I campi profughi della Tanzania come una seconda prigione

Il futuro incerto dei rifugiati del Burundi


	Minani*, a father, 27 years old, living in one of Nyarugusu refugee camp’s mass ...
21 dicembre 2020

Per gli immigrati e richiedenti asilo del Burundi in Tanzania, la situazione è peggiorata negli ultimi anni e il futuro appare estremamente complicato. Nel Paese che li accoglie vivono con la paura che la polizia locale, in combutta con il braccio armato del partito dell’ex presidente del loro Paese Pierre Nkurunziza, noto come “Imbonerakure”, li rintracci nei campi profughi, li arresti illegalmente e li rinchiuda in prigione per settimane, sottoponendoli a torture. La denuncia viene dalla Ong Human Rights Watch (Hrw), la quale rende noto che nell’ultimo anno almeno 18 rifugiati del Burundi hanno subito torture in Tanzania.

Le detenzioni illegali hanno avuto luogo nei campi profughi di Mtendeli e di Nduta, che si trovano a pochi chilometri dal confine dei due Paesi. La ong americana ha anche denunciato che nell’ultimo periodo è divenuta una pratica normale la richiesta di una forte somma di denaro da parte della polizia locale ai rifugiati per evitare l’arresto. Queste richieste sono fatte alle famiglie dei rifugiati nel loro Paese di origine, spesso contattate grazie all’aiuto delle forze dell’ordine burundesi.

Questi eventi sono iniziati a partire dal 2016, quando il flusso di immigrati provenienti dal piccolo Paese africano è cresciuto in seguito alla svolta autoritaria di Nkukunziza, che aveva ottenuto l’anno precedente un terzo mandato presidenziale, non permesso dalla costituzione e la sua rielezione aveva causato violenti scontri in tutto il Paese, duranti i quali gli Imbonerakure avevano ucciso 1.500 persone.

I problemi per i rifugiati in Tanzania sono iniziati negli anni successivi. Oltre alla detenzione illegale e alle torture, i rifugiati ricevono pressioni continue da parte del governo di Dodoma perché tornino nel loro Paese, dove verrebbero arrestati e torturati come oppositori politici. Hrw ha calcolato che in quattro anni circa la metà dei 300.000 rifugiati che hanno lasciato il Paese si trovino in Tanzania, ma a causa degli abusi e delle violazioni dei diritti umani, i richiedenti asilo stanno cercando rifugio anche in altri Paesi, come il vicino Rwanda.

Una ong africana, la Cbdh/Vicar, ha calcolato che a partire dal 2015 si siano perse le tracce di circa 170 rifugiati burundesi nel Paese che li ospita. Il Burundi negli ultimi trent’anni ha vissuto pochi anni di pace. Nel periodo compreso tra gli anni ‘90 e i primi anni 2000 è stato da una guerra civile e dallo scontro tra i gruppi etnico Hutu (il gruppo più grande del Paese) e Tutsi, durante il quale sono morte circa 300.000 persone.

Nkurunziza, ex leader del movimento Hutu Cndd-Fdd, morto lo scorso giugno probabilmente dopo aver contratto il covid (ufficialmente il Paese ha registrato un numero esiguo di casi e un gruppo di investigatori della World Health Organization è stato espulso durante le indagini a maggio), è stato eletto presidente nella prima volta nel 2005, quattro anni dopo la firma degli Accordi di Arusha, che hanno concluso la guerra civile. In quegli anni, il Paese ha ottenuto risultati importanti dal punto di vista internazionale, come la cancellazione del debito da parte del Club di Parigi del 2009. Era stato poi rieletto la seconda volta nel 2010 con delle elezioni boicottate dall’opposizione, la situazione politica è peggiorata a partire da quell’anno.

Nel 2016 poi in Burundi si è trovato sull’orlo di un nuovo conflitto etnico, un’emergenza che ha visto l’intervento di alcune migliaia di truppe dell’Unione africana inviate con mansioni di peacekeeping. La presidenza di Nkurunziza è terminata ad agosto. A maggio si erano tenute le elezioni per il presidente vinte da Evariste Ndayishimiye, membro del Cndd-Fdd. Ma la situazione per i rifugiati in Tanzania continuerà ad essere la stessa.

di Cosimo Graziani