Il Bangladesh non ha intenzione di interrompere il controverso trasferimento dei profughi sull’isola di Bashan Char

Non c’è pace per i rohingya

epa08909420 A group of Rohingya refugees onboard in a naval ship as they arrive in Bhashan Char ...
08 gennaio 2021

Il Bangladesh non ha intenzione di interrompere il controverso trasferimento dei profughi rohingya sull’isola di Bashan Char, situata nel Golfo del Bengala e considerata a rischio in presenza di cicloni ed alluvioni che, in questa parte del mondo, purtroppo sono la norma. Dacca è intenzionata ad inviare almeno centomila rohingya sull’isola ed ha definito i trasferimenti volontari. Le organizzazioni per la tutela dei diritti umani hanno, però, criticato l’operazione, da cui hanno preso le distanze anche le Nazioni Unite.

Non sembra esserci pace per i rohingya, un gruppo etnico di religione musulmana che vive nello stato birmano del Rakhine, situato al confine con il Bangladesh e prospiciente al Golfo del Bengala. I rohingya sono oggetto di persecuzioni pluridecennali da parte del governo del Myanmar. Nel 1982 vennero privati della cittadinanza birmana dopo che il regime militare li accusò di essere cittadini bengalesi immigrati dopo il 1823 ma il crollo della giunta e la democraticizzazione del Paese non hanno migliorato la loro condizione. Esclusi dall’accesso ai servizi più basici come quello sanitario e privati del diritto di voto alle elezioni del 2015, sono stati oggetto di violenze anche armate. Nel 1978 circa duecentomila rohingya sono fuggiti in Bangladesh per sfuggire ad una violenta operazione di sicurezza sfociata in omicidi, arresti arbitrari e violenze ed all’inizio degli anni ’90 la storia si è ripetuta ed un’altra operazione di sicurezza ne ha fatti fuggire in Bangladesh duecentocinquamila, accolti nei campi profughi.

Il Bangladesh non ha accettato la presenza dei rohingya ed ha avviato un negoziato con le Nazioni Unite per favorirne il rientro nel Rakhine. Le condizioni di vita nei campi profughi sono pessime: le condizioni igieniche non sono buone e l’accesso a cibo ed acqua è difficoltoso. Chi è rimasto in Myanmar è soggetto a gravi limitazioni della libertà.

Nell’agosto del 2017 centinaia di migliaia di rohingya sono sfuggiti a violenze e persecuzioni per trovare rifugio nei sovraffollati campi profughi del distretto di Cox Bazar, una sorta di buco nero privo di speranze ma anche di prospettive. Per anni il Bangladesh ha ospitato più di un milione di rifugiati rohingya ed il fatto che questa nazione avesse aperto i proprio confini nel 2017 venne molto apprezzato dalla comunità internazionale. Purtroppo la situazione, nel giro di poco tempo, è degenerata. Il primo ministro del Bangladesh Sheikh Hasina ha definito, nel 2019, la crisi rohingya come una minaccia regionale ed un peso per il suo Stato. La vera soluzione della crisi, per il Bangladesh, è quella di un rimpatrio pacifico e sostenibile ma è evidente che nessun rohingya tornerà in Myanmar nel prossimo futuro.

Dacca sembra aver accettato di avere a che fare con una popolazione di rifugiati perpetui ed ha investito 350 milioni di dollari per sviluppare le infrastrutture sull’isola di Bashan Char. Secondo alcune fonti Dacca avrebbe deciso di muoversi in questa direzione a causa delle attività di alcune organizzazioni islamiche nei campi, uno sviluppo che ha provocato un certo allarme nei circoli governativi del Paese.

di Andrea Walton