Cento anni fa nasceva Friedrich Durrenmatt

La vana ricerca della giustizia

Friedrich Durrenmatt
07 gennaio 2021

«Non mi riferisco solo alla circostanza che tutti i vostri criminali trovano la punizione che si meritano. Perché questa bella favola è senza dubbio moralmente necessaria. Appartiene alle menzogne ormai consacrate, come pure il pio detto che il delitto non paga — mentre basta semplicemente considerare la società umana per capire dove stia la verità a questo proposito — ma lasciamo perdere tutto questo, se non altro per un principio puramente commerciale, dato che ogni pubblico ed ogni contribuente ha diritto ai suoi eroi e al suo happy-end» (La promessa).

Eccoci qua, al cospetto di quella «favola moralmente necessaria» che per Friedrich Durrenmatt è la vita e, in essa, la vana ricerca di una giustizia che non sia meramente vendetta o risarcimento. Se all’autore i criminali piacevano poco, meno fiducia ancora gli ispirava la gente comune che sostanzialmente vedeva non diversa da ladri e assassini. Ricordare Friedrich Durrenmatt significa passare in una stanza oscura nella quale, dalla penombra, sentiamo qualcuno ridere. È molto difficile riuscire a restituire quel senso di grottesco che avvolge una buona parte dell’opera del drammaturgo svizzero, un sipario che si spalanca sui vizi e le miserie umane, messe in scena in modo tagliente e profondo, sempre in bilico fra ciò che spaventa e ciò che — tutto sommat—o potrebbe quasi far ridere.

Durrenmatt nasce il 5 gennaio 1921 a Konolfingen in Svizzera (cantone di Berna) e se lo abbiamo definito drammaturgo è proprio per via del fatto che dal teatro ha iniziato quel lavoro, meglio ancora quel lavorio, attorno alla natura umana e alla lingua per raccontarla. Una lingua che deve diventare essa stessa curiosa e inquietante creatura, capace di assumere ora le fattezze del comico, ora del macabro. Nel 1956 a Zurigo va in scena La visita della vecchia signora, un dramma teatrale che inizia a sviscerare i temi della vendetta e della corruzione morale collettiva. Per i motivi enunciati sopra, Durrenmatt ebbe sempre a precisare che il suo lavoro è una commedia.

Claire Zachanassian è una ricca signora in età che fa ritorno alla sua cittadina natale, Güllen (in tedesco «letamaio»). Tutti sanno che è andava via senza un soldo e, a seguito di una manciata di matrimoni «fortunati» torna da milionaria. La signora però torna anche per vendicarsi di un suo vecchio amore (tale Alfredo iii ) col quale ha un conto in sospeso. Offre un assegno ai cittadini affinché lo uccidano. In un primo tempo (ovviamente) gli abitanti rifiutano energicamente, ma poi iniziano ad acquistare beni costosi a credito anche dal negozio dello stesso Alfredo iii , come se si aspettassero l'arrivo di nuove risorse nel futuro. Che sia il segnale che in fondo, stanno accettando la proposta? Probabile ma preferiamo siate voi stessi a verificare. Esiste in rete la possibilità di vedersela per intero, in italiano.

Ma se è partendo dal teatro che Durrenmatt mette a fuoco il suo lavoro attorno i temi che più gli stanno a cuore, è nel romanzo (e nei racconti) che essa aumenta (meglio ancora, allarga) il passo nel territorio dove crimine e grottesco ridisegnano i confini del limite umano. Sempre nel 1956 esce il romanzo breve La panne (liberamente adattato per il cinema da Ettore Scola, nel 1972, col film La più bella serata della mia vita con un perfetto Alberto Sordi protagonista).

