DONNE CHIESA MONDO

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Suore, storie di avanguardie

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02 gennaio 2021

Mary Keller e le altre: le religiose moderne oltre gli stereotipi


Per trovare la suora moderna, scoprire come vive, ama e prega, dobbiamo fare un lavoro di pulizia: dimenticare le vecchie immagini e mettere da parte gli stereotipi che ci sono stati tramandati. È difficile, quando si parla delle suore e delle monache, far vincere la realtà. È più facile aggrapparsi a quel che ci ha raccontato la letteratura, accettare la storia scritta dagli uomini, abbandonarsi acriticamente alle immagini tragiche, divertenti o grottesche delle suore raffigurate dal cinema o dalla televisione. Avviene ancora oggi che nell’immaginario la figura della suora sia assimilata a quella della monaca di Monza, tragico esempio della costrizione alla vita claustrale, a quella di tante giovani donne che in tempi lontani erano costrette al convento dalle famiglie che non potevano dare loro una dote adeguata. Donne fragili e schiave. Costrette. Nei tempi lontani dalla famiglia, oggi dalla povertà dei luoghi più disperati del pianeta.

Solo vittime?


I tentativi di costruire un’immagine più vera e aderente alla realtà ci sono stati; la televisione tedesca ci ha provato con sorella Lotte in Per amor del cielo, quella italiana con suor Angela in Che Dio ci aiuti. Prove generose ma fragili di puntare sul comico o, come nel film Sister act, sul grottesco per rovesciare un immaginario che rimane predominante. Nel quale lo splendore di figure del passato, di Chiara, per esempio, o Hildegarda di Bingen, assumono un ruolo residuale. Poca cosa di fronte allo stereotipo del vittimismo e dalla costrizione.

Cominciamo dal passato. È stato davvero così? Davvero la scelta del convento era obbligata? Oppure quel seme di libertà che oggi è vigoroso nel mondo delle religiose, la loro capacità di discernimento c’era anche in tempi oscuri? Non erano padrone delle loro azioni le donne che seguirono santa Chiara e ottennero dal papa il voto della povertà? E le altre, anonime e oscure donne del Medioevo e dei secoli seguenti andarono in convento solo perché qualcuno le obbligò?

Se la storia non fosse scritta quasi esclusivamente da uomini, se loro avessero potuto tramandarci quel che pensavano anche in quei tempi lontani avremmo trovato il germe della libertà anche in molte vocazioni. In molte ci avrebbero detto di aver preferito il convento, la compagnia delle altre donne, la castità, la vita nella fede, la preghiera a un mondo ostile che nel migliore dei casi le faceva schiave del marito. Che sceglievano di vivere nella preghiera anziché sottostare alle regole di uomini che le consideravano poco più di schiave. Ci avrebbero fatto notare che la fede è stata la loro libertà e il convento un’occasione di emancipazione rispetto alla sopraffazione e alla violenza della società.

Per arrivare a tempi più vicini suggerisce una qualche forma di soggezione la storia di suor Francesca Saverio Cabrini? Ventotto volte su e giù nell’Atlantico su battelli precari, poi la traversata delle Ande e di paesi sconosciuti. Con il suo gruppo di sette suore le Missionarie del Sacro Cuore di Gesù raccolse fondi, costruì scuole, asili, convinse governi, migliorò la vita di migliaia d’immigrati. E questo nei tempi in cui le donne in Italia non erano considerate neppure cittadine e non avevano diritto neppure al patrimonio.

Prime suore


Proviamo, quindi, a guardare la realtà con occhio attento e privo di pregiudizi. Troveremo delle sorprese, alcune veramente grandi. Nei giornali i nomi di religiose importanti, “prime suore”, potremmo definirle, avanguardie di schiere più vaste che non solo sono ben presenti nel mondo, ma aspirano a cambiarlo.

Norma Pimentel è stata inserita nella rivista «Time» fra le cento persone più influenti. Organizza l’aiuto ai migranti che alle frontiere cercano di entrare negli Stati uniti. Alessandra Smerilli è Consigliere di Stato del Vaticano. Giuliana Galli è stata vicepresidente della Compagnia di San Paolo, una delle più importanti fondazioni bancarie europee. Altre ne potremmo nominare, ma ci fermiamo, le troverete in altre pagine di questa rivista. È certo però che in ogni settore della società ci sono ormai suore che occupano posti importanti. Che lavorano e acquistano ruoli di primo piano nella medicina, nel diritto e negli studi sociali, nella sanità pubblica. Sono commercialiste, avvocate. Ingegnere, architette. Entrano, e non in punta di piedi, in ruoli che sembrano estranei al mondo del raccoglimento e della preghiera. E poi suore giornaliste, suore nel marketing dell’informazione. Che s’impegnano per l’ambiente, che usano e dominano le tecnologie informatiche.

Sì, anche in questo campo sono spesso un’avanguardia. A cominciare da suor Mary Keller, che ha contribuito a sviluppare il Basic, il linguaggio di programmazione, ha previsto l’avvento di internet e ha sostenuto, quando ancora non erano così diffusi, l’importanza degli strumenti informatici e il loro possibile impatto positivo nella società nell’educazione dei giovani. Nata nel 1913 nell’Ohio, prima persona a ottenere un dottorato in informatica negli Stati uniti nel 1965, vera precorritrice dei tempi, Mary Keller sosteneva che il computer poteva essere uno strumento per esercitare le virtù cristiane, a cominciare dalla pazienza e dall’umiltà.

