«Alla nascita di un bambino il mondo non è mai pronto»

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21 dicembre 2020

Il fanciullo del futuro


Giunto è già l’ultimo tempo del vaticinio cumano
nasce di nuovo da capo la grande serie dei secoli;
già torna anche la Vergine, tornano i regni saturni
già è inviata dall’alto cielo una nuova progenie
Tu solo questo bambino che nasce, e con cui
verrà meno quella di ferro, e una stirpe d’oro verrà in tutto il mondo
casta Lucina, benigna riguarda; già regna il tuo Apollo
E questa gloria di tempi avrà avvio con te, con te console
o Pollione, e dei grandi mesi avrà inizio lo scorrere
Con la tua guida, se restano tracce di quei nostri crimini
libereranno, ora vane, da eterna paura le terre
Lui degli dei avrà la vita, e frammisti agli dei vedrà eroi
e fra di loro lui stesso sarà visto, e con le paterne
sue virtù reggerà il mondo ormai giunto alla pace
Piccoli doni per prima la terra darà a te, o bambino
non coltivata: l’errare qua e là, con il bàccare, di edere
e colocasia, ancora frammista all’acanto ridente
lei blandi fiori, da sé, effonderà per te come culla
Colme di latte, da sé condurran le caprette alla casa
le poppe, né avran timore dei grandi leoni gli armenti
E cadrà anche il serpente; cadrà col veleno, fallace
l’erba: a nascere ovunque sarò l’amomo di Assiria.

(Virgilio, Ecloga IV)


L’onnipotenza fragile


Dio onnipotente che chiede amore
talmente onnipotente che non tutto può
siccome ha dato il libero arbitrio
l’amore ora da solo
sceglie a modo suo
così fa ciò che vuole
perciò a volte c’è emozione come una felicità di primule
che con la primavera subito si amano
a volte indifferenza cioè complicazioni
due biancospini talmente vicini che non si conoscono
m’ama o non m’ama — è un gemito non una domanda
perciò gli occhi degli animali sono enormi e tristi
e dorme tranquillo lo storno nel nido
insieme alla sua storna e al suo stornello
Iddio che chiede amore
assolve comprende
l’Onnipotenza è capace di tutto
dunque anche di piangere
l’Onnipotente quando ama sa anche essere
il più fragile.

(Jan Twardowski, Che chiede amore)


La notte giovane


Per questo fummo creati:
Per ricordare ed essere ricordati
Per piangere e fare piangere
Per seppellire i nostri morti
Per questo abbiamo braccia lunghe per gli addii
Mani per cogliere quel che ci è stato dato
Dita per scavare la terra.

Così sarà la nostra vita:
Una sera sempre ad aspettare
Una stella che si spenga nelle tenebre
Un cammino fra due tumuli
Per questo dobbiamo vegliare
Parlare a bassa voce, camminare piano, osservare
La notte che dorme in silenzio.

Non c’è molto da dire:
Una canzone su una culla
Un verso, a volte, d’amore
Una preghiera per chi se ne va
Ma quell’ora non dimentica
E ad essa i nostri cuori
Si abbandonano, gravi e semplici
Perché per questo fummo creati:
Per la speranza in un miracolo
Per la partecipazione della poesia
Per guardare in faccia la morte

 Di colpo non più aspetteremo…
Oggi la notte è giovane; dalla morte, appena
Siamo nati, immensamente.

(Vinícius de Moraes, Poema di Natale)


Stare di fronte alla festa


Vi sono molti atteggiamenti riguardo al Natale,
e alcuni li possiamo trascurare:
il torpido, il sociale, quello sfacciatamente commerciale,
il rumoroso (essendo i bar aperti fino a mezzanotte),
e l’infantile — che non è quello del bimbo
che crede ogni candela una stella, e l’angelo dorato
spiegante  l’ali alla cima dell’albero
non solo una decorazione, ma anche un angelo.
Il fanciullo di fronte all’albero di Natale:
lasciatelo dunque in spirito di meraviglia
di fronte alla Festa, a un evento accettato non come pretesto;
così che il rapimento splendido, e lo stupore
del primo albero di Natale ricordato, e le sorprese, l’incanto
dei primi doni ricevuti (ognuno
con un profumo inconfondibile e eccitante),
e l’attesa dell’oca o del tacchino, l’evento
atteso e che stupisce al suo apparire,
e reverenza e gioia non debbano
essere mai dimenticate nella più tarda esperienza,
nella stanca abitudine, nella fatica, nel tedio,
nella consapevolezza della morte, nella coscienza del fallimento.
Nella pietà del convertito
Che si potrebbe tingere di vanagloria
Spiacente a Dio e irrispettosa verso i fanciulli
(E qui ricordo con gratitudine anche
Santa Lucia, con la sua canzoncina e la sua corona di fuoco)
Così che prima della fine, l'”ottantesimo” l’ultimo, qualunque esso sia
Le accumulate memorie dell’emozione annuale
Possano concentrarsi in una grande gioia
Simile sempre a un grande timore, come nell’occasione
In cui il timore giunse ad ogni anima
Perché l’inizio ci ricorderà la fine
E la prima venuta la seconda venuta

(T.S. Eliot, La coltura degli alberi di Natale)


Memoria di una luce


Li vedo dirigersi alla chiesina
Per confessare i peccati.
Vigilia di Natale
 In una parrocchia a Monaghan.
Povera parrocchia, eppure i ricordi Vestono questa gente per me
Di un tessuto di romanticismo.
Non c’è neve; ma nella loro mente
Prati e campi sono bianchi;
Può darsi che parlino del mercato dei tacchini
O di politica estera, ma stanotte
La loro parlata contadina, aspra e schietta
È la melodia degli uccelli di Cristo.
Le biciclette filano via lì
accanto.
Le vecchie
 Si reggono ai margini del prato:
I loro pensieri sono terreni, ma la mente
Si invola a sognare della Vergine Maria,
Perché Uno a Betlemme ha messo al sicuro
Per loro i loro sogni.
«Tom si è fatto o vivo per Natale?»
«Sono giornatacce».
«Il negozio di Maguire è andato alla grande,
Un fatturato doppio — così dice Maguire»,
«Non posso trattenermi, Jem
Altrimenti farò tardi a Betlemme».
Cose del genere vide la mia memoria
Cose del genere ascoltò la mia infanzia
Questi pellegrini del Nord...
E, memoria, mi hai conservato
Una luce per seguire loro
Che vanno a Betlemme.

(Patrick Kavanagh, Ricordo della vigilia di Natale)