Gli spari durante la messa, la fuga, la paura nel racconto di suor Elvira Tutolo, missionaria nella Repubblica Centrafricana

Bangui, il silenzio
dopo la battaglia

A United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in the Central African Republic ...
14 gennaio 2021

«Chi vuole entrare a Bangui deve passare da qui, dal “chilometro 12”. È uno dei tre ingressi alla capitale. Da qui sono entrati in passato i seleka e i loro rivali anti-balaka. Da qui ieri mattina sono entrati i ribelli che vogliono conquistare la città. E noi ce li siamo trovati di fronte all’improvviso. E hanno iniziato a sparare». Suor Elvira Tutolo ha trascorso quasi venti dei suoi sett’antanni nella Repubblica Centrafricana dopo gli otto in Ciad e due in Camerun. Di conflitti ne ha vissuti tanti, così come situazioni difficili e pericolose. Ma ieri, a Bangui, ha avuto davvero paura.

Come ogni mattina, con cinque consorelle è uscita dalla casa delle suore della carità di santa Giovanna Antida Thouret, alla periferia della città, per andare a messa in parrocchia. In macchina ha superato il posto di controllo, anche se alle 5 del mattino c’era ancora il coprifuoco, e ha raggiunto la chiesa.

«Verso la fine della preghiera che precede la messa abbiamo sentito un botto fortissimo — racconta al telefono la missionaria di origini molisane — e poi tanti colpi di arma da fuoco. La sparatoria è continuata per oltre due ore. Quando i colpi si sono diradati abbiamo deciso di provare a tornare a casa. Però non abbiamo usato l’auto, ma siamo andate a piedi; non lungo la strada principale, ma tra le vie del quartiere».

La situazione sembrava più tranquilla, ma a metà strada le suore hanno incrociato due veicoli con a bordo ribelli armati che, appena le hanno viste, hanno invertito la marcia, iniziando a sparare. «Ci siamo messe a correre — racconta suor Elvira — e una famiglia ci ha detto di entrare nella loro casa. Quando sono arrivati, i ribelli hanno ripreso a sparare, non verso di noi, ma verso una casa accanto. Forse volevano solo spaventarci, ma abbiamo avuto paura. Ormai conosciamo anche le armi che usano. Quelle erano “pesanti” e le case qui sono di paglia e qualche mattone. Le mie consorelle africane tremavano. Ho cercato di tranquillizzarle. Stavolta i ribelli dicono di non avercela con la popolazione, ma con le autorità e che quindi non faranno del male ai civili. In ogni caso hanno continuato a sparare per un’ora. Poi via via si sono allontanati. A quel punto siamo uscite e abbiamo finalmente raggiunto la nostra casa».

Tanta paura dunque, ma fortunatamente le suore sono rimaste illese. Nel resto della giornata i conflitti a fuoco tra ribelli, esercito e caschi blu della Minusca, la missione dell’Onu in Centrafrica, sono proseguiti fino alle 18, quando è iniziato il coprifuoco. «Si sentiva solo il rumore assordante degli elicotteri che pattugliavano l’area. La notte — ci dice ancora suor Elvira — è trascorsa in un silenzio irreale. E anche questa mattina il quartiere è avvolto nel silenzio. La gente è fuggita. Le strade dono deserte. Chiunque in passato è transitato da qui, seleka, anti-balaka, ha ucciso. La radio di Stato invita alla calma e dice che gli attacchi dei ribelli saranno respinti definitivamente. Ma Bangui oggi sembra una città morta. Circolano solo militari. La gente si chiede quando i ribelli ritenteranno di prendere la capitale. Perché se non oggi, sarà domani, o dopodomani. Non è finita».

La sensazione, dunque, è che l’assalto a Bangui sia solo all’inizio, in quello che le autorità governative hanno definito un tentativo di colpo di Stato da parte dell’ex presidente Bozize, escluso dalle elezioni del 27 dicembre vinte da Touadera, e avviato prima del voto. Ieri i ribelli — la “coalizione di patrioti per il cambiamento” che secondo le autorità combatte per conto di Bozize — sono stati respinti dall’esercito e dai caschi blu. Uno di questi, un soldato ruandese, è rimasto ucciso.

Su quanto accaduto è intervenuto il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, condannando con forza l’offensiva dei ribelli e ribadendo che gli attacchi contro i caschi blu «possono costituire crimine di guerra». Guterres ha fatto quindi appello alle autorità centrafricane perché prendano tutte le misure necessarie per punire i responsabili dei raid. E oggi a New York si terrà una riunione straordinaria del consiglio di sicurezza per parlare di questa crisi di cui nessuno o quasi parla e dei 30.000 profughi in fuga dal Paese.

di Gaetano Vallini