Il Mediterraneo teatro
di un’immane tragedia

Migrant families from Iraq and Afghanistan sit inside an abandoned house where they live in the ...
20 gennaio 2021

Rotta balcanica e rotta libica. Il Mediterraneo è il teatro di una delle più grandi tragedie degli ultimi decenni: l’esodo di migranti che dall’Africa e dal Medio oriente cercano di arrivare in Europa. Una questione immensa, nella quale si intrecciano problemi di diversa natura: la continua violazione dei diritti fondamentali, il traffico di esseri umani, la criminalità organizzata, le divisioni e i conflitti regionali, le mire geopolitiche di Turchia e Russia, l’assenza degli Usa, e l’incapacità europea di dare risposte convincenti.

In questo momento in Libia ci sono 2.400-2.700 migranti nelle prigioni gestite dalle milizie locali legate agli apparati statali. Ad essi se ne aggiungono un numero imprecisato che invece si trovano nei campi di prigionia clandestini. Che cosa avviene? Migliaia di persone partono dai Paesi africani alla ricerca di una vita migliore in Europa; le loro famiglie investono moltissimi soldi in questi viaggi. Pagano i trafficanti che assicurano loro un viaggio, anche in condizioni disumane. Purtroppo, la realtà è che i pochi che arrivano in Libia — complice anche l’assenza di un governo forte e gli scontri tra le milizie locali che gestiscono il potere — o finiscono in carcere o s’imbarcano per un viaggio in mare che molto probabilmente finirà in tragedia. Stiamo parlando di migliaia di uomini, donne e bambini che hanno lasciato tutto e che ora sono totalmente alla mercé dei trafficanti e delle milizie. In base ai dati delle Nazioni Unite, sono circa 46.000 le persone che si trovano in Libia e potrebbero richiedere la protezione internazionale. «Le condizioni dei campi sono terribili, come documentato anche dalle organizzazioni internazionali» afferma Nello Scavo, giornalista di «Avvenire» esperto di questioni migratorie. «Si parla di torture, abusi, violazioni dei diritti umani commessi in tutte le strutture». Al momento, le partenze continuano ma c’è stato uno spostamento sulla Tunisia. «Il vero problema è che manca il controllo in mare e soprattutto non c’è la possibilità di testimoniare che cosa accade veramente» spiega Scavo. La vera ragione di questa situazione è che «c’è stato un atteggiamento ingenuo da parte di quei governi che pensavano che finanziare alcuni pezzi di apparati libici legati alle milizie servisse a fermare il flusso migratorio e aprire i centri di detenzione nei quali le Nazioni Unite potessero ristabilire delle condizioni di rispetto minimo dei diritti umani». Paradossalmente i finanziamenti internazionali hanno complicato la situazione. «Negli ultimi tempi abbiamo assistito a una diversificazione del business dei trafficanti con un aumento della esportazione illegale di petrolio e ultimamente anche di stupefacenti in accordo con la mafia siciliana, la N’drangheta calabrese. I trafficanti sfruttano l’assenza delle navi militari che fanno i controlli; si è lasciato campo libero a queste organizzazioni».

Nei Balcani c’è la stessa dinamica. L’ultimo allarme delle organizzazioni umanitarie riguarda le condizioni di vita delle migliaia di profughi — principalmente siriani e afghani — al confine tra Bosnia ed Erzegovina e Croazia, alle prese con un inverno particolarmente rigido e senza alcuna protezione. Persone sfruttate dalle mafie locali e dai trafficanti, e che chiedono una risposta agli Stati e all’Europa. «Nella rotta balcanica i migranti non hanno a che fare con Stati disastrati come in Libia. Tuttavia, c’è sempre una frammentazione politica: la Bosnia ed Erzegovina è un Paese tripartito dove i diversi cantoni fanno fatica ad accordarsi su chi deve gestire i migranti. Il vero problema però è che in queste regioni ci sono mafie molto forti che gestiscono il grande traffico di stupefacenti e di armi. Sono gli stessi gruppi che gestiscono i migranti» afferma Scavo. Non ci sono i campi di prigionia, come in Libia, ma per attraversare alcune regioni i migranti devono pagare le criminalità organizzate per passare, e sono vittime di abusi.

Per capire se e come l’Europa potrà migliorare la situazione nel Mediterraneo e nei Balcani bisogna attendere le mosse della prossima amministrazione Biden. Nello scenario libico l’assenza degli Stati Uniti è evidente. Il loro posto è stato preso da Turchia e Russia — esattamente come avvenuto in Siria. È noto che Ankara sostiene il governo centrale di Tripoli, guidato da Fayez Al Sarraj, mentre Mosca è il principale alleato del generale Haftar. Entrambe hanno precisi interessi strategici, che sono prima di tutto di natura economica. Basti citare il progetto di trivellazioni di Ankara, che riguarda non solo la Libia, ma anche il Mediterraneo orientale e l’Egeo. Washington dovrà confrontarsi con queste realtà se vorrà intervenire in Libia o Siria. Questo significa che è impossibile risolvere il problema dei migranti — e quindi dare loro una autentica prospettiva di vita — senza guardare al problema in un’ottica globale.

di Luca M. Possati