Fotografie dal mondo
In un volume oltre trecento immagini dall’archivio dell’agenzia Magnum

Seguendo il ritmo
delle strade

Il tramonto tra Kent Avenue e South 3rd Street, Williamsburg, Brooklyn, New York, Stati Uniti, 2016 © 2019 Thomas Dworzak/Magnum Photos
12 gennaio 2021

Un genere a lungo considerato minore
ma in grado di cogliere lo spirito del tempo


Molti fotografi hanno raccontato ciò che intendevano per street photography, fotografia di strada. Una delle spiegazioni più interessanti è quella di Alex Webb: «Il miglior modo per conoscere un posto è camminare. Perché un fotografo di strada può solamente camminare e guardare, aspettare e parlare, e poi guardare e aspettare ancora, cercando di restare fiducioso che l’inatteso, l’ignoto, o il cuore segreto della conoscenza lo attenda proprio dietro l’angolo. Il mio modo di fare la fotografia di strada è piuttosto semplice. Percepisco, quasi “fiuto” la possibilità di una fotografia. Cerco di seguire il ritmo delle strade, talvolta immergendomi nelle situazioni, altre volte restandone al di fuori. Tutto dipende da quello che il mondo vuole offrirmi in quel determinato momento». Ma, quali che siano l’approccio e la modalità, è il risultato che conta. E nel corso dei decenni i fotografi ci hanno regalato istantanee eccezionali rubate alla strada, alcune delle quali sono diventate immagini iconiche, perché in quell’attimo immortalato sono riuscite a cogliere lo spirito del tempo, a rappresentare la condizione di una società.

Pur essendo un genere a sé, la street photography ha un fascino particolare, tanto che quasi tutti i fotografi, dai grandi maestri ai semplici appassionati, vi si sono cimentati almeno una volta, anche per puro divertimento. Perché la strada è una riserva inesauribile di situazioni, da quelle più normali alle più inverosimili. La bravura del fotografo sta nel saper cogliere sia nella normalità — che ai suoi occhi è sempre apparente e suscettibile di improvvisi mutamenti — sia nell’imprevedibilità quella particolare situazione capace di condensarsi in un singolo scatto, consegnandolo a un significato fino a un momento prima inimmaginato. Ambientazioni e cast sono praticamente senza limiti. Come affermava Elliott Erwitt, un altro maestro del genere, «una buona immagine puoi trovarla ovunque, basta notare le cose e organizzarle. Devi solo interessarti al mondo intorno a te, all’umanità e alla commedia umana».

L’editrice Contrasto offre un’opportunità ghiottissima per immergersi in questo genere attraverso una raccolta intitolata Magnum sulla strada (Roma, 2020, pagine 384, euro 29,90), un viaggio attraverso le immagini, le pratiche e i fotografi dell’agenzia più famosa al mondo che con i loro scatti hanno definito e reso popolare la street photography. Con oltre trecento fotografie il volume curato da Stephen McLaren consente un interessante sguardo di insieme sul genere, contribuendo alla sua comprensione. Del resto quell’impulso che si ha nel catturare al volo, negli spazi pubblici, immagini non studiate fa parte fin dalle origini del Dna della Magnum Photos, nata nel 1947. E fu lo stesso Henri Cartier-Bresson, uno dei fondatori, a elaborare i principi della street photography prima che questa avesse un nome. E lo fece appena ventenne, quando con la sua Leica attraversò l’Europa e il Messico realizzando fotografie considerate tuttora i cardini del genere.

Dopo di lui ciascun fotografo entrato nella Magnum porta non solo il proprio talento, ma un modo originale di intendere le immagini di strada che così, come un filone inesauribile, attraversano tutta la produzione dell’agenzia. Non si tratta solo del lavoro di maestri riconosciuti del genere — come Elliott Erwitt, Martin Parr, Alex Webb, Bruce Gilden, Richard Kalvar, Sergio Larraín — ma anche delle immagini di autori che, pur concentratisi sul fotogiornalismo, sul reportage, non hanno mancato di dare il loro importante contributo e tra questi Robert Capa, Abbas, Susan Meiselas, Peter van Agt-mael.

