La solidarietà antidoto
La solidarietà, in questo 2020 così travagliato, è stata evocata come non mai. Si è giustamente parlato di solidarietà per il lavoro estenuante di medici e infermieri che hanno fatto fronte all’ondata travolgente di malati negli ospedali e si è parlato di solidarietà anche per i gesti di chi, in tempo di lockdown, ha cantato sui balconi o ha esposto striscioni consolatori con l’ormai famosa frase “tutto andrà bene”. Poi, però, in troppi continuano a non rispettare le regole per contrastare la diffusione del virus, a rifiutarsi di portare la mascherina, a dichiarare che non si sottoporranno alla vaccinazione, a negare l’esistenza del covid-19, che ha già mietuto così tante vittime, a spingere perché si torni presto ad una vita normale, costi quel che costi. Forse è il caso dunque di fermarci un attimo a pensare sul vero significato della parola.
L’occasione ci viene offerta dalla Giornata internazionale della solidarietà che l’Onu celebra ogni 20 dicembre, a ridosso del Natale. Non a caso è sul concetto di solidarietà che si basa il lavoro delle Nazioni Unite fin dalla sua nascita. Con l’obiettivo di promuovere la pace, i diritti umani e lo sviluppo economico e sociale, l’Onu si fonda su un principio di sicurezza collettiva e di solidarietà tra i suoi membri. È in questo spirito che le Nazioni Unite utilizzano la cooperazione per risolvere i problemi economici, sociali, culturali o umanitari internazionali. Nella Dichiarazione adottata dagli Stati membri nel 2000, la solidarietà è definita come uno dei valori fondamentali che devono sostenere le relazioni internazionali nel xxi secolo, insieme alla libertà, all’uguaglianza, alla tolleranza, al rispetto della natura e alle responsabilità condivise. I problemi globali devono essere gestiti a livello multilaterale e in modo tale che i costi e gli oneri siano distribuiti in base ai principi fondamentali di equità e di giustizia sociale. Coloro che soffrono o sono particolarmente svantaggiati meritano l’aiuto dei privilegiati. A questo scopo l’Assemblea generale dell’Onu ha istituito nel 2003 il Fondo globale di solidarietà, con l’obiettivo di eliminare la povertà e promuovere lo sviluppo umano e sociale nei Paesi in via di sviluppo, soprattutto nelle fasce più povere della popolazione. E molto è stato fatto se i tassi di povertà globale si sono dimezzati dal 2000 ad oggi e milioni di persone vivono ogni giorno con un po’ di più. Ciò nonostante, in molti Paesi una persona su dieci continua a sopravvivere con meno di 1,9 dollari al giorno, considerata la soglia di povertà internazionale, e nell’Africa subsahariana vive in povertà estrema il 42 per cento della popolazione.
Milioni di persone sono ancora senza reddito e nessuna risorsa che garantisca loro mezzi di sussistenza, piagati dalle carestie, dalla malnutrizione, con un accesso limitato all’istruzione e ai servizi sanitari, discriminati socialmente e totalmente esclusi dai processi decisionali. Secondo i dati più recenti, si tratta di oltre 736 milioni di persone, il 10 per cento della popolazione mondiale che lotta per soddisfare i bisogni fondamentali come salute, istruzione, accesso all’acqua pulita e ai servizi igienico-sanitari. E le donne soffrono questa condizione più degli uomini: sono povere 122 donne, di età compresa tra i 25 e i 34 anni, ogni 100 uomini. E ancora, 160 milioni di bambini rischiano di continuare a vivere in condizioni di estrema povertà entro il 2030. Dunque, mentre si lavora per raggiungere l’obiettivo “povertà zero” entro i prossimi 10 anni, la solidarietà, come avverte l’esperto Onu per i diritti dell’uomo e la solidarietà internazionale Obiora Okafor, è messa a rischio dalla minaccia crescente del populismo. Nel suo recente rapporto all’Assemblea delle Nazioni Unite, l’esperto ha sottolineato l’impatto negativo di questo fenomeno sulla costruzione e sul mantenimento della solidarietà internazionale. La crisi economica (principalmente in Europa e Nord America) iniziata nel 2008, così come la continua recessione, gli sviluppi tecnologici che hanno portato all’automazione e alla perdita di posti di lavoro in molti Paesi, hanno esacerbato il populismo già esistente in entrambi i continenti. La sua retorica, insiste Okafor, è riuscita a incanalare la disillusione di coloro che sono rimasti indietro. Le minacce al tessuto sociale hanno aumentato la preoccupazione di molti. Questa angoscia è stata intercettata dal vento populista, rafforzato dal razzismo, ancora profondamente radicato nel mondo. Dunque, mentre la solidarietà internazionale cerca di affrontare crisi e sfide globali, il populismo cerca di alzare muri tra i popoli e di separarli sulla base di distinzioni come la razza, la religione e l’etnia. Inoltre, l’ideologia del “primato delle Nazioni” è contraria alla cooperazione e considera la solidarietà internazionale solo un problema. È dunque questa la più grave minaccia alla solidarietà basata sui diritti umani per tutti.
A peggiorare la situazione è arrivata poi la pandemia da covid-19, la cui lunga durata ha portato con sé un ridimensionamento di pratiche solidali. È, invece, in momenti come questo, in cui le disuguaglianze aumentano, e cresce il rischio che i più deboli siano messi da parte, che ci si deve impegnare nella solidarietà per garantire a tutti pace, dignità, uguaglianza in un mondo sano.
di Anna Lisa Antonucci