Ritorno a Betlemme

William Congon, «Natività» (1960, particolare)
21 dicembre 2020

«Ecco, è qui. Siamo arrivati, finalmente.
È questo il luogo, riconosco il paesaggio:
quello scuro bastione di roccia laggiù,
ai piedi del colle fiorito di ginestre,
e quel fitto cespuglio di ginepri e lentischi
proprio accanto all’ingresso della grotta.
Vedi anche tu? Fermiamoci, Josèph.
Dammi una mano, aiutami a smontare
insieme col bambino: si è svegliato».
«Io però, Miryàm, la grotta ancora
non la vedo» le rispose l’uomo, girandosi
dopo aver scrutato, e tirando la cavezza
in modo da interrompere il cammino
dell’asino sul dorso del quale stava issata
la moglie con il figlioletto in braccio.
«Se ne sei sicura, comunque, ti accontento.
Possiamo concederci una breve sosta.
Sono disposto a mantenere la promessa
che ti ho fatto al momento di partire
dall’Egitto: la promessa di condurvi,
lungo la strada del ritorno a Nazareth,
passando attraverso la terra di Giudea,
a rintracciare, a rivedere quella grotta
dove, una notte, hai partorito il tuo —
il nostro, penso di poterlo dire, Jehoshuà».

Lei annuì mentre gli porgeva il bimbo,
che Josèph depose delicatamente a terra,
fiero di vederlo stare ben piantato,
già diritto, snello nella bianca tunichetta
tessuta con sapiente cura da Miryàm.
Poi avvolse con le forti braccia i fianchi
della sposa, e nel sollevarla dalla sella,
nell’accompagnarne adagio, cautamente,
la discesa con la stretta del suo abbraccio,
si sorprese a sentirla in apparenza
un poco, appena un poco più pesante
del bambino. Nel fulgore del radioso
meriggio la fissò, in controluce, sorridente:
giovane donna d’indicibile bellezza.
E un caldo brivido la schiena gli percorse.

«Ora la vedi?». Di nuovo si voltò Josèph.
Scosse la testa, tra sconcerto e delusione.
«Ma perché…?» a capo chino domandò.
«Perché» lei gli spiegò «l’ansia e il timore
che tu da ieri provi ti offuscano la vista.
Nella piccola locanda di Betlemme dove,
ricordi?, abbiamo pernottato tutti e tre,
hai udito a un tratto che l’albergatore
stava con altri ospiti parlando sottovoce
prima del perfido Archelao, figlio di Erode
il sanguinario, da poco succeduto al padre,
poi di una tremenda, contagiosa malattia,
una pestilenza diffusa per città e villaggi,
qui e in tutta la Giudea, persino penetrata
dentro la santa cerchia di Gerusalemme.
E un terrore, una profonda angoscia
ti hanno preso: oh, non dico per te stesso
ma per noi, per me tua sposa e per…
(una nota d’amore, di dolcezza intensa
le vibrò in quel momento nella voce)
… e per tuo figlio, sì. Certo, ho trepidato
anch’io per voi. Ma subito, stringendo
sul mio seno Jehoshuà, ho ritrovato pace».

«Abbà»: la parola pronunciata dal bambino
lo riscosse. Davanti a lui s’inginocchiò,
volto a volto avvicinando, occhi a occhi.
«Non devi aver paura, abbà. Non puoi.
Perché sono con te. Perché ti voglio bene».
In quell’istante, in un fuggevole tra loro
battito di ciglia, il cuore di Josèph cessò
di galoppargli, cavallo imbizzarrito, in petto.
Una calma lo invase, un senso di fiducia,
di speranza e aspettativa. Si rialzò, puntò
lo sguardo: l’entrata della grotta adesso
la scorgeva, larga fenditura nella roccia.
«Andiamo» li esortò la sposa e madre,
«andiamo là dov’è il bambino nato».
«Tu, mi raccomando» sussurrò all’asino
Josèph, «resta qui tranquillo ad aspettarci».

Distese le braccia e le manine Jehoshuà.
Serrò con la sinistra la mano di suo padre,
la mano della mamma con la destra.
Fu come, allora, se un arcangelo li avesse
con un turbine investiti e li spingesse
avanti. Raggiunsero la soglia della grotta.
Una fonte di luce misteriosa le pareti
irradiava, la curva volta, il fondo della stalla.
Sembrava che una stella ora vi abitasse.
Entrarono. E in quella siderale rifrazione
tutto poterono vedere, tutto rivedere.
Rivissero la stessa gioia senza più confini
della notte nella quale ai vagiti del neonato
un canto celeste aveva fatto il contrappunto.

Finito, alcuni giorni dopo, per remote strade
fuori del consueto itinerario il viaggio,
in Galilea Nazareth li accolse: salvi, immuni
dal contagio dell’epidemia, liberi dal male,
vivi nel nascondimento di una nuova attesa.

di Marco Beck