McLaren non solo delinea un profilo degli autori più rappresentativi del genere, ma si sofferma su alcuni dei filoni più seguiti, dalla documentazione del tempo libero alla brulicante vita dei mercati, dall’interazione degli individui sui mezzi pubblici ai luoghi di passaggio nelle città, alcune delle quali, come New York, Parigi, Londra e Tokyo, sono state fonte di particolare ispirazione. Ma al di là delle tecniche e degli sviluppi tecnologici, come l’avvento del colore e del digitale, è la comune sensibilità dei singoli fotografi a fare la differenza e a definire che cosa vuol dire essere un fotografo di strada.

Gli street photographer conoscono, infatti, il cuore della città, com’è organizzata la vita al suo interno; sanno come mescolarsi al flusso urbano, sono in grado di intuire il modo in cui le persone si rapportano fra loro. Ad esempio, leggono in anticipo le intenzioni di un pedone, se sta per attraversare una strada, se si fermerà o meno a un semaforo; riconoscono le abitudini di un gruppo di persone, intuendo se e quando vale la pena avvicinarsi con discrezione a una scena potenzialmente interessante per poi dileguarsi altrettanto discretamente dopo lo scatto desiderato. Ma sanno anche da che lato tramonterà il sole in autunno a Central Park, quale strada di Manhattan è più affollata il venerdì sera. Tutto per essere pronti a cogliere il momento decisivo, quello in cui accadrà qualcosa che vale la pena di immortalare.

Secondo McLaren, più che un genere, la fotografia di strada può essere considerata una tradizione, «una combinazione di strumenti improvvisati da usare quando il momento lo richiede, come un musicista jazz che insegue un riff. Di fronte alla migliore street photography ci apriamo a tutta una serie di stati d’animo, talvolta con la caustica ironia di un Elliott Erwitt, ma anche con empatia, fascinazione e in alcuni casi inquietudine». Di sicuro è una tradizione che non conosce crisi, soprattutto oggi, con l’avvento degli smartphone, grazie ai quali tutti si sentono un po’ fotografi di strada. E nel mondo dei veri appassionati oggi c’è un rinnovato interesse per il genere. A testimoniarlo, ad esempio, il successo dei libri e delle mostre della tanto prodigiosa quanto sconosciuta, fino a qualche anno fa, Vivian Maier, o del ben noto Martin Parr. Eppure, chiosa però il curatore del volume, «nella prima età dell’oro, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, la street photography era a malapena “qualcosa”. Chi avesse chiesto al grande pubblico il nome di un suo esponente importante, avrebbe ricevuto di rimando degli sguardi vuoti, perché non era un’attività culturale di tendenza. La sua popolarità attuale, tuttavia, è stata un’arma a doppio taglio, poiché postmodernisti, curatori di gallerie d’arte e critici vari si sono tutti augurati che fosse morta, affinché si potesse affermare una fotografia più concettuale, che si elevasse sopra gli sforzi più modesti degli street photographer».

Magnum per strada sgombera il campo da ogni fraintendimento o colpevole diminuzione. Il libro è infatti uno scrigno di perle rubate alla vita di ogni giorno, un’occasione per immergersi in un genere popolare ma tutt’altro che minore. Soprattutto è una lente che aiuta a leggere la storia, quella più recente.

E proprio in un tempo in cui sovrabbondano le immagini generate e messe in rete da milioni di improvvisati reporter, è tanto più necessaria la presenza di fotografi in grado di leggere e documentare i mutamenti in atto. E nulla è più interessante di una piazza del centro città o di una strada di periferia, di un treno della metropolitana carico di pendolari, di un mercato affollato, di una spiaggia d’estate o di una festa popolare per raccontare dal basso come cambia una società.

di Gaetano Vallini