Il Pime in Myanmar nel ricordo di padre Meda

Il missionario che ideò
le adozioni a distanza

Padre Meda riceve, nel 2004, il premio l’«Ambrogino d’oro»
12 gennaio 2021

Myanmar, 1868. Quattro sacerdoti di quello che ai tempi si chiamava «Seminario lombardo per le missioni estere» (dal 1926 Pontificio Istituto missioni estere) sbarcano nell’allora Birmania, su indicazione di Propaganda Fide. Il futuro Pime era stato fondato da soli 18 anni: a guidare il drappello è il prefetto apostolico, padre Eugenio Biffi, il quale, partito nel 1855 per la Colombia, ne era stato espulso dodici anni dopo. Appreso che in città erano già presenti cristiani di altre denominazioni e che la popolazione, in maggioranza buddista, era piuttosto refrattaria alle conversioni, i quattro missionari italiani decisero di oltrepassare il fiume Salween e di dedicarsi ai tribali, disprezzati da tutti. Gli inglesi li sconsigliarono con forza, ammonendoli: «Non potremo più proteggervi!». Al che i pionieri del Pime replicarono: «Noi andiamo lo stesso, siamo sotto la protezione di Gesù Cristo».

È grazie a loro e ai moltissimi confratelli che si succedettero nel corso degli anni (tra questi il beato Clemente Vismara e fratel Felice Tantardini, anch’egli in cammino verso gli altari) se il vangelo è stato annunciato nella regione più remota e isolata della Birmania, tra le popolazioni di etnia shan, karen e kayan. Una regione molto vicina al famigerato “triangolo d’oro”, ancora oggi zona di traffici illegali (droga, in primis), scontri e violenza. Centotrentanove anni dopo — con la morte di padre Paolo Noè, l’ultimo missionario Pime sul campo, scomparso nel 2007 dopo aver vissuto a lungo in aree a lungo inaccessibili agli occidentali per via della guerra con gli indipendentisti locali — si chiudeva la straordinaria epopea missionaria del Pime in Myanmar.

Ma l’amicizia intessuta fra l’istituto, che nel Paese ha fondato sei delle sedici diocesi, e questo tribolato angolo d’Asia è tutt’altro che finita, come testimoniano, ad esempio, i continui contatti fra molte diocesi birmane e il Pime, specie per quanto concerne il supporto formativo ai seminaristi e ai preti. Un’amicizia nel segno della più genuina gratuità evangelica, se pensiamo che, nonostante tutte le energie spese, tuttora, su una popolazione di oltre cinquanta milioni di abitanti, articolati in un centinaio di gruppi etnici, i cattolici sono soltanto settecentomila. Tra i segni più evidenti di questa amicizia, che nel 2008 è stata solennemente festeggiata dalla Chiesa locale al giro di boa del secolo e mezzo, quello rappresentato dalle adozioni a distanza. Oggi sono tantissime le onlus e le associazioni che utilizzano questo canale di solidarietà. Ma pochi sanno che ad inventarlo è stato, nel lontano 1958, un missionario del Pime, all’epoca attivo proprio in Birmania: padre Mario Meda, brianzolo d’origine, morto sabato scorso all’età di 93 anni.

Padre Mario dirigeva allora a Kengtung, nell’estremo nord-est del Paese, la scuola San Luigi, che contava oltre trecento alunni e fungeva anche da orfanotrofio, catechistato e pre-seminario diocesano. Quando nel 1966 il governo al potere — che perseguiva la “via birmana al socialismo” — espulse tutti i missionari entrati nel Paese successivamente alla proclamazione dell’indipendenza (1948), per padre Meda, come per molti suoi confratelli costretti all’esilio forzato, si aprì il problema di come evitare che le opere cattoliche crollassero. Ed è lì che prese corpo l’idea, fino a quel momento mai esplorata, di affidare a una famiglia di benefattori l’aiuto di un singolo bambino in un Paese lontano, in una sorta di “adozione” a distanza. Racconta padre Piero Gheddo in Missione Birmania (Emi, 2007): «Padre Meda ha trovato piena corrispondenza in padre Nicola Maestrini, a quel tempo superiore generale del Pime negli Stati Uniti, che assunse subito una segretaria per lanciare queste adozioni negli Usa, ottenendo una quantità incredibile di risposte». Quanto all’Italia, l’iniziativa si andò strutturando a partire dal 1969. Pur senza l’ausilio di database informatici, a Milano padre Meda e il confratello padre Mauro Mezzadonna  riuscirono ad accumulare le schedine cartacee di ben 17 mila donatori, ai quali vennero affidati bambini e bambine segnalati dalle missioni del Pime: non solo dalla Birmania, ma, a quel punto, da tutto il mondo. Nel 2004 tale impegno ha meritato a padre Meda l’Ambrogino d’oro, la massima onorificenza concessa dalla città di Milano. Un impegno che non finisce con la morte di padre Mario, ma continua grazie alle strutture preposte del centro missionario Pime di Milano.

di Gerolamo Fazzini