo. Ma sappiamo anche che questa attività non vuole essere soltanto trasmissione di informazioni. Vuole essere anche un vero e proprio processo formativo per chi è nelle nostre aule, per i nostri studenti, così da far in modo — come il Pontefice scrive bene nel quinto capitolo del documento — che l’educazione sia al servizio «di ogni essere umano» affinché egli stesso «possa diventare artefice del proprio destino». La formazione come esseri umani non deve essere solo estrazione. E poi, proprio questo momento di pandemia — un momento così particolare per la storia di tutti — ci apre a sfide che ci smuovono. Ci apre a nuove prospettive, nuove risposte per programmare meglio il presente e il futuro.

Il presente e il futuro. Parole importanti che inevitabilmente suggeriscono una domanda: se dovessimo ripercorrere la storia recente dell’Antonianum, quali sono gli obiettivi più importanti raggiunti? E quelli da raggiungere?

Bisogna, prima di tutto, pensare all’importante traguardo che si sta cercando di raggiungere: parlo di un “obiettivo interno”, francescano. Mi riferisco a una collaborazione interna all’ordine: la Pontificia università francescana, l’Unifra. I tempi chiedono una revisione del sistema che guardi verso il futuro: va rivista la nostra missione e vocazione all’interno di questa nuova realtà universitaria che si sta pensando. È necessario poter collaborare tutti insieme, fraternamente, con le diverse realtà che loro stesse richiedono di essere messe assieme per risolvere problemi e sfide comuni. Bisogna trovare la collaborazione di tutti, proprio come fratelli. Un altro obiettivo è quello della strada verso un’ecologia integrale. In questo caso, mi riferisco al nuovo percorso di licenza in Ecologia integrale che abbiamo istituito presso la nostra università. È importante rivedere, rivalutare la nostra casa comune, come dice il Pontefice nella Laudato si’. In questo discorso si inserisce pienamente il nostro dialogo con realtà come l’Istituto di studi ecumenici di Venezia. Stiamo lavorando proprio in questi giorni su questo tema. Ultimo punto, non per importanza, quello della cosiddetta “terza missione”: cercare di rendere il sapere “alla portata di tutti”. I nostri sforzi come realtà accademica si stanno concentrando su questo punto, tanto caro a Papa Francesco.

Il tema del dialogo, tema princeps dell’enciclica «Fratelli tutti». E non si può, allora, non pensare al dialogo ecumenico. Un dialogo che la Pontificia università Antonianum sta intessendo con importanti istituzioni ecclesiastiche. Ma, potrebbe esserci anche una visione più ampia di tutto questo? Mi riferisco a istituti statali.

Sì, vedo un’apertura anche in questo senso. Stiamo partendo dalla nostra collaborazione con il centro di ecumenismo di Venezia, soprattutto. In questo caso, l’importante istituto veneziano non propone un dialogo solo a livello accademico, ma anche nella società civile: non troviamo, infatti, un insegnamento solo a livello educativo. Ci deve essere la collaborazione anche con altre realtà civili. Abbiamo lì la presenza— ad esempio — di studenti provenienti da diversi contesti. È Papa Francesco a consigliarci le vie: in Fratelli tutti, riprende e propone il dialogo con altre religioni. Ma a livello sociale come guardare a tutto questo panorama così diverso rispetto alla società di tanti anni fa? Per esempio, in Italia, l’anagrafe ci dice che una buona parte dei cittadini non è cattolica. Cosa fare, allora? Dobbiamo calarci nella società, nell’individualità di ogni uomo — così ci dice il Pontefice in Fratelli tutti — per vedere cosa ci unisce, non cosa ci divide. La realtà che ci viene posta davanti è questa: viviamo insieme, tutti fratelli. E tutti aspiriamo a essere felici. È necessario, dunque, conoscersi, dialogare, e — soprattutto — «sognare insieme». Così dice Papa Francesco. E sappiamo bene che i sogni si fanno, si realizzano, solo insieme.

di Antonio Tarallo