Gesù viene nel mondo

Il Verbo incarnato, illuminato e inculturato

Paolo Veronese, «San Giovanni evangelista» (1555)
23 dicembre 2020

Il Dio che si fa uomo, s’incarna, illumina il mondo, dialoga con la cultura del popolo e si fa uno con l’umanità senza perdere la sua divinità, è il fulcro del Natale. Il cristianesimo non è una filosofia né un’ideologia perché non parte da un Dio concettuale o ideologico, bensì da Gesù che si concretizza e si fa uno di noi. Si lascia vedere, toccare e si muove a partire da una genesi spaziale primigenia fino a un kronos storico specifico, per proiettarsi in un kairos da una parusia che si prolunga a un infinito pieno del suo regno di pace. Ai tempi della prima lettera dell’apostolo Giovanni, quando il tempio di Gerusalemme era stato distrutto e nessuno dei dodici apostoli era più in vita, venti di mode filosofiche, ideologiche e teologiche minacciano i principi sopramenzionati. In questa lettera, discorso od omelia il discepolo amato comincia affermando che: «Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita» (1 Giovanni, 1, 1). Affrontando quei falsi profeti “cristiani” che condizionano la luce della natività, ossia l’incarnazione in Cristo con i loro pensieri gnostici e docetisti, testimonia in prima persona l’umanità di Dio, fondamento del suo annuncio evangelico.

Questa tensione teologica, filosofica e cosmica che ha continuato a esistere, in tentativi più o meno dissimulati, di disumanizzare Gesù e con lui la fede cristiana, generando una pericolosa dissociazione tra la sfera mondana e quella divina, è messa in luce dal teologo Hans Küng in Essere cristiani quando scrive che: «Questo Dio è, così, trascendente e immanente, lontano e vicino, sovramondano e intramondano, futuro e presente. Dio è orientato verso il mondo: non c’è Dio senza mondo. E il mondo è riferito interamente a Dio: non c’è mondo senza Dio. Pertanto, la contraddizione non risiede, come per i greci, tra il Dio spirituale e il mondo materiale in sé, bensì tra Dio e un mondo peccatore che si è allontanato da Lui. E la redenzione che si attende non è il superamento del dualismo platonico Dio-mondo, spirito-materia, ma la liberazione del mondo dalla colpa, dalla miseria e dalla morte, e la comunione con Dio».

L’incarnazione del Verbo porta con sé la luminosità della sua presenza che si fa cammino in mezzo all’oscurità. «Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che noi vi annunciamo: Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna» ( 1 Giovanni, 1, 5). In questo tempo di pandemia, oscurità e sconforto, scopriamo che i nostri occhi non sono pensati per attraversare questa densità oppressiva. Solo la luce di Dio attraverso gli occhi di Cristo la possono vincere e lasciarci intravedere cammini luminosi di speranza. In altri momenti della storia, come nella Shoah, quando le tenebre del male avvolsero l’intera umanità, molti si sono interrogati su questa lotta cosmica ma tanto umana tra luce e oscurità, dove abbondano le domande sulla divinità, sulle sue parole e sui suoi silenzi. Così ha fatto il filosofo e teologo ebreo Martin Buber, che nel suo saggio L’eclissi di Dio, rispondendo a un altro filosofo, ha scritto: «Sartre è partito dal silenzio di Dio senza domandarsi in che misura il nostro non udire e il nostro non aver udito hanno inciso su questo silenzio». Poi, comprendendo che quell’oscurità aveva creato una distanza tra la luce di Dio e l’oscurità terrena, ha aggiunto: «Eclissi della luce del cielo, eclissi di Dio, tale è in realtà il carattere del momento storico che l’uomo sta attraversando». Infine, riflettendo sul ruolo della fede e sulla realtà impellente ha affermato: «Il rapporto tra religione e realtà che prevale in una determinata epoca è l’indice più esatto del suo vero carattere».

Dobbiamo vivere questo Natale in tempi di silenzi, oscurità e domande. Che la luce vera che ci ricorda il presepe di Betlemme ci aiuti a non lasciarci eclissare dalla confusione e dall’oscurità e a vivere la speranza della luminosità del Signore della storia, di tutte le storie umane.

Il terzo concetto di queste riflessioni natalizie ha a che vedere con un Dio che si è fatto cultura, per dialogare con essa, nutrirsi di essa e influenzarla senza assoggettarla, amandola fino a inculturarsi come parte della stessa. Papa Francesco ha affrontato in diverse occasioni il rapporto tra incarnazione cristiana in dialogo con le culture, come nella Evangelii gaudium, quando ha asserito che: «Non renderebbe giustizia alla logica dell’incarnazione pensare a un cristianesimo monoculturale e monocorde» (n. 117). «Questo criterio è legato all’incarnazione della Parola e alla sua messa in pratica: “In questo potete riconoscere lo Spirito di Dio: ogni spirito che riconosce Gesù Cristo venuto nella carne, è da Dio” ( 1 Giovanni, 4, 2). Il criterio di realtà, di una Parola già incarnata e che sempre cerca di incarnarsi, è essenziale all’evangelizzazione» (n. 233).

Il rapporto tra evangelizzazione, incarnazione e inculturazione è molto presente nel pensiero e nell’opera del teologo Juan Carlos Scannone, che viene in nostro aiuto affermando che «sebbene l’inculturazione (che è l’altra faccia dell’evangelizzazione della cultura ) ponga l’enfasi su ciò che è proprio e particolare di ognuna, lo fa senza perdere di vista l’aspetto umano universale della cultura e dell’uomo in quanto tali, non considerati — chiaro — in modo univoco e astorico, bensì analogico e storico, e, sebbene accentui la relazione organica e costitutiva tra fede e cultura, preserva la trascendenza della prima e l’autonomia dell’ultima, secondo il modello dell’incarnazione» (in Evangelizzazione, cultura e teologia).

In questo Natale così diverso e complesso, che questi concetti di incarnazione, illuminazione e inculturazione ci umanizzino in amore, risplendano in speranza e benedicano la nostra cultura. Perché «sappiamo anche che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza per conoscere il vero Dio. E noi siamo nel vero Dio, nel Figlio suo Gesù Cristo: egli è il vero Dio e la vita eterna» ( 1 Giovanni, 5, 20).

di Marcelo Figueroa