Un secolo e mezzo fa Roma diventava capitale d’Italia

Il tempo
dell’impegno sociale

Incisione commemorativa del 20 settembre 1870 e di Roma Capitale
22 gennaio 2021

A proposito di impegno e disimpegno nella cosa comune il 21 gennaio del 1871, 150 anni or sono, dai parlamentari viene approvata la norma con la quale la capitale d'Italia è trasferita a Roma da Firenze, ove il Parlamento, giunto da Torino, aveva operato e operava ormai da oltre un lustro, dal 1865. Questa scelta, sancita poi con la promulgazione della legge numero 33 del 3 febbraio successivo, e regolamentata dalle «Guarentige» del 13 maggio, che stabiliscono i rapporti tra lo Stato e la Chiesa, era stata proposta e illustrata da Cavour nel suo ultimo discorso in Senato, dieci anni prima.

Non si trattava del desiderio di strappare perfino Roma allo Stato della Chiesa già annesso, come larga parte dei cattolici invece percepivano e come pure alcune componenti anticlericali intendevano, ma di non privare l’Italia di un luogo essenziale e primario della sua storia, del suo pensiero, dei suoi principi di riferimento, dei suoi ideali, della sua statura morale.

In un primo tempo il nuovo stato di cose è penosissimo per la Chiesa, che si sente, se non addirittura reclusa, comunque quasi ridotta al confino in patria. I territori residui nei quali arroccarsi appaiono davvero esigui. È in questo stato d’animo mortificato e di fatti avversi che ha origine il non expedit: non si addice a un buon cristiano occuparsi di politica. L’impegno civile improntato a principi morali, che certo non dovrebbe mancare, ma essere semmai incoraggiato, viene invece inibito.

Le motivazioni di quella disposizione vanno comprese nelle incertezze e nelle preoccupazioni di allora, non possono essere valutate con la serenità progressivamente ritrovata. Ma certo quelle reciproche opposizioni non hanno giovato alla nascita e alla prima crescita del nuovo Stato. I cui cittadini si sentivano divisi tra laici e credenti in un clima di accesa contrapposizione. Per comprendere le difficoltà del Paese, soprattutto per comprenderlo da parte di chi lo vede da fuori, queste difficoltà d’origine non possono essere sottovalutate o dimenticate, ignorate.

Poi con il tempo si è piuttosto andato consolidando il rispetto reciproco, una maggiore serenità di coesistenza possibile. Sino a scoprire che quella rinuncia forzata al potere temporale poteva risultare anche un bene. Certamente dilatava le energie e le attenzioni da dedicare all’autorità spirituale oltre i confini dello Stato della Chiesa e perfino molto oltre i confini d’Italia.

Come in tutti i conflitti anche la questione romana col passare del tempo dimostra la vacuità degli schieramenti e delle trincee e la grandezza della capacità di offrire, in ogni avversità, risposte migliorative, di comprensione dei fenomeni e di composizione armoniosa delle diverse esigenze, rispetto alla miopia delle reazioni oppositive. Già dall’opera di Filippo Neri e di Matteo Ricci è progressivamente maturata anche l’idea di incontro, di missione, di conversione, intesa come miglioramento, cambiamento reciproco, dono prezioso per entrambe le parti, consapevolezza e non come imposizione di remissiva adesione che vede vincitori e vinti. Così risulta in effetti nel tempo trasformato anche il significato del termine laico: se in origine era alternativamente utilizzato per indicare i non credenti avversatori della cristianità o per indicare i credenti non legati da voti o da ordini, il popolo della Chiesa (la “Chiesa grande” di Margerita Porete), distinta rispetto alla “piccola” del clero, dei religiosi, preti, monaci e suore, oggi questo stesso termine sta a indicare la pienezza responsabile del superamento richiesto a ognuno rispetto al quel non expedit. Che appare trasfigurato. Occorre saperlo riconoscere. Non si addice al credente voler dominare e condizionare il prossimo. La sua politica sarà mite e di servizio. Occorre ed è imprescindibile l'impegno di ognuno anche nella vita civile e questo essenziale impegno, laico, non può essere orientato a prevalere, a convertire, a imporre a chi non crede o crede diversamente una propria dottrina o un sistema ufficiale, ma può solo offrire esempi e risposte, ispirarsi riservatamente ai principi morali che ognuno liberamente e in modo sempre vario e non uniforme incontra e abbraccia nella infinita complessità del reale, rispettando quelli degli altri e cercando di riconoscere nella contemplazione delle diversità la bellezza molteplice e unica nella totalità dell’essere. Un certo passato belligerante e combattivo, poco fraterno e poco pacifico, segnato dalla divisione tra amici e nemici, quasi militarizzato, pare di essere giunti a sperare invece di poterlo finalmente vedere come un pericoloso ma ingenuo e infantile transito ormai superato, nel quale sia parso ragionevole insegnare il volo ai vermi, il nuoto agli alberi, la marcia ai pesci. Non a questo genere forzato e deformante di cure siamo tutti continuamente chiamati.

A tempo debito e gradualmente, in condizioni indisturbate, i bruchi mutano in crisalidi e in farfalle: volano. I tronchi, senza tagliarli, in occasione delle piene con tutte le loro radici giungono al mare o vengono depositati nelle pianure e perfino sui rilievi. I monti nei secoli e nei millenni si muovono e sorgono a volte dal fondo dei mari. Larve e girini si trasformano e dopo la metamorfosi camminano, saltano, volano. Bavose, polpi, granchi si affacciano sugli scogli e avanzano all’asciutto giungendo ovunque anche fuori dell’acqua. Addirittura per salvarsi alcuni pesci volano e non perché lo pretendiamo noi da loro. Basta rispettarli e tutto questo avviene. Meraviglia contemplativa dell'attesa: tutto insieme. Anche noi siamo finalmente cambiati in una generale continua conversione creativa. Abbiamo capito qualcosa in più, da trasferire nei comportamenti quotidiani. In una carezza.

di Francesco Scoppola