Santo Stefano

Primo martire
della nuova fede

Santo Stefano di fronte al Sinedrio, disegno riproduttivo del ciclo leonino
28 dicembre 2020

Stefano fu il primo martire della nuova fede: lo ricordano gli Atti degli Apostoli, ricostruendo il contesto della prima persecuzione scatenata contro i discepoli del Cristo (Atti degli Apostoli 6, 8), che aveva costretto i fedeli a lasciare Gerusalemme alla volta della Giudea, della Samaria, della Fenicia, di Antiochia, di Cipro, trasformando questa disposizione in una vera e propria missione, contrastata, tra gli altri, anche da Saulo, prima della sua conversione sulla via di Damasco.

Il martirio di Stefano, che, secondo il grande padre della Chiesa Tertulliano, fu il «seme dei cristiani» (Apologeticum 50, 13), trova una prefigurazione veterotestamentaria nell’uccisione dei Maccabei con la loro madre (2 Maccabei 4, 30-58) e una dinamica palmare nel racconto della morte di Gesù (Matteo 26-27 = Marco 14-15 = Luca 22-23 = Giovanni 18-19).

Ma veniamo alla narrazione dei fatti, seguendo il resoconto degli Atti degli Apostoli che ci presentano Stefano intento a compiere prodigi e miracoli, tanto che i Giudei, appartenenti alla sinagoga dei “liberti”, che raccoglieva Cirenei, Alessandrini e alcuni provenienti dalla Cilicia e dall’Asia, lo sfidano senza però riuscire a vincere la sua ispirata sapienza. Per questo, iniziarono a diffondere l’accusa secondo cui Stefano avrebbe pronunciato espressioni blasfeme contro Mosè e contro Dio. La calunnia si propagò tra gli anziani e gli scribi, tanto è vero che lo catturarono e lo trascinarono dinnanzi al Sinedrio, accusandolo anche di essersi pronunciato contro il Tempio e contro la Legge.

Seppure tutti quelli che sedevano nel Sinedrio, guardando Stefano, vedevano il volto di un angelo, in cuor loro fremevano e digrignavano i denti contro di lui. Stefano, colmo di Spirito Santo, innalzò lo sguardo e riconobbe la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra e disse: «Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’Uomo che sta alla destra di Dio» (Matteo 26, 64).

Ma tutti si turarono le orecchie, si scagliarono contro di lui, lo trascinarono fuori dalla città e lo lapidarono, alla presenza di Saulo. Stefano pregava e diceva: «Signore Gesù accogli il mio spirito». Poi si inginocchiò e gridò: «Signore non imputare loro questo peccato». Detto questo spirò.

È intuitivo che le ultime gesta del protomartire replicano la passio Christi, mentre, sullo sfondo spunta la figura di Saulo, che infieriva contro la Chiesa e contribuiva a disperdere i fedeli nelle regioni della Galilea e della Samaria.

Questo resoconto del primo gesto persecutorio nei confronti di Stefano entrò nell’immaginario collettivo, tanto che due quadri ispirati alla sua storia furono inseriti nel ciclo leonino della basilica di San Paolo fuori le Mura, purtroppo perduta per il rovinoso incendio del 1823.

Le due scene, però, per nostra fortuna, sono state tramandate dai copisti del passato, per cui possiamo ancora leggerle con una certa attendibilità. Il primo quadro si riferisce al momento in cui Stefano appare di fronte al Sinedrio (Atti degli Apostoli 6, 12). Su uno sfondo urbano, il protomartire nimbato e dal volto giovanile è condotto da un gruppo di personaggi al cospetto di due anziani, solennemente assisi in cattedra, pronti ad ascoltare le accuse e giudicare l’imputato. La seconda scena “fotografa” la drammatica lapidazione di Stefano (Atti degli Apostoli 7, 55-60), con il protomartire inginocchiato, mentre contempla la «visione della gloria di Dio»; alle sue spalle, un gruppo di accaniti accusatori, lanciano violentemente i sassi della lapidazione.

Queste immagini vogliono riferire, al dettaglio, la dinamica della fine cruenta del protomartire, avvenuta — come si diceva — fuori della città di Gerusalemme, in un momento in cui nessuno ricopriva la carica di prefetto romano, presumibilmente tra il 31 e il 32 d. C. La pena della lapidazione, d’altra parte, rappresentava un provvedimento ebraico, estraneo alla cultura romana.

Secondo la tradizione, le reliquie di Stefano furono ritrovate nel 415 dal presbitero Luciano, quando, il 26 dicembre, furono condotte a Gerusalemme nella chiesa di Sion. Più tardi e, segnatamente, nel 439, Cirillo di Alessandria inaugurò una basilica fatta erigere dal vescovo Giovenale, laddove si riteneva fosse stato lapidato il protomartire. L’imperatrice Eudossia fece ampliare l’edificio di culto, distrutto dai Persiani e ricostruito da Melania.

Intanto le relique del santo ebreo ebbero grandi onori, anche in seguito al panegirico realizzato da Gregorio di Nissa, Asterio di Amasea e Basilio di Seleucia. Il culto si diffuse in tutto l’orbis christianus antiquus: dall’Africa alla Baleari, da Costantinopoli a Roma.

Agostino ci ha lasciato uno degli scritti più completi ed emozionanti, ispirato alla drammatica storia del protomartire (Sermones 315). Il padre della Chiesa di Ippona ci ricorda che la «passione di Stefano» deve essere letta nella domenica di Pasqua, per ricordare l’istituzione del diaconato da parte degli apostoli. Ebbene, Stefano era stato individuato tra i sette diaconi, destinato a precedere nel martirio gli apostoli stessi. Agostino continua il suo sermone, sottolineando la similitudine tra la «Passione di Santo Stefano» e la «Passione di Cristo»: ambedue scattano per falsa testimonianza, ambedue sfociano nella «grande forza delle verità». Cristo, sulla croce, infatti, insegna la misura della bontà. Santo Stefano, suo discepolo, lo imita.

Mentre i Padri della Chiesa si soffermano anche sui risvolti cruenti della tragica fine di Stefano, l’arte cristiana attende cinque secoli prima di affrontare la rappresentazione del martirio del santo diacono.

Solo Papa Leone Magno, infatti, negli anni centrali del v secolo, ebbe il coraggio di rompere il tabù della “non violenza”, che aveva caratterizzato l’arte cristiana dei primi secoli, per far realizzare le due scene di cui si è ragionato e che mettono in collegamento la passio Christi con quella dei principi degli apostoli, senza dimenticare il martirio glorioso del diacono lapidato alle porte di Gerusalemme.

di Fabrizio Bisconti