I vescovi sulla profonda crisi che attanaglia la Repubblica Centrafricana

Ritrovare l’amor di patria

An M23 rebel marches towards the town of Sake, 26km west of Goma, as thousands of residents flee ...
18 gennaio 2021

«Alleanze contro natura fra i nemici di ieri a costo del sangue di innocenti hanno seminato caos e desolazione. Sì, bisogna ammetterlo, siamo i primi becchini del nostro Paese. Abbiamo bisogno di una solidarietà franca, nazionale e internazionale, per ristabilire l’autorità dello Stato e consolidare tutte le istituzioni». Non lascia spazio a interpretazioni il messaggio che la Conferenza episcopale centrafricana ha diffuso ieri, 17 gennaio, al termine dell’assemblea plenaria: le colpe dell’ennesima crisi politica e sociale che ha colpito la nazione stanno fuori e dentro il suo territorio. La Repubblica Centrafricana «ha sofferto troppo complotti esterni con complicità locali» e «tutti sanno che il nostro Paese è pieno di ricchezze, minerali e di materie prime che sono oggetto di ogni forma di avidità», ma tutto ciò è stato agevolato dalla «mancanza di un patriottismo di qualità e di amore per la patria: questo è forse il male più profondo che il nostro Paese si trascina da decenni, da quando ha ottenuto l’indipendenza. Il tribalismo, il nepotismo, la nostra incapacità di vedere nell’altro un fratello da amare, le nostre inimicizie, la cupidigia e la voglia di conquistare il potere a ogni costo, anche con la forza, tutto questo ci ha condotto a gettare il nostro paese in pasto a mercenari e a banditi».

Fatto sta che, ancora una volta, la popolazione «si trova ad affrontare una situazione di paralisi imposta da gruppi armati coalizzati e dai loro alleati politici con l’appoggio multiforme di padrini e madrine», e dappertutto «assistiamo al deterioramento della situazione della sicurezza, a massicci spostamenti di persone, al soffocamento e al blocco delle attività economiche e agricole, così come dei trasporti. Questo ostacolo alla libera circolazione delle persone e delle merci aggrava la situazione alimentare e sanitaria della popolazione già gravemente colpita dalle molteplici crisi. Lo strappo del tessuto sociale è evidente. La caccia alle streghe osservata qua e là fa risvegliare lo spettro del tribalismo, minacciando l’unità nazionale». La divisione esacerbata dalla classe politica e la mancanza di patriottismo «lasciano il paese in balia di predatori e mercenari di ogni genere, sovvenzionati con armi ed equipaggiamento. La guerra che ci è oggi imposta tende ad annientare le profonde aspirazioni del popolo centrafricano. Questo popolo è stanco e deluso dagli infiniti calcoli, conflitti e strappi politici».

I vescovi paragonano la Repubblica Centrafricana al paralitico del Vangelo di Luca (5, 17-26): «È ancora vivo ma sembra una persona morente o in coma che non esiste più da sola. È immobile e non può muoversi, né soddisfare i suoi bisogni primari». Allo stesso modo il male (lussuria, collera, invidia, malvagità, menzogna, manipolazione, tradimenti, distruzioni, saccheggi, incendi, aggressioni, violenze, omicidi, guerre) «ci paralizza e ci impedisce di promuovere i valori della fratellanza, della giustizia e della pace». Ma «Dio non tollera che degli uomini tengano altri prigionieri» e «si impegna ad aiutare coloro che sono paralizzati da malattie e da peccati affinché riconquistino la loro libertà di movimento, si rimettano in piedi e servano Dio e gli uomini».

Proprio perché «la crisi attuale non è una fatalità», conclude l’episcopato, la soluzione «non può essere che endogena». La nazione «deve ora più che mai mostrare un vero sussulto patriottico, nel senso più nobile del termine», deve poter scegliere liberamente (è un suo «diritto sovrano») i suoi partner e «rivedere, anche rescindere gli accordi conclusi con alcuni Stati quando la sua sovranità è minacciata». Soprattutto occorre tornare alle origini, ai simboli di una nazione, come il suo motto che esprime speranza e il sogno dei padri fondatori. I vescovi ricordano che, durante il suo viaggio apostolico in Repubblica Centrafricana, Papa Francesco, nel discorso del 29 novembre 2015 alla classe dirigente e al corpo diplomatico, «ci ha invitato a tornare ai fondamentali che costituiscono la base della nostra identità di nazione, vale a dire il nostro motto nazionale “Unità - Dignità - Lavoro” e il principio dello Zo kwe zo (ogni essere umano è una persona) del nostro padre fondatore Barthélemy Boganda».

di Giovanni Zavatta