La venerazione
del testo sacro

Evangeliario di Enrico il Leone (abbazia di Helmershausen, 1188 circa)
23 gennaio 2021

Come si legge al numero 3 della lettera apostolica Aperuit illis (30 settembre 2019), Papa Francesco ha stabilito che la terza domenica del tempo ordinario «sia dedicata alla celebrazione, riflessione e divulgazione della Parola di Dio». Nell’invitare le comunità a trovare il modo di vivere questa domenica in modo solenne, tra le altre indicazioni, nel medesimo numero si dice che «sarà importante che nella celebrazione eucaristica si possa intronizzare il testo sacro, così da rendere evidente all’assemblea il valore normativo che la Parola di Dio possiede». Il «testo sacro» corrisponde alla Sacra Scrittura contenuta nei vari libri che compongono la Bibbia, a cui il Papa fa rifermento nello stesso paragrafo, suggerendo ai parroci di trovare forme anche per consegnare la Bibbia in tale domenica.

Il verbo intronizzare suppone l’esistenza di un luogo ben in vista alla comunità dove il «testo sacro» venga esposto. Di simile uso si parla nel Caerimoniale Episcoporum (nn. 1172 e 1174) in occasione di concili e di sinodi: nella celebrazione della messa o di un’Ora dell’Ufficio divino o anche in una celebrazione della Parola di Dio, «il libro dei Vangeli viene posto su un leggio idoneo in mezzo al presbiterio». Questa modalità tramandata per secoli nei concili, fu ripresa anche nel concilio Vaticano ii . Chi ha potuto vedere di persona, ricorderà san Paolo vi che, nelle sessioni conciliari personalmente da lui presiedute, durante il canto del Credo, incedeva portando l’evangeliario appoggiato sulla fronte, a significare Colui che col suo Vangelo illumina le menti di tutti e il cammino da compiere insieme.

Sembra di poter dire che il Papa abbia inteso indicare, anche in questo modo, l’attenzione da prestare al valore normativo della sacra Scrittura, nella convinzione che la fede cristiana non è una «religione del Libro» (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 108), come ben spiega nell’Aperuit illis, al numero 11: «Prima di diventare un testo scritto, la Parola di Dio è stata trasmessa oralmente e mantenuta viva dalla fede di un popolo che la riconosceva come sua storia e principio di identità in mezzo a tanti altri popoli. La fede biblica, pertanto, si fonda sulla Parola viva, non su un libro». Si tratta quindi del Verbo di Dio che si fa «carne» e della Parola di Dio che si fa «libro» come osservava sant’Ambrogio (Ep 52, 7:  csel   54, 426), della «divina Scrittura che costituisce un unico libro e quest’unico libro è Cristo, parla di Cristo e trova in Cristo il suo compimento» come ricorda Ugo di San Vittore (De arca Noe, 2, 8:  pl   176, 642 c-d ).

In questo senso il Papa indica una forma di venerazione del testo sacro nella linea costante della Chiesa che ha sempre venerato le divine Scritture, come venera il Corpo stesso del Signore, continuando a porgere ai fedeli il Pane di vita preso dalla mensa della Parola di Dio e del Corpo di Cristo (cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, n. 103, che riprende da Dei Verbum, 21). Secondo un detto patristico, «la Sacra Scrittura è scritta nel cuore della Chiesa prima che su strumenti materiali» (Catechismo, n. 113).

Dell’evangeliario, che contiene le pericopi del Vangelo che si ascoltano nella messa durante il corso dell’anno liturgico, come della ritualità che ne accompagna l’uso, parla l’Institutio generalis Missalis Romani, consigliando che sia recato dal diacono o dal lettore nella processione di ingresso, che sia collocato sull’altare, dal quale verrà preso per la proclamazione del Vangelo dall’ambone (cfr. nn. 117; 119; 120; 122; 133; 172; 173; 175; 194-195; 306). Benché i Praenotanda dell’Ordo lectionum Missae sottolineino l’opportunità che nelle cattedrali e almeno nelle parrocchie e chiese più grandi e più frequentate ci sia un evangeliario splendidamente ornato, distinto dall'altro libro delle letture, il Lezionario, purtroppo non è così frequente averne uno a disposizione ed è da augurarsi che l’istituzione della domenica della Parola di Dio faccia riflettere anche su questa carenza. La Nota sulla Domenica della Parola di Dio pubblicata il 17 dicembre 2020 dalla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, fa riferimento esplicito all’evangeliario e alle indicazioni contenute nei documenti sopra citati.

L’evangeliario portato processionalmente all’altare e dall’altare all’ambone, mette in luce la funzione di “culmine” che riveste la proclamazione del Vangelo, ottenendo così il raggiungimento di un duplice obiettivo. Il primo sta nel sottolineare la centralità di Cristo, il secondo nell'indicare la chiave interpretativa di tutte le Scritture, in modo particolare dell’Antico Testamento.

Il Vangelo rende più percepibile l’efficacia della presenza di Cristo nella sua parola liturgicamente proclamata, «giacché è lui che parla quando nella Chiesa si leggono le sacre Scritture» (Sacrosanctum Concilium, n. 7 e cfr. n. 33.) Se Cristo è centro e pienezza della Sacra Scrittura e delle celebrazioni liturgiche (cfr. Ordo lectionum Missae, Praenotanda, n. 5), la liturgia della Parola è per noi oggi continuo memoriale del modo con cui il Signore Gesù «a partire dall’oggi del suo evento esorta a scrutare tutte le Scritture (cfr. Lc 4, 16-21; 24, 25-35. 44-49)» (Ordo lectionum Missae, Praenotanda, n. 3) e attuazione dell’apertura al senso delle Scritture che egli ha concesso, dopo la risurrezione, ai suoi discepoli. A quel momento le Scritture erano di fatto solo quelle dell’Antico Testamento, come anche il medesimo senso soggiace all'esortazione paolina: «Tutta la Scrittura infatti è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia» (2Tm 3, 16).

Quando la Chiesa è adunata per scrutare «in tutte le Scritture quanto riguarda» il Cristo (cfr. Lc 24, 27), egli è presente col suo Spirito di verità, il Paraclito, affinché prendendo dallo stesso Signore Gesù (cfr. Gv 16, 14) possa insegnare, ricordare, guidare (cfr. Gv 14, 26; 16, 13). In particolar modo diverrà così più assimilabile che «nell’Antico Testamento è adombrato il Nuovo, e nel Nuovo si disvela l’Antico» (Ordo lectionum Missae, Praenotanda n. 5).

di Mario Lessi Ariosto