L’affresco della Madonna di Priscilla, prima rappresentazione della Natività

La stella e la profezia

La Madonna con il Bambino (Catacombe di Priscilla, Roma)
23 dicembre 2020

Sono trascorsi quasi trent’anni da quando le Suore benedettine di Priscilla informarono i responsabili della Pontificia Commissione di archeologia sacra di un esponenziale fenomeno di degrado, che stava minando la conservazione, già estremamente compromessa, del più celebre affresco della catacomba della via Salaria, quello che decora uno dei sepolcri più antichi dell’arenario centrale, con la scena della Madonna assisa, mentre tiene il Bambino in grembo, dinnanzi a un profeta che indica una stella.

Era la primavera del 1992 e iniziò subito un lungo e difficile restauro, che mise in sicurezza il dipinto e che permise di comprendere meglio la cronologia dell’affresco e la sua collocazione in una dinamica decorativa, la quale conosce ben quattro fasi dislocate dall’esordio del iii secolo sino all’alba del iv . Il quadro della Madonna si inserisce, infatti, in un più antico trattamento in stucco che sviluppa temi pastorali e, segnatamente, le immagini del buon pastore.

Se queste ultime decorazioni possono essere collocate — per gli indicatori topografici ed epigrafici — nei primi anni del iii secolo, l’affresco della Madonna denuncia una cronologia, che oscilla tra gli anni ’30 e ’40 dello stesso secolo, mentre alcune immagini dei defunti sopraggiungono dagli anni ’60 alla conclusione del secolo, in corrispondenza con l’avvio della persecuzione dioclezianea.

L’intervento conservativo arrestò il processo di degrado e fece conoscere meglio l’organizzazione decorativa del nicchione e le caratteristiche iconografiche della nostra scena. Il quadro della Madonna, dopo l’accurata pulitura, propone all’osservatore una delle immagini più vibranti della pittura cimiteriale romana, dove il pacato equilibrio gestuale della madre si accompagna all’urgenza del movimento del bambino, che si volge all’improvviso, come per rispondere ad un richiamo, distogliendolo dallo sguardo materno.

Il grande impatto proposto da questa dolce immagine — sapientemente costruita da un gioco di zone di colore, nella gamma delle ocre e delle terre, tipico del momento tardoseveriano — si allenta, quando si contatta la figura del profeta, che presenta un atteggiamento più incerto, come se il pittore rappresentasse questa singolare immagine per la prima volta, rispetto alla più collaudata scena della virgo lactans.

Riguardo all’interpretazione di quello che abbiamo definito genericamente profeta e che presenta le vesti e l’atteggiamento di un filosofo, mentre indica enfaticamente una stella ad otto punte, la critica, per molto tempo, non è approdata ad una decodificazione univoca.

Negli anni centrali dell’800, il grande archeologo romano Giovanni Battista de Rossi riconobbe nel personaggio Isaia, riferendosi, segnatamente, al luogo biblico (Isaia 7, 14) «Ecco la vergine concepirà e darà alla luce un figlio, il suo nome sarà Emmanuele». Nello stesso frangente, Raffaelle Garrucci pensò a Balaam, secondo Numeri 24, 17 «Una stella spunterà da Giacobbe», mentre Joseph Wilpert, per sostanziare la lettura di de Rossi, indirizzò l’attenzione su Isaia 60, 1-6 «Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco le tenebre ricoprono la terra, nebbia fitta avvolge le nazioni, ma su di te risplende il Signore, la sua gloria risplende su di te».

Ma il Wilpert, pensando pure ad un affresco delle catacombe di Domitilla, chiamò in campo anche il luogo di Michea 5, 1-4 «E tu, Betlemme di Efrate, così piccola per essere fra i capoluoghi di Giudea, da te uscirà colui che deve essere il dominatore di Israele».

Ancora di recente, Giorgio Otranto ha pensato alla figura di Davide e, in particolare, al Salmo 109, 3 «Dal grembo prima della stella del mattino ti ho generato». Ma la figura che indica la stella — secondo una felice intuizione di Pasquale Testini — rappresenta, in ultima analisi, una sorta di personificazione della profezia e non un profeta in particolare.

L’affresco della Madonna di Priscilla è tornato a sorprendere il visitatore delle catacombe e rappresenta un documento iconografico irrinunciabile per chi voglia tornare a contatto con la comunità cristiana dei primi secoli. La sorpresa e l’emozione rinnovano i sentimenti dei primi esploratori delle catacombe romane quando, sullo scorcio del 1500, in piena Controriforma, vennero a contatto con le catacombe e anche con quelle di Priscilla. Fu così che prima il domenicano spagnolo Alfonso Ciacconio e poi il maltese Antonio Bosio si inoltrarono nei labirinti interrati del cimitero della via Salaria, giungendo dinnanzi a quella vibrante rappresentazione dell’infantia Salvatoris, comprendendone subito la rarità e l’antichità.

I due esploratori e gli antiquari del tempo videro nella figura del personaggio maschile Giuseppe sposo di Maria. Solo gli studi dell’800 sdoganarono questa interpretazione e chiarirono che la rappresentazione di Giuseppe giungerà nel repertorio iconografico paleocristiano solo nel pieno iv secolo.

Ora sappiamo che il quadro della Madonna di Priscilla, pur nella semplicità dello schema e nell’abbreviazione del tema, vuole parlarci dell’armonica coesione delle due economie testamentarie, dove il vaticinio e la nascita del Messia sono uniti proprio da quell’astro, che brilla nell’oscurità delle catacombe e che illumina la via del cristiano, assurgendo a segno brillante della salvezza.

È per questo motivo che, in altri cimiteri del suburbio romano, la figura del profeta che indica la stella appare anche isolata e, in qualche caso, l’astro è sostituito dal cristogramma del tipo che emula il signum salutis della visione costantiniana, indicando il potenziale soterico dell’apparizione nella notte, ma anche l’annuncio di un mondo nuovo, inondato di luce e di speranza.

di Fabrizio Bisconti