La crisi umanitaria al confine tra Bosnia ed Erzegovina e Croazia

L’amaro pane dei profughi

epa08914391 A migrant warms by the fire during a winter day at the Lipa refugee camp outside Bihac, ...
05 gennaio 2021

Il vescovo di Banja Luka, Franjo Komarica, chiede ai governanti della Bosnia ed Erzegovina di non dimenticare « l’amaro pane dei profughi e dei rifugiati» mangiato con il loro popolo «nella recente guerra». Il dramma dei 1.300 disperati respinti lungo il confine con la Croazia, porta sbarrata dell’Unione europea, infatti, rischia di non essere solo un disastro umanitario che vede centinaia di persone inermi, abbandonate scalze e nude a errare nel gelo senza che si riesca a metterle al sicuro. Il frutto velenoso della crisi dei migranti assiepati in campi che interrompono la rotta balcanica al confine con l’Unione rischia di partorire anche una ventata d’odio etnico. In un’area particolarmente delicata.

A conferma dei timori della Caritas, che dal 2015 presidia la rotta balcanica dei rifugiati in fuga dalle guerre del mondo, un episodio apparentemente secondario suona come un allarme preciso sui rischi di caos e violenza sociale: l’accoltellamento di un giovane bosniaco, avvenuto l’altra sera a Bihac, cittadina del nord ovest che ospitava il campo di Lipa andato a fuoco, viene attribuito senza possibilità di verifica e riscontri ai migranti dai media locali e dalla polizia, riferisce l’agenzia Ansa. Questo fa seguito a giorni che hanno visto levarsi le barricate per impedire l’accesso ai bus carichi di sfollati dal campo di Lipa ridotto in cenere. L’onda del risentimento e della paura, contrapposta alla disperazione montante dei rifiutati è un rischio ben chiaro al vescovo Komarica ed alla stessa Unione europea che ieri è tornata ad intervenire.

Un portavoce della Commissione, infatti, ha definito «inaccettabile» la situazione dei profughi di Lipa, intimando alle autorità bosniache una soluzione immediata e di lungo respiro. Si tratta, dice il portavoce, «di un disastro umanitario che avrebbe potuto essere evitato se le autorità del Paese balcanico avessero agito come richiesto già prima del periodo natalizio». Le autorità della Bosnia ed Erzegovina, ha ricordato ancora , «dovrebbero comportarsi come autorità di un Paese che aspira ad entrare nella Ue». Aspirazione che dovrà fare i conti con il giudizio, ammonisce, «degli Stati membri» e della stessa comunità internazionale. «La vita delle persone — ha concluso — non possono essere sacrificate per lotte politiche interne, quanto accade sta influenzando negativamente l’immagine della Bosnia ed Erzegovina anche sulla scena internazionale».

E appoggiarsi alla comunità internazionale per una «soluzione efficace» è anche l’appello ai governanti locali del vescovo Komarica. «Sappiamo tutti — prosegue — che c’è abbastanza spazio perché tutti i migranti attualmente presenti, possano essere assistiti con dignità ed umanità, Non incolpatevi a vicenda ma lavorate insieme con l’aiuto materiale della comunità internazionale per risolvere questa catastrofe umanitaria il prima possibile». Un appello urgente. Si moltiplicano i segnali di insofferenza della popolazione che trovano la sponda delle amministrazioni locali. Lo scorso ottobre il campo profughi di Bira fu chiuso sull’onda della protesta dei residenti. Da allora non si contano gli «incidenti di frontiera» tra i residenti e la piccola nazione dei profughi alla disperazione. L’amaro pane dei senzaterra ha un boccone di veleno.

di Chiara Graziani