Dialogo tra cattolici ed ebrei
Un anno fa la morte di Maria Vingiani fondatrice del Segretariato attività ecumeniche

Maestra sulla strada
della riconciliazione

Papa Francesco con il rabbino Di Segni il 17 gennaio 2016 alla Sinagoga di Roma
13 gennaio 2021

La settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio) ha alle proprie spalle una storia lunga e varia. I suoi albori risalgono addirittura al 1908. Essa ha una dimensione internazionale: l’individuazione dei suoi temi è affidata, a turno, a varie Chiese sparse sulla superficie dell’intero pianeta. In Italia, a partire dal 1990, per volontà della Cei la settimana è preceduta da una giornata dedicata «all’approfondimento delle relazioni della Chiesa cattolica in Italia con il popolo ebraico e allo sviluppo del dialogo ebraico-cristiano». Il fatto che tanto Benedetto xvi (2010) quanto Papa Francesco (2016) abbiano scelto il 17 gennaio per la loro visita al Tempio maggiore di Roma ha collocato, in effetti, l’evento in un contesto più ampio. Ciò non toglie che la sua matrice resti peculiarmente italiana. È significativo, in proposito, che nel corso della seconda assemblea ecumenica europea svoltasi a Graz nel 1997 si sia guardato con interesse all’inedita iniziativa dell’episcopato italiano. Ma cosa indusse i presuli a compiere questa scelta innovativa?

All’atto di presentare la prima edizione il vescovo Alberto Ablondi, allora presidente del Segretariato della Cei per l’ecumenismo e il dialogo, scrisse che la giornata doveva portare «a migliorare “la conoscenza della realtà religiosa ebraica” (Nostra aetate, n. 4); all’eliminazione dei pregiudizi religiosi; a un atteggiamento fra ebrei e cristiani di fiducia reciproca, in cui gli ebrei “siano veramente degni della nostra reverenza e del nostro amore” (Paolo vi) ; a un dialogo in cui saranno importanti gli approfondimenti biblico-teologici, incontri di comunità, visite reciproche; alla cooperazione nella difesa dei diritti umani, nell’impegno contro la discriminazione, il razzismo e l’antisemitismo; a iniziative per la pace e la salvaguardia del creato […] Con tale iniziativa […] la Chiesa ha voluto rispondere a un’esigenza di maggiore comprensione di sé attraverso una componente delle sue origini; nello stesso tempo ha inteso esprimere un gesto di dialogo e di fraternità verso il popolo ebraico» (Il Regno, Attualità, n. 22, 1989, pagina 634).

La presentazione di monsignor Ablondi da un lato invitava a costruire un dialogo ad extra con il mondo ebraico e dall’altro proponeva una riflessione ad intra volta a un approfondimento di natura ecclesiale. Quest’ultima indicazione riprendeva l’istanza, teologicamente alta, con cui inizia il n. 4 della dichiarazione conciliare Nostra aetate: «Scrutando il mistero della Chiesa, il sacro Concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato alla stirpe di Abramo». Ci si poteva attendere che monsignor Ablondi esprimesse qualche valutazione sulla scelta del giorno, il punto però non fu messo molto in evidenza. Rispetto all’individuazione della data si sarebbe potuto pensare a un influsso avuto da una frase, spesso citata, pronunciata dal grande teologo riformato Karl Barth, agli inizi degli anni Sessanta; in occasione di una sua visita a Roma all’allora Segretariato per l’unità dei cristiani egli affermò che «esiste, in ultima analisi, un solo grande problema ecumenico: quello delle nostre relazioni con il popolo ebraico». Né va trascurato il fatto che la Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo è aggregata al Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani (l’attuale nome del Segretariato) e non già a quello preposto al dialogo interreligioso.

In realtà questi ultimi riferimenti, per quanto pertinenti, non sono geneticamente i più significativi, l’apporto a monte più incisivo venne infatti dal Segretariato attività ecumeniche (Sae) e in particolar modo dalla sua fondatrice Maria Vingiani che faceva parte, all’epoca, della Commissione della Cei per l’ecumenismo e il dialogo (allora aperta anche ai laici). Il Sae si autodefinisce «associazione interconfessionale di laiche e laici per l’ecumenismo e il dialogo a partire dal dialogo ebraico-cristiano». Tutti i termini ora indicati sono significativi. Maria Vingiani, donna e laica, prima del concilio Vaticano ii fondò un’associazione che, dopo aver già svolto molte attività, si sarebbe costituita a livello nazionale ufficiale nel 1966. Già in epoca preconciliare si avviarono contatti con coloro che, allora, erano considerarti eretici assai più che «fratelli separati». L’epoca conciliare e i rapporti personali con Papa Roncalli contrassegnarono un cambio di clima. Un passaggio fondamentale per Vingiani fu aver favorito l’incontro tra lo storico ebreo francese Jules Isaac e Papa Giovanni xxiii ; con ogni probabilità, il colloquio svolse un ruolo decisivo per avviare il cammino che condusse il concilio a promulgare la dichiarazione Nostra aetate. In ogni caso, i rapporti con Isaac furono fondamentali per far crescere in Vingiani la convinzione che il processo ecumenico di riconciliazione tra le Chiese comportasse una relazione costante e primaria con il popolo ebraico.

L’attività forse più conosciuta del Sae è l’annuale sessione di formazione ecumenica (giunta ormai alla cinquantaseiesima edizione). Già una mozione approvata nella sessione del 1983, cui diede un contributo qualificante un altro pioniere del dialogo ebraico-cristiano, Renzo Fabris, proponeva l’istituzione di una giornata per l’ebraismo. Essa fu uno degli spunti che stimolò Maria Vingiani a insistere perché l’idea potesse infine essere messa in pratica. Commentando l’istituzione della giornata nel corso della Sessione di formazione ecumenica del 1995, Vingiani si espresse in questi termini: «Giornata che per il lungo cammino fatto insieme è stata condivisa pienamente anche da esponenti ufficiali dell’ebraismo e dai fratelli evangelici di varie denominazioni presenti in Italia. Con questa giornata, posta alla vigilia della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani e finalizzata all’incontro vivificante delle Chiese con Israele, la consegna del cambiamento arriva finalmente alle diocesi, alle parrocchie, ai seminari e alle comunità per guidare i cristiani alla conoscenza corretta e al rispetto della realtà, della spiritualità e della tradizione ebraiche, per approfondire il rapporto unico del cristianesimo con l’ebraismo, per non dimenticare che i cristiani e le Chiese si nutrono dell’ulivo buono su cui sono innestati i rami dell’ulivo selvatico (Romani, 11, 17-23) e che “Gesù è ebreo ed ebreo per sempre” (Sussidi iii , 1)». Lo sviluppo della riflessione esegetica e teologica e la pratica del dialogo avviato con varie componenti ebraiche hanno evidenziato ulteriori componenti di un quadro certamente complesso. Alcune delle stesse affermazioni di Vingiani andrebbero, ora come ora, meglio precisate. Non c’è dubbio però che questi progressi sono largamente debitori a chi in passato ha aperto nuove vie; tra loro ci fu una donna laica maestra di ecumenismo e di dialogo dentro e fuori la Chiesa cattolica.

La lunga, coraggiosa e feconda vita terrena di Maria Vingiani è terminata un anno fa, il 17 gennaio 2020. Per molti la data rappresenta una coincidenza significativa, per alcuni costituisce, invece, una realtà che si colloca su un piano più alto del puro accadere.

di Piero Stefani
Presidente del Segretariato attività ecumeniche