Dal Sud Sudan all’Uganda: la scuola un diritto minacciato

FILE PHOTO: An internally displaced Sudanese family poses for a photograph outside their makeshift ...
28 dicembre 2020

Il Sud Sudan, il più giovane Paese africano, indipendente dal 2011, sta cercando di uscire dal dramma di una guerra civile che dal dicembre 2013 a oggi ha causato circa 400.000 vittime e costretto oltre quattro milioni di sud sudanesi, un terzo della popolazione, ad abbandonare le proprie case. Sono circa 2,5 milioni i sud sudanesi riparati all’estero e di questi circa 900 mila vivono oggi in Uganda.

Dal 2018 è in atto una tregua e la speranza di pace si è andata progressivamente rafforzando per la volontà delle parti, per il sostegno della comunità internazionale e l’accompagnamento partecipe di Papa Francesco e di mediatori internazionali come la Comunità di Sant’Egidio. Un segno di questo accompagnamento è stato l’incontro del Papa a casa Santa Marta (aprile 2019) con il presidente Salva Kiir e i vice presidenti designati, Riek Machar e Rebecca Nyandeng de Mabior, espressioni delle principali etnie del Paese. L’incontro è stato caratterizzato da un gesto simbolico, il Papa si è inchinato baciando i piedi dei leader per implorare tutti alla pace. La Comunità di Sant’Egidio, da parte sua, è attiva per costruire la stabilità nel Paese alimentando un processo cominciato a gennaio 2020 attraverso la firma della Dichiarazione di Roma.

Per chi è scappato dal Sud Sudan il sito di Nyumanzi, nella provincia di Adjumani, in Nord Uganda, è stato uno dei primi luoghi dove si era accolti. Oggi è un campo profughi di dimensioni medio-grandi (circa 41.000 abitanti), l’85 per cento della popolazione rifugiata è composta da donne e minori. In particolare i bambini e i ragazzi in età scolare (dai 5 ai 17 anni) sono circa il 50 per cento del totale. Nel caso di Nyumanzi si tratta di 20.000 giovani che hanno un bisogno primario: lo studio. Per questo qui, nel 2014, è nata la School of Peace, per iniziativa di Sant’Egidio in collaborazione con la locale Diocesi di Arua. Offre corsi gratuiti di istruzione primaria (il ciclo è di sette anni) e accoglie 1.100 studenti. Per i giovani profughi sud sudanesi, frequentare la scuola — School of Peace — significa anche apprendere i fondamenti di un impegno per la pace. Attorno alla Scuola si è creato un vero e proprio movimento di integrazione e di pace tra le persone dell’area in cui sorge il campo profughi.

Per le restrizioni imposte dalla pandemia le scuole sono state chiuse dal marzo del 2020. Gli studenti vivono nell’impossibilità di seguire le lezioni e anche di utilizzare gli ausili messi in campo dal governo (lezioni via radio, testi speciali per lo studio a casa). Solo a metà ottobre è stato decisa una parziale riapertura delle scuole, limitata agli ultimi anni dei due cicli di studio (elementare e superiore), per consentire lo svolgimento degli esami. Anche la School of Peace ha potuto riprendere le sue attività, nel rispetto delle norme anti-covid. Gli studenti dell’ultimo anno entrano in classe dopo la misurazione della febbre e l’igienizzazione delle mani. Indossano le mascherine che Sant’Egidio ha donato alle loro famiglie. Gli studenti hanno seguito dei corsi di prevenzione del covid-19 che hanno coinvolto a gruppi non solo i ragazzi, ma anche i docenti e le famiglie.

Sant’Egidio con la Diocesi di Arua hanno anche stipulato un accordo con l’Opm, l’ufficio del primo ministro ugandese, che consente le “outreach school”, ovvero delle scuole all’aperto nei villaggi. Un modo per assicurare il proseguimento del corso di studi in sicurezza, prevenendo l’allargarsi di un divario socioculturale che rischia di essere ulteriormente aggravato dal perdurare dell’emergenza sanitaria. La scuola e le attività ausiliarie messe in campo in questi mesi di pandemia sono state realizzate grazie al sostegno della Cei-Comitato interventi caritativi a favore del terzo mondo. Oltre alla Chiesa italiana c’è stato il coinvolgimento dell’Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo (Aics) e di altri sostenitori che hanno investito sull’istruzione di questi ragazzi che, dal primo giorno, hanno dimostrato tutto il loro entusiasmo per lo studio.

La parziale riapertura della scuola e le lezioni itineranti sono un segno di speranza per i tanti ragazzi che rischiavano una pericolosa dispersione scolastica dopo quella già enorme verificatasi a causa della guerra. Per milioni di bambini africani la scuola rischia di essere una delle prime vittime del covid-19, privandoli del futuro. A Nyumanzi la School of Peace non vuole lasciare indietro nessuno.

di Paolo Impagliazzo