Ma torniamo al romanzo, anche i nomi, nei lavori di Durrenmatt sono presagi di bizzarro, Alfredo Traps è un rappresentante di articoli tessili al quale accade una cosa stupida, banale; l’auto in panne. A pochi chilometri dal contrattempo c’è uno strano castello nel quale vive un giudice in pensione che lo invita a cena e si propone di ospitarlo per la notte in attesa che l’indomani il meccanico risolva quanto occorso all’auto. Il giudice avverte Traps che quella sera a cena avrà alcuni amici, anch’essi giudici in pensione, coi quali si diverte a metter in scena e ripercorrere alcuni processi storici. Talvolta, se vi è un ospite, il processo tocca a lui, alla sua stessa vita. Traps si fida troppo presto di questa curiosa ospitalità.

«Non vi è più un Dio che incomba, una giustizia, un fato come nella Quinta Sinfonia; la minaccia viene dagli incidenti stradali, da dighe che crollano per difetti di costruzione, dallo scoppio di fabbriche di bombe atomiche per la distrazione di un addetto ai laboratori, dall’errata regolazione di incubatrici. La nostra strada passa per questo mondo di contrattempi». È così che Durrenmatt rivela la nuova, sinistra, faccia del pericolo. L’imprevisto. Meglio ancora, la casualità.

Una casualità che sembra regnare in un mondo nel quale Dio stesso appare, agli occhi dell’autore svizzero, in stato confusionale. «Ma se il povero che non possiede niente, possiede il regno dei cieli, chi possiede, non possiede il regno dei cieli, il suo possesso lo rende infelice anziché beato, grava su di lui perché ogni possesso è un peso. Per questo anche il giovane ricco si era afflitto da Gesù, perché aveva molti beni. Afflitto! Certo, avrebbe voluto diventare povero, avrebbe voluto vendere tutto e dare il ricavato ai poveri, e diventare come Gesù ma cosa avrebbe ottenuto? I poveri avrebbero sperperato la loro ricchezza in un modo assurdo e sarebbero ridiventati poveri» (La valle del caos).

Ma se Dio è in stato confusionale, la scienza (agli occhi di Durrenmatt) se la passa ancora peggio, assumendo talvolta le fattezze di un’anziana di malumore, incapace di concepire altro che se stessa. «Nella scienza niente è più ripugnante di un miracolo» (La scienza).

Per concludere torniamo a La promessa (1957) un romanzo chiave per osservare un’altra grande capacità di Durrenmatt: disegnare l’indagine. L’intima connessione fra volontà umana, casualità e l’oscurità dell’animo umano. Grande è la capacità dello scrittore elvetico nel delineare i tratti dell’investigatore, i suoi tic, gli abiti dignitosi e nulla di più, figure simili (pur senza mai raggiungerlo) al Maigret. Perfetto è anche il ritratto delle vittime e di coloro che attendono giustizia dalle indagini. Durrenmatt costruisce un curioso planetario degli eventi, un casuale muoversi degli astri che fa del mestiere di entrambi, commissario e vittime, biglie di un gioco indecifrabile ma nel quale comunque, si annida qualcosa di umano. Un uomo perbene che fa il suo dovere, ad esempio.

Ne La promessa (nel 1979 in Italia uscì uno sceneggiato molto ben fatto ispirato al romanzo, con Rossano Brazzi come protagonista) incontriamo la storia del commissario Matthai che indaga sulla sparizione (e la morte) della piccola Gritti Moser (sette anni). La bambina è stata uccisa nel bosco e i sospetti, come spesso accade, vanno su colui che ha rinvenuto il corpo. Si tratta di un uomo strano, un ambulante, il cui passato può indurre a ritenerlo colpevole. Verrà incriminato e si ucciderà in cella. Tutto sistemato dunque? Non per il commissario Matthai, lui sente che qualcosa non torna e che la sua partita a scacchi con l’assassino è solo cominciata. Cosa lo attende? L’innocenza dei bambini, l’orrore dei crimini che li riguardano e la tendenza degli esseri umani a fare da meri spettatori davanti a tali tragedie. Non tanto per complicità quanto per natura. «Niente è più crudele di un genio che inciampa in qualcosa di idiota» ricorda Durrenmatt e ci sembra ancora di sentirlo ridere di tutto questo.

di Cristiano Governa