I Papi e le carceri

Quello specchio rovesciato della società

Papa Roncalli a Regina Coeli (26 dicembre 1958)
14 gennaio 2021

I penitenziari sono «lo specchio rovesciato di una società, lo spazio in cui emergono le contraddizioni e le sofferenze» di una realtà «malata»: basterebbe quest’intuizione del cardinale Carlo Maria Martini a spiegare l’importanza della pastorale carceraria, che negli ultimi anni ha assunto un ruolo sempre maggiore tra le priorità dei Papi. Un rapporto, quello tra i vescovi di Roma e i detenuti, che si è fatto sempre più prossimità, ascolto e attenzione reciproci, in un crescendo culminato con il pontificato di Francesco, durante il quale solo per elencare le visite ai reclusi e gli appelli per la loro dignità e per un segno di clemenza nei loro confronti servirebbero diverse pagine del nostro giornale. Limitandosi al 2020 che si è appena concluso, con un’attività pubblica fortemente ridotta a causa del covid-19, si potrebbe ricordare che Papa Bergoglio ha dedicato al mondo dei “ristretti” più di una delle messe celebrate in diretta streaming a Santa Marta ogni mattina durante il lockdown e che ha deciso di affidare le meditazioni per la Via crucis del venerdì santo — tenutasi in piazza San Pietro e non come da tradizione al Colosseo — alla comunità del Due Ponti di Padova; fino a giungere alla recente udienza generale di un mese e mezzo fa, era il 2 dicembre,  quando ha confidato commosso che gli tornano spesso in «mente quelle tante volte» in cui in Argentina vedeva «mamme in fila per entrare e vedere il loro figlio carcerato».

Un’attenzione privilegiata la sua, fatta anche di gesti concreti, come il dono di termoscanner per i detenuti di Panamá, inviati nell’agosto scorso in piena pandemia, e che ha trovato espressione magisteriale anche nell’enciclica Fratelli tutti, in cui Francesco esorta a non vedere la pena come una vendetta, ma come parte di un processo di guarigione e di reinserimento sociale, e a migliorare le condizioni delle carceri, nel rispetto della dignità umana di chi le abita, anche con il fermo convincimento che l’ergastolo sia «una pena di morte nascosta» (263-269).

Questa predilezione risale all’episcopato a Buenos Aires ed è stata mantenuta viva dopo l’elezione alla sede di Pietro, manifestandosi con tanti gesti di prossimità: dalle telefonate domenicali ai detenuti argentini con cui è rimasto in contatto, alle soste nei penitenziari durante i viaggi internazionali (soprattutto quelli nella sua America latina) e in Italia; o nel tradizionale rito della lavanda dei piedi del Giovedì santo, quasi sempre riservato proprio ai carcerati: a cominciare dai minori dell’Istituto penale romano di Casal del Marmo, passando poi per Rebibbia (2015), Paliano (2017), Regina Coeli (2018) e Velletri (2019).

«Perché loro e non io?»: l’interrogativo che Francesco ripete spesso quando parla di questo tema è risuonato anche durante l’udienza del 7 febbraio 2019, in quel caso riservata al personale della storica casa circondariale di Trastevere. Ed è proprio a Regina Coeli, con i famosi “tre scalini” cari al folklore popolare romano, che è in qualche modo iniziata la tradizione “contemporanea” delle visite dei Papi a quei luoghi di sofferenza in cui donne e uomini pagano i conti in sospeso con la giustizia. Da Giovanni xxiii a Paolo vi , da Giovanni Paolo ii a Benedetto xvi , tutti hanno voluto testimoniare la loro prossimità a quella porzione di umanità che vive dietro le sbarre, in obbedienza al comando evangelico «ero in carcere e mi avete visitato».

Erano le 8.05 del 26 dicembre 1958, festa di santo Stefano, quando Roncalli, eletto appena due mesi prima, attraversò l’ingresso di via della Lungara, inaugurando di fatto il Pontificato con un’opera di misericordia. Anche il suo successore, Montini, ne varcò la soglia il 9 aprile 1964 per celebrare la messa al centro della rotonda e invitare i presenti a non cedere alla disperazione. Da parte sua Wojtyła. che nel 1980 si era recato a Casal del Marmo e nel 1983 a Rebibbia per incontrare Alì Agca, andò a Regina Coeli durante il grande giubileo del 2000, così come fece in varie carceri d’Italia e del mondo. Infine Ratzinger non mancò di incontrare i detenuti di Casal del Marmo (il 18 marzo 2007) e di Rebibbia (il 18 dicembre 2011).

Nei secoli passati le cronache ricordano altri simili gesti di attenzione da parte dei Pontefici: sia Innocenzo x (nel 1650) sia Clemente xi (nel 1704) visitarono i cantieri per la costruzione delle carceri di via Giulia e di Porta Portese, preoccupandosi di far garantire condizioni più umane agli ospiti. E a inizio Ottocento (nel 1824 e nel 1827) Leone xii si recò sia a via Giulia sia nel carcere minorile di via del Gonfalone. E Pio ix , prima dell’annessione di Roma al regno d’Italia, visitò i reclusi del bagno penale di Civitavecchia e i detenuti politici nelle prigioni cittadine. Dopo Mastai Ferretti, però, questa pia pratica si era interrotta a motivo della “questione romana” con i Papi che si consideravano a loro volta “prigionieri” e non uscivano mai dal Vaticano.

di Gianluca Biccini