«Borgo Sud» di Donatella Di Pietrantonio

Anche solo un aggettivo

 Anche solo  un aggettivo  QUO-008
12 gennaio 2021

Torna tra noi l’Arminuta. Sono passati gli anni, come recita la fascetta di copertina di Borgo Sud (Torino, Einaudi, 2020, pagine 168, euro 18), lei è diventata grande ma dovrà ancora fare i conti con la famiglia da cui proviene, un padre e una madre che paiono murati al gesto gentile, al sorriso, al calore, all’accoglienza. Prime vittime di sé stessi ma soprattutto tremendi come genitori, per la figlia un fardello pesante di parole non dette, di abbandoni, di un ruvido modo di stare al mondo.

La protagonista l’avevamo lasciata adolescente, felice e salva per il rapporto intenso e vero con la sorella Adriana. L’Arminuta ha studiato, ha cercato e ottenuto una emancipazione dalle radici familiari primitive, scabre, ormai lontane anni luce da lei che è cresciuta. Si è laureata, si è sposata, ha insegnato all’università di Chieti.

Nel momento in cui la ritroviamo vive e lavora all’estero, all’università di Grenoble. Ed è qui che la raggiunge una notizia, voce di sirena, che la spinge a tornare in fretta e furia a Pescara: la sorella Adriana è ricoverata in condizioni gravissime in ospedale.

Nei giorni e nelle notti, pressoché insonni, la protagonista ricorda. Si tratta di frammenti in apparenza sparsi ma che poi il lettore mette insieme e viene fuori un puzzle completo di quello che è stato negli anni di lei, del suo rapporto con Adriana, con i genitori, col marito Piero. Adriana è quella che ha salvato l’Arminuta dallo sprofondare in un vuoto siderale per gli abbandoni subìti e una tagliente mancanza d’amore, ora spetta alla voce narrante raccontare come i ruoli si siano a lungo invertiti.

Adriana non ha studiato, è rimasta una che «cambia umore da un momento all’altro con leggerezza» una che ha scelto di vivere una vita «scandalosa e pulsante» con quel che ne è derivato in esperienze e incontri amorosi che non l’hanno certo aiutata. Adriana ha il vizio di alzare le mani e in qualche modo consente che gli uomini facciano altrettanto con lei. «Le usa dove non arriva con le parole». Adriana era stata maledetta dalla madre, una madre “feroce”, prigioniera dell’incapacità di esprimere sentimenti oltre che parole.

Donatella Di Pietrantonio con Borgo Sud completa un racconto iniziato con L’Arminuta e lo fa con una scrittura che gronda di grazia e di precisione chirurgica, senza cedere mai a corde sentimentali, ma precisa, fotografica, attenta alla parola nitida come cristallo.

Racconta come sia impossibile recidere radici dolorose anche quando si siano prese distanze geografiche e culturali enormi, di come sia difficile dire che razza di famiglia ci ha messo al mondo. Pure, nei momenti estremi, si fa strada nella narrazione, una sorta di pietas, una capacità di cogliere barlumi di fragilità e di pentimento in personaggi duri e amari.

L’abilità dell’autrice sta molto nei dettagli, in quell’affiancare a una scena un particolare, una eco in apparenza di sottofondo ma che, invece, dà forza e significato alla stessa scena.

In un momento difficile del rapporto con il marito, dopo una giornata di imbarazzi e scontrosità, l’autrice dice che sono rimasti insonni, nel letto, voltati di schiena uno contro l’altro. E aggiunge: «Era quasi l’alba quando è arrivato dal bosco il verso angoscioso di un animale predato». Bene, il verso dell’animale predato è esattamente la cassa di risonanza di quello che la protagonista sente di essere o potrà essere. L’uso della lingua per Donatella Di Pietrantonio ha a che fare con le sue prove in verso, dove l’arte sta nel dire ma soprattutto nell’evocare. Anche solo con un aggettivo.

di Giulia Alberico