Sono ormai davvero tante. Accanto a loro le monache che nei conventi continuano a praticare i mestieri tradizionali, a coltivare l’orto, a cucire, a ricamare. Anche su di loro è opportuna una domanda: suore arretrate o moderne in un mondo che, per non andare in rovina, ha bisogno di nuovi modelli di lavoro e di progresso? Di un ritorno all’amore della terra e dei suoi beni? I giovani – e non sono pochi – che oggi sono preoccupati delle sorti del pianeta e vogliono preservare i suoi beni, che preferiscono tornare alla terra e ai lavori manuali, hanno nelle umili sorelle dei monasteri un’indicazione preziosa.

Fra le nuove suore c’è chi preferisce la clausura. E questo può sembrare in contraddizione con la forte presenza nel mondo, l’eccellenza di alcune collocazioni, il protagonismo in professioni fino a qualche tempo fa solo laiche. Perché, si chiedono in molti, giovani donne preferiscono richiudersi nella preghiera, nel rapporto intimo ed esclusivo con Dio?

È una contraddizione solo se si guarda alle suore con i vecchi occhiali e, nella clausura e nella scelta dell’isolamento, si vede la rottura con il mondo, la paura di quel che c’è fuori dal convento. Non è così. Poi basta leggere le loro interviste, le poche parole che hanno sentito il bisogno di dire per capire che la clausura è il luogo in cui proprio l’assenza di chiasso consente un rapporto più vero con il mondo. Anche da dietro le grate si può comunicare. È avvenuto durante il lockdown quando dai conventi di clausura sono arrivati i whatsapp di conforto, l’invito a fare del silenzio imposto un momento nuovo sul quale costruire il rapporto con gli altri e riflettere fuori dalle distrazioni.

Le tecnologie informatiche delle donne separate dalle grate del convento sono diventate strumento di preghiera per gli altri e con gli altri, mezzo di comunicazione fra gli uomini e le donne e Dio. La preghiera – aveva ragione suor Mary Keller – può passare anche su internet; si può alimentare di Instagram, Whatsapp, Twitter.

L’incomprensibile


Le suore oggi agiscono nel mondo e con gli strumenti del mondo ma c’è un momento nel dialogo con una suora — anche una suora “moderna” — in cui è necessario accettare l’incomprensibile. Avviene quando si parla della vocazione. Quando e perché è successo? Che cosa hanno provato? Quale è stata la prova che la chiamata era quella giusta. Quando sono state sicure della loro strada? La scelta è stata frutto di meditazione, di un lavoro faticoso su se stesse oppure è avvenuta all’improvviso come la caduta di san Paolo da cavallo? È difficile trovare le parole. È difficile capire. Non solo per chi chiede. Anche per chi la scelta l’ha fatta.

“Il Signore mi ha chiamato”. “Ho capito che la mia vita aveva bisogno di Gesù”. “La Chiesa è una madre, mia madre, solo in lei sento calore e pienezza”. “Cercavo la libertà e la grazia, in convento con le altre le ho trovate”. “A un certo punto della mia vita ho capito che dovevo lasciare tutto per ottenere tutto”. “Se dovessi spiegare la vocazione a chi non l’ha avuta, direi che è simile a uno stato d’innamoramento, quando l’altro per te è tutto, senti che la tua vita non ha senso senza di lui. Per me Gesù è questo”.

Nessun dubbio? Nessun desiderio di tornare indietro? Nessuna paura? Molti dubbi, molte paure, qualche volta la sensazione che la strada presa non sia quella giusta. Allora si prega. E qualcosa avviene.

La crisi delle vocazioni


Oggi, dicono i dati, le vocazioni si sono ridotte. Nel 2018 le religiose erano 641.661, più di settemila in meno dell’anno precedente. Anche il numero dei sacerdoti è diminuito mentre è aumentato il numero dei cattolici. L’Europa è il continente in cui la riduzione è più evidente, seguita dall’America e dall’Oceania. Aumentano le vocazioni in Africa.

Sono numeri preoccupanti? Sicuramente la Chiesa si deve interrogare. Le religiose costituiscono da sempre la maggioranza del suo popolo. Una maggioranza silenziosa o azzittita (a secondo dei punti di vista) ma importante nella formazione dell’anima e dell’immagine della Chiesa .

Si pongono allora due domande. Qual è il motivo della crisi? E poi: il calo delle vocazioni femminili può essere assimilato a quello maschile cioè, come molti pensano, a un disinteresse nei confronti della religione, a una riduzione della grazia, a un’affermazione della secolarizzazione e a una riduzione d’interesse nei confronti del sacro? Sono in molti a pensarla in questo modo. È un’opinione alla quale se ne affianca un’altra che assume un punto di vista più specificatamente femminile.

Le donne che vogliono fare qualcosa per gli altri trovano oggi, soprattutto nei paesi occidentali, l’offerta di migliaia di associazioni e di organizzazioni nelle quali possono esercitare questa loro vocazione.

La Chiesa con i suoi codici maschili e con la scarsa considerazione del contributo femminile negli ambiti decisionali è diventata meno attraente per donne abituate a esercitare il bene nella libertà. La seconda domanda riguarda direttamente la Chiesa. Che cosa diventerebbe un’istituzione già rigidamente maschile se si riducesse ulteriormente l’apporto numerico delle donne? Se la sua spina dorsale costituita da religiose si riducesse? Credo che non ci sia dubbio sul fatto che sarebbe un enorme danno.

di Ritanna Armeni


Strada per una suora


Una strada a Karachi è intitolata a suor Berchman Conway, missionaria cattolica irlandese pluripremiata per il suo lavoro nell’istruzione. Berchman's Road, è stata inaugurata dalle autorità  alla presenza di insegnanti, suore, studenti e genitori. Nata nel 1929, Sr. Berchman è in Pakistan dal 1954 e per 60 anni  ha insegnato, inglese e matematicva. Tra i suoi studenti, l'ex primo ministro Benazir Bhutto e l’astrofisica Nergis Mavalvala.