«Memorie spirituali» di san Pietro Favre

Tutto è preghiera

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20 gennaio 2021

Dal quaderno n. 4094 de «La Civiltà Cattolica», uscito sabato 16 gennaio, pubblichiamo la presentazione delle Memorie spirituali di san Pietro Favre scritta da Miguel Ángel Fiorito, che è stato padre spirituale di Jorge Mario Bergoglio, e da Jaime Heraclio Amadeo, che ha insegnato alla Facoltà teologica di San Miguel, in Argentina.

Presentiamo un classico della spiritualità della Compagnia di Gesù: Il Memoriale di alcuni buoni desideri e buoni pensieri del Padre Maestro Pietro Favre1.

L’uomo esteriore


Pietro Favre2 è stato, alla fondazione della Compagnia di Gesù, il primo «compagno» di sant’Ignazio di Loyola (vale a dire il primo che venne chiamato all’idea e ne venne convinto) e il primo sacerdote di quest’Ordine in prevalenza presbiterale.

Nato nel 1506 e morto nel 1546, comincia presto le sue scorribande apostoliche: nel 1539 — anno in cui i primi «compagni» decidono di domandare al Papa la fondazione della Compagnia di Gesù — viene inviato a Parma e nei dintorni, in Italia. Da lì l’anno dopo, il 1540, viene mandato in Germania.

Qui percorre varie delle città più importanti, dove si celebrano le «diete» e i «colloqui» con cui l’imperatore Carlo v cerca di ottenere la pace religiosa. E l’anno successivo (1541) è mandato in Spagna, passando dalla Savoia, che era il suo Paese di origine.

Trascorre quell’anno e il successivo (1542) nelle principali città spagnole, da cui viene inviato nuovamente in Germania, questa volta alle città che costituivano una sorta di «frontiera» tra il cattolicesimo e il protestantesimo, che diveniva sempre più forte in quel Paese.

Alla fine del 1543 viene mandato da sant’Ignazio in Portogallo. Per fare questo viaggio via mare, egli va in Belgio, dove rimane per sei mesi, mentre il nunzio del Papa in Germania insiste presso il Pontefice perché lo faccia ritornare. Mentre aspetta la risposta del Papa, fonda la Compagnia di Gesù in Belgio e accoglie i primi novizi e studenti, fra i quali colui che diventerà san Pietro Canisio, l’apostolo della Germania.

Alla metà dell’anno seguente (1544), parte finalmente dalla Germania, diretto in Portogallo; e nel 1545 si trasferisce in Spagna, con l’obiettivo di rafforzare la Compagnia di Gesù alla corte del principe Filippo, reggente del Regno spagnolo.

Nell’aprile 1546 viene chiamato dal Papa a partecipare al concilio di Trento. Raggiunge Roma il 17 luglio di quell’anno, per morire tra le braccia di sant’Ignazio il 1° agosto, giorno in cui la Chiesa celebra la festa di san Pietro liberato dalle catene da un angelo (cfr. At 12, 3-17).

In poco più di sette anni — dal giugno 1539 all’agosto 1546 — quest’uomo ha attraversato l’Europa nell’adempimento di concrete e ricorrenti «missioni» pontificie, soprattutto in Germania. E ha fondato la Compagnia di Gesù in tre Paesi: Germania, Belgio e Spagna.

L’uomo interiore


Uomo di profonda vita interiore, Favre visse quell’assorbente attività esteriore, fondandola in Dio: di lui si può dire — come di Ignazio, che fu il suo maestro nello spirito — che è stato un «contemplativo nell’azione»3.

Era inoltre un uomo pacifico all’esterno e seminatore di pace attorno a sé, ma combattente nell’intimo.

Entrambi questi lineamenti si manifestano nelle sue Memorie spirituali. Vediamoli in successione.

Innanzitutto la sua preghiera. Una delle parole che più ricorrono nelle Memorie spirituali è «desideri»: Favre è un «uomo di desideri» (cfr. Dn 9, 23, secondo la Vulgata). A ragione i primi editori intitolarono l’opera Memoriale di alcuni buoni desideri e buoni pensieri del Padre Maestro Pietro Favre.

Inoltre, uno dei principali pregi del Memoriale sta nel mostrare come tutte le circostanze della vita (apostolato, viaggi, preoccupazioni, amicizie... e anche le trascuratezze) per Favre si trasformino in materia di preghiera.

Favre trae profitto perfino dalle distrazioni nella preghiera. Egli racconta: «[Un giorno,] mentre dicevo l’ufficio e cercavo di regolare il mio orologio senza necessità, mi venne in mente di domandare a Dio la grazia di essere da lui stimolato e disposto a pregare bene. Ciò infatti è a lui più facile, che non a me di regolare o aggiustare con le mie mani un qualsiasi oggetto materiale. Di qui passai a rimproverarmi di essermi finora lasciato prendere troppo spesso dal volere maneggiare e aggiustare senza necessità tale o tal altro oggetto, mentre in quel momento avrei dovuto essere attento e applicato alle mie preghiere o alla meditazione. Avrei dovuto dedicare tutti i miei sforzi a dispormi a compiere bene ciò che dovevo fare con le mani, la bocca, l’intelligenza e l’anima»4.

Un’altra caratteristica importante del Memoriale è che si tratta di un dialogo quasi continuo non soltanto con Dio (la Trinità e Gesù Cristo in particolare), ma anche con la Vergine, i santi e gli angeli: davvero Favre poteva dire con san Paolo che «la nostra cittadinanza è nei cieli» (cfr. Fil 3, 20).

