Nello Stato nigeriano di Owerri teatro del rapimento di monsignor Chikwe

Dove la storia è piena
di atrocità da non ripetere

Dal luglio 1967 al gennaio 1970 la guerra del Biafra provocò tre milioni di morti soprattutto di fame e di malattia
11 gennaio 2021

Da qui è passata la storia. Una storia truce, fatta di violenza, sangue e carestia. Owerri, il capoluogo di Imo, uno degli stati della federazione nigeriana, è stata uno dei principali campi di battaglia durante la guerra del Biafra che venne combattuta dal 1967 al 1970. Qui si respira il vento di quel passato, ma anche un presente non semplice. Ed è proprio in questo contesto che è maturato il rapimento di monsignor Moses Chikwe, vescovo ausiliare dell’arcidiocesi cattolica di Owerri, poi rilasciato sabato 2 gennaio.

«La politica con il rapimento non c’entra», osserva padre Vitus, rettore del seminario nello Stato di Imo: «Nella nostra regione si ripetono spesso rapimenti di persone. Bande di giovani senza lavoro né futuro cercano di arricchirsi con i riscatti. La sorpresa è che per la prima volta hanno preso di mira un prelato. Finora non era mai successo che puntassero così in alto». I rapiti vengono nascosti nella foresta nazionale di Bayelsa. Qui i sequestratori hanno i loro rifugi e qui possono contare anche sulla complicità delle popolazioni locali. «Il vescovo — spiega padre Isaac, un altro sacerdote dell’Opera don Guanella — è stato ordinato solo un anno fa. L’ipotesi del coinvolgimento della criminalità è quella più plausibile. Negli ultimi anni si è assistito a una recrudescenza di fatti criminosi e una sorta di impotenza/imperizia delle forze dell’ordine. Molti giovani disperati si danno al crimine per sbarcare il lunario».

Sullo sfondo ci sono anche le rinnovate rivendicazioni di indipendenza. Imo è uno dei dieci stati che componevano il Biafra, un Paese nato, poco dopo l’indipendenza della Nigeria, in contrapposizione al governo centrale. La guerra che scoppiò fece più di un milione di morti tra militari e civili e lasciò la regione in una condizione di prostrazione che durò per anni. Ora, dopo un lungo periodo di silenzio, si levano nuovamente le voci che chiedono l’indipendenza del Biafra. Nnamdi Kanu è il leader dell’Indigenous People of Biafra, gruppo separatista che il presidente della Repubblica, Muhammadu Buhari, ha bollato come «organizzazione terroristica». Proprio Kanu è stato costretto a lasciare la Nigeria per rifugiarsi in Israele. L’ideale dell’indipendenza, osserva padre Vitus, «è fortissimo nell’Imo. Da anni ormai sono tornate a farsi sentire le voci di separazione dal resto della Nigeria. Molti giovani sono come inebriati dalla possibile secessione e nei loro slogan mescolano politica, religione, tribalismo. I vecchi, che hanno vissuto la guerra civile, però cercano di smorzare gli entusiasmi. Si ricordano le atrocità di quel periodo e non vogliono ripetere quella tragica esperienza».

E la Chiesa cattolica? «La Chiesa — continua padre Jude — lavora per la giustizia e la pace sociale. I prelati e i religiosi non si mescolano nelle questioni politiche, ma continuano a predicare la nonviolenza e la necessità di dialogo tra le parti». La Chiesa cattolica lavora inoltre per aprire un dialogo con le diverse confessioni religiose. «Nello Stato non ci sono problemi con le diverse Chiese cristiane», conclude padre Vitus: «Abbiamo buoni rapporti con i metodisti, gli anglicani, i pentecostali. Alla notizia del rapimento del vescovo ausiliare ci sono stati inviati messaggi di solidarietà dai loro leader. Un po’ diverse le relazioni con i musulmani. La comunità islamica non è consistente nell’Imo e non ha mai aperto un vero confronto con noi. In passato ci sono anche stati duri scontri tra esponenti cristiani e musulmani. Quindi c’è diffidenza, paura, anche se non c’è un’aperta ostilità. Molte famiglie cristiane hanno un rapporto di buona vicinanza con famiglie musulmane. Noi lavoriamo per far crescere l’amicizia».

di Enrico Casale