«Non togliete la gioia agli animali» di Maurizio Quilici

La cura reciproca

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15 gennaio 2021

Si chiamavano Salty e Roselle i labrador che l’11 settembre di vent’anni fa salvarono i rispettivi padroni non vedenti dal crollo delle Torri Gemelle di New York, riuscendo a condurli — corridoio dopo corridoio, piano dopo piano — al sicuro e, dunque, lontano dalle strutture sotto attacco. Ai due cani guida, scomparsi tra il 2008 e il 2011, è stata assegnata la Dickin Medal, l’onorificenza britannica che premia il coraggio degli animali e che, dal 1943 al 2017, è stata conferita, oltre che a 31 cani, anche a 32 uccelli, 4 cavalli e un gatto.

Tra i decorati aventi a che fare con l’Italia c’è, ad esempio, G.I. Joe, piccione viaggiatore la cui storia risale alla seconda guerra mondiale. Era il 18 ottobre 1943 e gli americani s’apprestavano a bombardare il villaggio campano di Calvi Vecchia, convinti della presenza di una postazione tedesca, ma senza sapere, vista l’impossibilità di comunicare con gli alleati via radio, che una divisione dell’esercito britannico vi si fosse appena stanziata: solo grazie all’intervento di G.I. Joe, che percorse venti miglia in venti minuti con un messaggio fissato alla zampa, l’attacco venne annullato.

Moltissime altre sono le analoghe narrazioni — appartenenti a epoche e luoghi tra loro differenti e il più delle volte dimenticate — raccolte da Maurizio Quilici in Non togliete la gioia agli animali. Storia e futuro di un rapporto che ci salverà (Milano, Edizioni San Paolo, 2020, pagine 386, euro 22).

Si tratta di un ampio reportage che anzitutto ricostruisce il rapporto tra uomini e animali sin dall’antichità (le venationes di epoca romana, i processi agli animali del medioevo, le prime tutele apprestate tra Ottocento e Novecento contro i maltrattamenti). Dopodiché, fa luce su questioni spinose come, solo per citarne alcune, sperimentazione, allevamenti intensivi e inquinamento della natura; per giungere, in ultimo, alle inevitabili considerazioni sul mondo al tempo del covid-19, quando «gli animali hanno conquistato parchi e giardini, si sono affacciati a paesi e città» e alcuni di loro hanno dimostrato tutto il proprio attaccamento all’uomo (a Pisa la femmina di pastore tedesco Stella, «il cui padrone era stato ricoverato in terapia intensiva per coronavirus, è scappata dalla casa di chi la ospitava temporaneamente ed è stata ritrovata vicino all’ospedale»).

Il volume è, inoltre, corredato da un’estesa bibliografia e illustri citazioni: da Papa Francesco che, nella Laudato si’, afferma che «il cuore è uno solo e la stessa miseria che porta a maltrattare un animale non tarda a manifestarsi nella relazione con le altre persone», fino a Fëdor Dostoevskij dai cui scritti, nella specie da I fratelli Karamazov, è tratto il titolo dell’opera in argomento.

Così, tra un paragrafo sull’importantanza della terapia basata sull'interazione con gli animali domestici e un altro sulla normativa italiana ed europea relativa all’universo animale, emergono, come anticipato, molteplici note di colore. Sono le storie degli animali (domestici o riconducibili al mondo agricolo), che, nel ruolo di protagonista e a prescindere dalla Dickin Medal, non conoscono soltanto Salty, Roselle e G.I. Joe, ma pure il cane “ferroviere” Lampo (negli anni Cinquanta, il cagnolino comparve nella stazione dei treni di Campiglia Marittima, fu adottato dal personale e dimostrò una «stupefacente capacità»: viaggiare per l’Italia «saltando sui treni e sempre ritornando nella “sua” stazioncina»). E, ancora, Félicette, gattina randagia di Parigi, la quale nel 1963 venne lanciata nello spazio, «dopo un duro allenamento fatto di assenza di gravità, violente accelerazioni, decompressioni e centrifughe». Félicette, dal lucente pelo bianco e nero, «sopravvisse a 15 minuti di volo sub-orbitale con elettrodi impiantati nella testa (…). Fu recuperata sana e salva ma, nonostante il successo, fu soppressa per recuperare gli elettrodi» e oggi, proprio a Parigi, a seguito di una raccolta fondi avviata quattro anni fa dall’inglese Matthew Serge Guy, si rintraccia un monumento che la ritrae nell’atto di affacciarsi sullo spazio, libera come quando girovagava tra i tetti spioventi e i comignoli delle case dei più bei quartieri di Francia.

Storie, pertanto, che stupiscono e fanno riflettere. Quella del cane Lampo è simbolo del legame indissolubile tra animale e uomo, della fedeltà del “quattro zampe” nei confronti del “suo umano”, della cura reciproca; l’altra (più triste) sulla prima gatta astronauta, collega della celebre cagnetta Laika, è segno, invece, di quello che l’uomo può fare, laddove non ci siano vincoli di alcun tipo, all’animale e all’intera natura. Da qui, l’auspicio dell’autore di rispettare il pianeta e chi lo abita, di «lasciare ai nostri figli e nipoti un mondo che sia davvero vivibile (…). Con l’impegno, l’esempio, l’insegnamento».

di Enrica Riera