Affetto e creatività: la lezione di Lucio Dalla

Per continuare a sperare

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30 dicembre 2020

Perché la celebre canzone di Dalla è fissata nella nostra testa come «Caro amico ti scrivo» invece del titolo reale L’anno che verrà? Forse perché colui a cui scrivi vale più di quello che hai chiesto al futuro. Il destinatario, per farla breve, è più importante del contenuto della lettera. O meglio, l’uno ha bisogno dell’altro.

Ogni speranza ha il fiato corto se non è pensata per la condivisione con qualcuno e allo stesso tempo — per assurdo — nessuno spera bene quanto chi è solo. Ho sempre creduto che voler bene a qualcuno addestri a sperare, meglio ancora, costringa. Come il frutto di una forza che non nasce da un calcolo ma dall’urgenza di reclamare presso il domani una vita migliore per chi abbiamo di fianco; «vedi caro amico cosa ti scrivo e ti dico e come sono contento di essere qui in questo momento, vedi, vedi, vedi, vedi amico mio cosa si deve inventare, per poter riderci sopra, per continuare a sperare». Per poter riderci sopra, per continuare a sperare. Ecco i due strumenti, peraltro in quest’ordine, coi quali metter mano al 2021. Ridere e sperare. Per fare tutto ciò occorre però farsi alcune domande preliminari.

A che serve l’arrivo del vaccino che aiuterà l’umanità a sconfiggere il covid? Si tratta solo di sopravvivere a un virus? Di vedere cosa ci sarà in tv dopodomani? Pertanto, se vivere si trasformasse definitivamente nell’esercizio di sopravvivere possiamo certamente dire che, in qualche modo, anche noi non ce l’abbiamo fatta. Qual è il primario insegnamento di vita che la natura impartisce? Il cambiamento.

Sopravvive ciò che si trasforma, restando se stesso ma sviluppando la capacità di entrare in armonia, in risonanza, con l’ambiente che lo circonda e con le sue mutazioni. Sopravviveremo se saremo cambiati. Saranno i giorni ad imporcelo. Quando tutto sarà finito inizierà una battaglia diversa, non meno dura, solamente più diluita e con meno morti certificati: la vita.

Molto, della vita come la conosciamo, sarà diverso a partire dal lavoro che dovremo essere capaci di ripensare. Perché non sarà più quello che conoscevamo prima, questa frase è tanto noiosa quanto vera. Dovremo farci spuntare nuove idee come branchie dalle quali respirare, come fanno i pesci. Molte famiglie entreranno in difficoltà. Alcune non ce la faranno. Succederà agli amori, alle amicizie. Vedremo “perdere” attorno a noi. Perdere sicurezza, speranza, amore, lavoro.

Dopo che saremo guariti ci sarà altro da “guarire”. Non ci sono ricette, consigli utili per quanto sta arrivando. Non sapremo cosa fare ma sapremo come farlo: accorgendoci degli altri. Questo è il primo passo. Guardiamoli, iniziamo da lì, senza paura che sia banale il gesto di guardare.

E qua risbuca Lucio, con una canzone ai più sconosciuta ma forse una delle sue più grandi di sempre. «Avremmo potuto guardarci negli occhi, certo che erano tanti miliardi di occhi… avremmo potuto guardarci negli occhi invece di perdere la testa» dice sottolineando come il mero far parte della moltitudine umana non aumenti automaticamente le nostre chances di guardarci in faccia. Anzi. La canzone è Tu com’eri per chi scrive, la più importante.

In questo brano accade qualcosa di particolare, di fronte a qualcuno che si ama non si protende il proprio amore verso il futuro, verso proposte e baratti d’affetto. Amare qualcuno vuol dire essergli fedele da prima di averlo incontrato, una donna, un figlio, un genitore, va amato da prima di noi. Perché gli esseri umani non iniziano quando li incontriamo, e per amare “tutto di loro” come si suole dire, occorre iniziare dal principio. Dal passato. Dagli sbagli. Da ciò che non hanno sbagliato a favore nostro ma per rincorrere altre felicità. Questo è il futuro, l’unico che mi viene in mente, superare la propria presenza e amare quel che gli sconosciuti sono stati e saranno. Si parte guardandosi negli occhi, fra milioni, miliardi di occhi. Per poter riderci sopra, per continuare a sperare.

di Cristiano Governa