E veniamo al secondo tratto specifico della vita interiore di Favre: il suo spirito combattivo.

La sua lotta comincia molto presto e lo conduce a Parigi, nel 1530, a mettersi nelle mani esperte di sant’Ignazio, che gli farà conoscere «le tentazioni e gli scrupoli, dei quali per tanto tempo ero stato prigioniero, sprovvisto, senza luce intellettuale e senz’esperienza della strada nella quale poter trovare la pace. Gli scrupoli mi venivano dal timore di non essermi da molto tempo confessato bene dei peccati [...]. Le tentazioni consistevano in oscene e impure immagini carnali presentatemi subdolamente dallo spirito di fornicazione. Questo poi, prima di allora [a Parigi], non lo conoscevo attraverso lo spirito, ma unicamente per letture e insegnamenti»5.

È una lotta che dura fino al termine della sua esistenza. Nel gennaio 1546, ultimo anno della sua vita — e ultima annotazione nelle Memorie spirituali —, Favre scrive: «Sentii riaffiorare le mie deficienze [...]. Sentii poi, durante questi giorni, attraverso l’esperienza delle tentazioni, che avevo bisogno di una grazia abbondante»6.

È una lotta interiore che non va a scapito del protagonista, ma semmai a suo merito: la grazia, di cui ci dice di aver bisogno «abbondante», gli venne copiosamente concessa. Lui stesso ci informa di sé: «Come non hai avuto nessuna tentazione di rilievo, che in essa non fossi anche consolato, non solo attraverso una chiarezza di cognizione, ma anche con uno spirito che era contrario a tristezze, timori, pusillanimità o abbattimento, successivi a prospere condizioni illusorie. In questo, Dio dava una straordinaria chiarezza e sentimenti molto veri al riguardo: rimedi contro lo spirito di fornicazione; mezzi per raggiungere la purezza e la limpidezza della carne; rimedi contro il mondo e il suo spirito»7.

Le Memorie spirituali di Favre sono, dalla prima all’ultima pagina, una testimonianza della verità di quella regola di discrezione ignaziana secondo la quale «il nemico della natura umana ci gira attorno [...] e poi ci attacca e cerca di prenderci dove ci trova più deboli e più sprovveduti per la nostra salvezza eterna»8, ma anche di quella frase paolina: «La forza [del Signore] infatti si manifesta pienamente nella debolezza [di Favre]» (cfr. 2 Cor 12, 9).

*   *   *

In entrambi i lineamenti — quello della preghiera e quello della lotta spirituale — si manifesta il discepolo valente, formato alla scuola degli Esercizi spirituali (ricordiamo la controversia, ormai passata alla storia, tra «unionisti» ed «elezionisti») e il maestro consumato nell’arte di guidarli. Dopo la morte di Favre, sant’Ignazio, nel febbraio 1555, disse di lui che «di quanti conoscevo nella Compagnia, il primo posto nel darli [gli Esercizi] l’ha avuto il padre Favre»9.

di Miguel Ángel Fiorito
e Jaime Heraclio Amadeo



1. Questo testo è tratto da M. Á. Fiorito, Escritos, V, Roma, «La Civiltà Cattolica», 2019, 167-169.
2. Ricordiamo che Pietro Favre è stato canonizzato da Papa Francesco il 17 dicembre 2013.
3. Cfr. Epistolae P. Hieronymi Nadal Societatis Jesu Ab Anno 1546 Ad 1577, vol. I V, Madrid, G. López del Horno, 1905, 651.
4. P. Favre, s., Memorie spirituali, n. 249, Milano, «Corriere della Sera» - «La Civiltà Cattolica», 2014.
5. Ivi, n. 9.
6. Ivi, n. 443.
7. Ivi, n. 30.
8. Ignazio di Loyola, s., Esercizi spirituali, n. 327.
9. L. G. da Câmara, Memorial, 6, 1. Non è giunto fino a noi — o, meglio, ancora non è stato trovato, ma non dobbiamo disperare che prima o poi lo si trovi, sepolto in qualche archivio — il testo originale delle Memorie spirituali del beato Favre, ma diverse copie manoscritte, di diversa ampiezza e in due lingue: spagnolo e latino. Gli autori che in diverse lingue moderne hanno pubblicato a tutt’oggi le Memorie spirituali hanno usato una copia o un’altra, in vari casi più di una. Noi abbiamo preferito attenerci — riguardo al contenuto e al significato — alle due copie pubblicate criticamente dai Monumenta Historica Societatis Iesu: una latina (più completa) e l’altra spagnola (incompleta, con soltanto, approssimativamente, i primi 180 punti). La copia latina è la più completa di tutte quelle esistenti, e da alcuni particolari siamo indotti a pensare che sia più «originale» di altre (sebbene originale in senso proprio, come dicevamo, non ne sia nessuna): per esempio, pur scritta in latino, contiene alcune frasi in spagnolo. Sappiamo che Favre sapeva parlare e scrivere in spagnolo, sebbene la sua lingua materna fosse il francese savoiardo; ma sia nelle lettere sia nelle predicazioni lo mescolava al latino, quando voleva essere più esatto, o quando la frase gli veniva dal cuore. Perciò abbiamo pensato che l’originale delle Memorie spirituali — un’opera che scaturisce dal cuore — possa essere stato scritto in latino, e che una sua copia sia quella pubblicata dai Monumenta Historica Societatis Iesu.