Ottant’anni fa moriva Henri Bergson

Oltre la tradizione

varobj3583942obj2035841.jpg
04 gennaio 2021

S’impose all’attenzione della comunità accademica contestando i risultati ottenuti da Albert Einstein nella Teoria della relatività e, al contempo, elaborando una concezione del mondo che valicasse i confini sia del realismo che dell’idealismo per radicarsi semplicemente nel senso comune. A ottant’anni dalla morte (4 gennaio 1941) Henri Bergson rappresenta ancora un riferimento importante per lo sviluppo di un pensiero che aspira a sottrarsi al giogo di una tradizione supinamente accettata e alle pastoie di uno sterile formalismo.

In Durata e Simultaneità il filosofo francese ricordava che Einstein ha dimostrato che il tempo è relativo al sistema di riferimento e che più è elevata la velocità di un sistema rispetto all’osservatore, più il tempo in tale sistema rallenterà dal punto di vista dell’osservatore. Bergson, dal canto suo, sosteneva che il tempo non è una retta di tanti punti contigui, ma un istante che cresce su sé stesso sovrapponendosi agli altri.

Pur avvolto dai vapori di un pensiero che rischiava di tradursi in un’astratta concettualità, il filosofo evidenziò il valore pratico della scienza. A dispetto della consapevolezza di una costante antitesi fra interiorità ed esteriorità, Bergson ribadì a più riprese lo stretto legame tra la coscienza e il mondo. Secondo il filosofo, l’oggetto conosciuto possiede una sua esistenza e una sua “datità”, ovvero il modo di rivelarsi alla conoscenza, indipendentemente dal soggetto conoscente. Nello stesso tempo, tuttavia, esso esiste così come è percepito dal senso comune senza nascondere “qualità occulte”, vale a dire, atto, potenza, sostanza. L’oggetto è pertanto definito da Bergson “oggetto pittoresco”, e costituisce un qualcosa di diverso sia dalla “rappresentazione” dell’idealista, sia della “cosa” del realista: è quindi un’immagine in sé.

Il suo lavoro più conosciuto, e più discusso, è L’evoluzione creatrice, ed è giudicato uno dei contributi più originali alla riflessione filosofica sulla teoria dell’evoluzione. «Un libro come L’evoluzione creatrice non è solo un’opera ma anche una data, quella di una nuova direzione impressa al pensiero» scrisse lo storico francese Imbart de la Tour. Il testo presenta l’evoluzione come una creazione continua, intendendo la teleologia differentemente rispetto alla concezione tradizionale e in analogia con la durata personale. «Senza la creazione — sostiene il filosofo — la vita e l’universo sarebbero già finiti o finirebbero in futuro. L’evoluzione è creatrice perché oltrepassa il meccanicismo e il cattivo finalismo».

Membro dell’Académie francaise, Bergson fu inoltre presidente dell’Académie des Sciences morales et politiques, ufficiale della Légion d’honneur e ufficiale dell’Instruction publique. Ma la sua popolarità non si esauriva entro i confini patri. Su invito della Columbia University di New York, nel 1913 si recò negli Stati Uniti. In varie città tenne lezioni sui temi della spiritualità e della libertà, che riscossero il convinto plauso dell’uditorio.

Altrettanto significative le lezioni tenute, a più riprese, in Inghilterra, in particolare ad Oxford, in cui rivolse l’attenzione allo studio dell’animo umano e alle sue complesse dinamiche. Nel Saggio sui dati immediati della coscienza, il filosofo scrive: «Le opinioni alle quali teniamo di più sono quelle di cui più difficilmente potremmo rendere conto».

Nel 1927 gli fu conferito il premio Nobel per la letteratura per le sue «ricche e feconde idee». Una motivazione che rendeva il giusto omaggio a un pensatore che, superando le tradizioni ottocentesche dello spiritualismo e del positivismo, finì per esercitare una robusta e duratura influenza nei campi della psicologia, della teologia e dell’arte.

Riveste un valore particolare il suo rapporto con il cattolicesimo, al quale desiderava convertirsi. Vi rinunciò «per solidarietà» con i suoi corregionali ebrei verso i quali era cominciata in Germania la persecuzione nazista.

Nel suo testamento, redatto nel 1937, il filosofo scriveva: «Le mie riflessioni mi hanno portato sempre più vicino al cattolicesimo, nel quale vedo il completamento dell’ebraismo. Io mi sarei convertito, se non avessi visto prepararsi da diversi anni la formidabile ondata di antisemitismo che va dilagando sul mondo. Ho voluto restare — sottolinea Bergson — tra coloro che domani saranno dei perseguitati. Ma io spero che un prete cattolico vorrà venire a dire le preghiere alle mie esequie, se il cardinale arcivescovo di Parigi lo autorizzerà. Nel caso che questa autorizzazione non sia concessa, bisognerà chiamare un rabbino, ma senza nascondere a lui o ad altri la mia adesione morale al cattolicesimo, come pure il desidero da me espresso di avere le preghiere di un prete cattolico».

Per sua richiesta, fu un prete cattolico a recitare le preghiere al suo funerale.

di Gabriele Nicolò