UN PRETE PER CHIACCHIERARE
Il sedicenne

La fatica della testimonianza

 La fatica  della testimonianza  QUO-007
11 gennaio 2021

«Comunque don oggi (a 16 anni 3 mesi e 28 giorni), ho fatto davvero fatica ad ammettere davanti agli altri il fatto di essere cristiano». Messaggio delle 00.29. Jacopo, uno dei ragazzi del mio oratorio. Uno di quelli che partecipa con entusiasmo agli incontri di catechesi, va a messa alla domenica ed è buono con tutti. Uno di quelli che quest’estate ha davvero fatto esperienza di Dio insieme con i suoi amici nel corso delle attività che abbiamo condiviso — e posso testimoniarlo di persona. Uno che pochi giorni fa aveva cercato per dirmi che finalmente era pronto per definirsi cristiano — e ricordo benissimo il sorriso sul suo volto, l’emozione nelle sue parole e l’abbraccio che ci siamo scambiati. Eppure, a 16 anni, 3 mesi e 28 giorni, Jacopo ha fatto fatica ad ammettere di essere cristiano di fronte ai suoi compagni di classe. «Cos’è successo?», gli rispondo. All’intervallo è partita una bestemmia. È il solito casinista — mi dice — quello che deve sempre mettersi in mostra solo per attirare l’attenzione su di sé. Buona parte della classe è scoppiata in una fragorosa risata e anche altri compagni, a ruota, hanno iniziato a bestemmiare facendo a gara a inventare le espressioni più creative possibili. E giù tutti a ridere. «Mi sentivo a disagio, non sapevo cosa fare. Avrei voluto dire qualcosa, ma ho avuto paura di essere preso in giro». Ed è stato zitto. Anzi, quando uno dall’altra parte dell’aula ha ironizzato sul fatto che lui non stesse prendendo parte al gioco, Jacopo ha semplicemente risposto che stava pensando all’interrogazione di fisica dell’ora successiva. Devo dire che stimo molto il coraggio con cui mi ha raccontato questo episodio di debolezza — come lui stesso l’ha definito. Si è reso conto di non essere stato fedele a se stesso e di essersi vergognato del nome di Cristo. E questo, ai suoi occhi di sedicenne, è stato un vero e proprio tradimento. Ma non ai miei. O meglio, io ci vedo soprattutto altro. Vedo un cristiano sincero che ha incontrato Dio e sta scoprendo che il Vangelo è bello perché esigente. Vedo un ragazzo sensibile che vorrebbe dare sempre il meglio di sé ed essere di esempio per gli altri. Vedo un sedicenne normale, capace di grandi passioni eppure ancora fragile e insicuro. E di quello che vedo non posso che essere felice fino alle lacrime. Tutto il resto —la debolezza, l’incoerenza, il tradimento — non sono un problema così grave. O meglio, se guardati con amore, possono diventare persino una benedizione. «Grazie, don, per avermi scritto queste cose. Prima vedevo solo il mio fallimento. Adesso mi rendo conto di quanto sia fortunato ad avere incontrato Gesù. È una responsabilità bellissima».

di Alberto Ravagnani