Questo sta creando le basi perché la vicenda possa presto assumere i caratteri di un’emergenza umanitaria. Sono infatti migliaia le donne e altrettanti i minori tra i circa 8-9.000 migranti bloccati a Vado Hondo. Dopo aver percorso molti chilometri a piedi sono parecchi, poi, quelli che riportano ferite ai piedi e che non possono ricevere cure per la mancanza di medicinali. Il procuratore per i Diritti umani del Guatemala, Jordán Rodas, si è detto «indignato» per quanto sta succedendo a Vado Hondo, dove è stato messo in atto un uso indebito della forza — ci sono stati anche diversi feriti — senza tener conto della situazione di partenza. Ha inoltre mosso alcune rimostranze nei confronti del presidente Giammattei, colpevole, a suo dire, di aver «mostrato il suo volto contro i migranti e seguito le direttive degli Stati Uniti, nonostante la popolazione sia in gran parte formata da gruppi di cittadini che si vedono obbligati a migrare per gli alti indici di povertà e violenza».
Rodas è affiancato in questo dalla Rete regionale di protezione, formata da una quindicina di organizzazioni, in gran parte ecclesiali, che ha chiesto al governo guatemalteco di «attuare un protocollo adeguato per affrontare questo fenomeno regionale», sottolineando «la propria contrarietà alle misure di contenimento e rimpatrio che il governo guatemalteco ha attuato, senza considerare le esigenze di protezione internazionale» di cui necessitano in questo esodo i migranti. Da qui il monito ai governi centroamericani che «non possono continuare a eludere i loro obblighi costituzionali per superare le cause strutturali della migrazione irregolare».
Tra gli honduregni cresce la paura della detenzione, dell’espulsione di massa e del ritorno alla disperazione nel proprio Paese d’origine dove la violenza la fa da padrone. Le condizioni di insicurezza e di povertà estrema, aggravate dal passaggio nel novembre scorso di due uragani, Eta e Iota — abbattutisi a distanza di quindici giorni l’uno dall’altro su molti Paesi dell’America centrale —, hanno aggravato l’emergenza, dissipando anche le ultime speranze.
Nel frattempo, uno spiegamento di forze senza precedenti è stato messo in campo anche dal Messico alla frontiera sud con il Guatemala, a circa 250 chilometri da dove si trovano ora i migranti, per evitare che alcune frange della carovana riescano ad entrare nel Paese. Intanto ieri, il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador ha esortato il governo statunitense a intervenire con profonde riforme sulla politica di immigrazione del Paese, proprio mentre migliaia di migranti che avevano iniziato la loro marcia verso gli Usa sono stati bloccati nel vicino Guatemala. López Obrador ha detto di augurarsi che il presidente eletto Joe Biden sia disposto a lavorare con il Messico e altri Paesi sudamericani su questa difficile questione. «Durante la sua campagna, Biden aveva offerto di mettere a punto una riforma dell’immigrazione e io spero che sarà in grado di farlo», le parole del presidente messicano. «Penso che sia giunto il momento di mantenere l’impegno», ha poi aggiunto.