Atlante - Cronache di un mondo globalizzato

La politica e i social network

Benedetti_15_x.jpg
15 gennaio 2021

L’evento senza precedenti che ha avuto luogo lo scorso 6 gennaio a Washington continua — giustamente — a essere al centro di accesi dibattiti. Le discussioni riguardano ogni aspetto dell’irruzione a Capitol Hill, dalle tragiche conseguenze degli scontri al comportamento delle forze dell’ordine al valore simbolico dell’evento. Ma, a distanza di alcuni giorni, il lato della vicenda che impegna nelle riflessioni più profonde riguarda i suoi riflessi nel mondo dei social network.

Nello specifico, la decisione presa lo scorso 8 gennaio dal consiglio di amministrazione di Twitter di bloccare in via definitiva l’account del presidente uscente Donald Trump «per il rischio di ulteriori incitamenti alla violenza» ha scatenato numerose reazioni in tutto il mondo. Prima di esprimere il suo supporto agli assalitori di Washington, Trump era già stato autore di numerosi tweet controversi, e il suo profilo contava quasi 89 milioni di followers.

Un provvedimento simile, sebbene meno drastico, è stato adottato anche dal ceo di Facebook Mark Zuckerberg, il quale ha deciso di bloccare per due settimane la pubblicazione di contenuti dal profilo di Trump. L’imprenditore digitale ha poi dichiarato che ritiene «semplicemente troppo grandi i rischi di consentire al presidente di continuare a usare il nostro servizio durante questo periodo», riferendosi alla transizione in corso fino al 20 gennaio, giorno dell’insediamento del nuovo presidente Joe Biden.

Le conseguenze di queste censure operate nei confronti del tycoon sono state molteplici: mentre le azioni dei social network hanno perso colpi a Wall Street (lo scorso 11 gennaio, Twitter ha chiuso in calo del 6,4%, arrivando anche a toccare picchi negativi dell’11%, e Facebook è arrivato al 4% in meno), altre piattaforme digitali meno note al grande pubblico come Reddit, Twitch e Discord hanno deciso di seguire le orme delle prime, disattivando gruppi e canali frequentati da sostenitori di Trump e caratterizzati dall’uso di linguaggio aggressivo e incitante all’odio e alla violenza.

Questa chiusura del mondo digitale nei confronti di Donald Trump ha però suscitato diversi interrogativi, la cui validità va oltre l’eccezionale scenario di emergenza. Primo fra tutti, è giusto che i social network, piattaforme private di proprietà di imprenditori, possano censurare un capo di Stato? A questo proposito è stata estremamente dura la reazione del cancelliere tedesco Angela Merkel, che ha condannato il blocco dell’account Twitter di Trump definendolo come «problematico». Il suo portavoce Steffen Seibert ha dichiarato che «è possibile interferire con la libertà di espressione, ma secondo i limiti definiti dal legislatore, e non per decisione di un management aziendale». Ancora più deciso è stato il Commissario Ue per il Mercato interno Thierry Breton, il quale ha definito l’accaduto come uno spartiacque nei rapporti fra la democrazia e le piattaforme digitali, paragonandolo per la sua portata addirittura all’11 settembre 2001. Per il politico francese, quanto accaduto «non solo è una conferma del potere di queste piattaforme, ma mostra anche profonde debolezze nel modo in cui la nostra società è organizzata nello spazio digitale».

Al giorno d’oggi, i social network rappresentano indubbiamente uno strumento di comunicazione fondamentale tanto nella sfera privata quanto in quella pubblica. Per questo motivo, il fatto che i gestori di questi strumenti abbiano la facoltà di esercitare un controllo assoluto sui loro contenuti appare effettivamente preoccupante. Quanto accaduto in seguito all’aggressione di Washington si presenta pertanto come un’occasione fondamentale per discutere di un tema di cruciale rilevanza, destinato ad acquistare un’importanza sempre maggiore negli anni a venire. Un mondo relativamente giovane e in costante evoluzione come quello dei social network necessita sicuramente dello sviluppo di norme trasparenti ad hoc per la sua regolamentazione, come dimostrato dalla causa legale scatenata in Italia nel 2019 dall’eliminazione per apologia al fascismo di alcune pagine Facebook di estrema destra.

E un buon segnale in questa direzione è rappresentato ad esempio dal Digital Services Act, una proposta di regolamentazione per i contenuti online presentata lo scorso 15 dicembre dalla Commissione europea. La libertà di espressione rimane uno dei pilastri fondamentali della società democratica, e una disciplina adeguata delle piattaforme digitali è ormai imprescindibile per la sua difesa.

di Giovanni Benedetti