Istruzione pastorale dell’episcopato spagnolo

Dal dolore alla speranza

Jessie Homer French, «Funeral» (1978)
09 gennaio 2021

La misericordia ci porta a essere vicini a chi soffre, a condividere il suo dolore, a non banalizzare l’evento della morte e la sofferenza che esso comporta; tuttavia, «l’attenzione e la prossimità nei momenti difficili del lutto è un’azione della Chiesa che richiede un’adeguata preparazione, formazione e spiritualità». A ricordarlo è la Conferenza episcopale spagnola nell’istruzione pastorale Un Dios de vivos, presentata il 22 dicembre a Madrid dal segretario generale, monsignor Luis Javier Argüello García, e dai presidenti delle due commissioni che hanno redatto congiuntamente il documento, monsignor Enrique Benavent Vidal, per la Dottrina della fede, e monsignor José Leonardo Lemos Montanet, per la Liturgia. Il testo, approvato durante l’ultima assemblea plenaria tenutasi dal 16 al 20 novembre, affronta i temi della fede nella risurrezione, della speranza cristiana di fronte alla morte e della celebrazione dei funerali, richiamando le verità fondamentali del messaggio cristiano sulla vita eterna e offrendo suggerimenti per l’accompagnamento di coloro che soffrono per la morte di una persona cara.

«Auspichiamo — scrivono i vescovi — che le esequie siano un segno di autentica speranza cristiana e aiutino i fedeli a crescere in essa» e che «i sacerdoti, i diaconi e coloro che collaborano alla vita pastorale della Chiesa prendano coscienza delle potenzialità evangelizzatrici della liturgia esequiale». Per questo «l’annuncio della morte e della risurrezione di Gesù Cristo costituisce il nucleo della fede cristiana e il fondamento della speranza». Un Dios de vivos è divisa in quattro parti: situazione attuale e sfide pastorali; la fede della Chiesa; accompagnare nel momento della morte; celebrare i funerali cristiani. L’appendice è dedicata ai colombari dei cimiteri, definiti «luoghi idonei per depositare le ceneri dopo la morte e la cremazione del defunto». Orientamenti che provengono, con distinguo, dall’istruzione Ad resurgendum cum Christo della Congregazione per la dottrina della fede e dal Consiglio degli affari giuridici dell’episcopato spagnolo.

Negli ultimi decenni, si osserva nell’istruzione pastorale, la società ha vissuto una profonda trasformazione nell’esperienza della morte e nel modo di affrontarla. In particolare, di fronte a circostanze drammatiche come quella che stiamo vivendo a causa della pandemia di covid-19, «vediamo atteggiamenti di generosità, servizio e solidarietà che mostrano il meglio di ciò che è presente nel cuore dell’essere umano, danno dignità alle persone e alla società e rafforzano la fraternità. In questi casi, si offre aiuto psicologico agli individui per gestire le proprie emozioni, ma socialmente e culturalmente si evita la questione di Dio». Tuttavia, «anche quando molti mettono la fede tra parentesi, in quei momenti dolorosi sollecitano la presenza della Chiesa e il suo accompagnamento». Questo fatto «non è da trascurare o sottovalutare, in quanto costituisce un’occasione privilegiata per offrire una parola di conforto e di speranza, e per annunciare il Vangelo, poiché è la situazione in cui si rivela in modo speciale la verità dell’essere umano. Anche quando queste persone non hanno la chiara coscienza di ciò che offre la Chiesa, e ciò che vogliono è un semplice atto di ricordo o di omaggio ai loro cari, devono essere accolte con delicatezza e rispetto e accompagnate in modo che, per quanto possibile, vivano questo evento come un incontro con il Signore Risorto che trasforma il dolore in speranza».

Se la fede nella risurrezione di Cristo costituisce il fondamento della speranza, questa fede si esprime nel Credo con due affermazioni inscindibili; l’una non può essere compresa senza l’altra. «Crediamo nella risurrezione della carne e nella vita eterna». Inoltre, si aggiunge, «confessando la nostra fede nella risurrezione del corpo, affermiamo che la salvezza riguarda l’essere umano nella sua totalità, tutto l’uomo». In tal senso, di fronte al dramma della morte, «la presenza e la vicinanza della Chiesa alle persone che soffrono per la morte di una persona cara è un’eloquente testimonianza di misericordia e di speranza». Perché «la fede cristiana consola e accompagna la perdita dei propri cari a partire proprio dalla speranza che viene dal Risorto».

Per quanto riguarda il rito funebre, i vescovi spagnoli chiariscono che «non può esserci autentica consolazione cristiana se il contenuto della fede non viene annunciato fedelmente». La celebrazione delle esequie e la preghiera per il defunto «devono manifestare chiaramente la fede nella risurrezione e la speranza cristiana nella vita eterna», così come i segni e lo svolgimento del funerale devono mostrare il rispetto e la venerazione dovuti alla salma del defunto, «che è stato fatto tempio di Dio con il battesimo ed è chiamato alla risurrezione». Per questo la Chiesa, pur consentendo la cremazione («non ci sono ragioni dottrinali» per vietarla, affermano), «raccomanda insistentemente che i corpi dei defunti vengano seppelliti nel cimitero o in altro luogo sacro» (Ad resurgendum cum Christo, 3).

Il centro delle esequie cristiane, si precisa ancora in Un Dios de vivos, «è il Cristo risorto e non la persona del defunto. I pastori devono assicurarsi con delicatezza che la celebrazione non diventi un tributo» a quest’ultimo, aspetto che riguarda altri ambiti, estranei alla liturgia. “Apertura” invece sul luogo di svolgimento del rito, purché contempli la messa: «Sebbene i funerali debbano essere normalmente celebrati in una chiesa con l’eucaristia al centro, data la complessità della vita moderna oggi è frequente che non sia così, o perché si svolgono nei tanatorios (edifici in Spagna abilitati anche al rito esequiale, ndr) o in altri spazi non sacri, o perché non li presiede un sacerdote. In tali casi, familiari e fedeli presenti in questo momento di preghiera e ascolto della Parola di Dio dovrebbero essere invitati a partecipare alla celebrazione della santa messa in suffragio dei defunti». Il funerale di un cristiano infatti — sottolineano i vescovi — «è incompleto senza la celebrazione dell’eucaristia, in cui l’oscurità della morte è vinta dalla luce di Cristo risorto che si fa realmente presente in essa». Infine se, di fronte alla reale impossibilità di un sacerdote o di un ministro ordinato o istituito (come un diacono o un accolito), a guidare l’orazione funebre è un laico, «egli deve essere una persona nota per il suo impegno ecclesiale nella comunità e agire a nome della Chiesa su permesso del vescovo».

di Giovanni Zavatta