PUNTI DI RESISTENZA
Viaggio in Italia tra passato e presente

Mai voltarsi dall’altra parte

 Mai voltarsi dall’altra parte  QUO-018
23 gennaio 2021

Stazione di Genova Brignole, un giovane uomo sale su un treno diretto a Sud, destinazione Riace. È la tappa finale del viaggio che ha portato Lorenzo Toso in giro per «l’Italia che resiste, nonostante tutto». Viaggio tra passato e presente — raccontato in Un passo dopo l’altro (Milano, Mondadori 2020, pagine 224, euro 18) — in ascolto di donne e uomini (alcuni sconosciuti, altri noti) che hanno scelto di non lasciarsi travolgere dal degrado civile e culturale, di opporsi a quel che fanno i più, senza mai voltarsi dall’altra parte, ritrovando così il senso più profondo dell’essere umani.

Le storie che si intrecciano sono molto diverse. C’è l’amicizia decennale tra Liliana Segre e Luciana Sacerdote, nata nel cuore più nero della Shoah, capace di accompagnarle giovanissime attraverso uno dei capitoli più atroci della Storia del Novecento e poi, donne, nel dopoguerra da ricostruire passo dopo passo. C’è un uomo, Daniele, che ha affrontato due volte il covid-19, prima da medico e poi da paziente; un uomo che, pur essendone stato travolto, semplicemente si è rimboccato le maniche («Hanno incominciato ad arrivare tre, quattro giorni fa, prima ogni 2 ore, poi ogni ora, poi ogni mezz’ora, infine 5 minuti. Ogni 5 minuti arriva un’ambulanza con a bordo un paziente in grave insufficienza respiratoria. […] Sembrano clessidre che hanno finito il tempo a loro disposizione»). C’è Mailuna, una ragazza arrivata da Dakar che in Italia fa la parrucchiera viaggiante senza riuscire a capire il perché della contrapposizione crudele tra “tu e noi”. C’è Potito Ruggiero, un ragazzino in lotta contro il cambiamento climatico in un piccolo paese del Meridione.

Tutti idealmente diretti, con Toso, verso quella terra di frontiera dove ormai vent’anni fa uno sconosciuto sindaco calabrese immaginò e diede vita a un luogo solidale in cui si sono incrociati popoli, nazioni e diritti («Dove molti quella notte videro un problema o una minaccia, Mimmo [Lucano] vide un’opportunità»).

Questo di Toso si pone sulla scia di una serie di libri che raccontano le storie di tanta gente che si dà da fare, che cerca di sperimentare nuovi modi di stare al mondo, di abitare, nuove forme comunitarie, nuovi lavori, nuove relazioni con la natura, con tutte le virtù civiche collegate. L’Italia che non ci sta (Torino, Einaudi 2019, pagine 163, euro 16,50) di Francesco Erbani, ad esempio, colpisce per il racconto della resistenza operata dalla natura.

C’è, interessantissima, la resistenza dei luoghi compiuta attraverso i terrazzamenti ormai dimenticati, che non solo recuperano il suolo ma realizzano favorevoli condizioni di microclima, riparano la flora e la fauna, agevolano la biodiversità, strappano senza forzature quanto più spazio possibile. Terrazzamenti che, oltre a tutto questo, danno alla montagna la stabilità che la pendenza le nega, fanno in modo che l’acqua piovana abbia un’andatura più controllata quando scorre verso valle, che segua un percorso preciso senza precipitare. Accorgimenti antichi e saggi di cui non vanno persi senso e significato. Capaci di frenare il dissesto, di attutire l’effetto franoso del terreno, di donare risorse a chi li realizza e maggiore sicurezza a chi vive a valle, i terrazzamenti «sono il risultato eloquente — scrive Erbani — della combinazione fra natura e attività dell’uomo, l’esempio di una loro relazione felice». Sono più in generale una manifestazione affascinante di resistenza. Perché resistere è rispettare le persone e l’ambiente, le une attraverso l’altro.

di Silvia Gusmano