Il presidente della Conferenza episcopale austriaca sulla sentenza pro suicidio assistito

Frattura culturale
contro la solidarietà umana

varobj3431875obj2035841.jpg
19 dicembre 2020

Dolore e sgomento. È il sentimento espresso ufficialmente dalla Chiesa austriaca dopo che la Corte costituzionale, con una sentenza pronunciata l’11 dicembre scorso, ha deciso di depenalizzare il suicidio assistito mantenendo, però, in vigore il divieto per l’eutanasia. «Questa scelta è una rottura culturale che mette in pericolo la solidarietà umana» ha severamente ammonito con un comunicato il presidente della Conferenza episcopale austriaca e arcivescovo metropolita di Salisburgo, monsignor Franz Lackner.

Eccellenza, la Chiesa austriaca come valuta la decisione della Corte costituzionale di depenalizzare il suicidio assistito?

Molti vescovi, compreso il cardinale di Vienna, hanno preso posizione a proposito della decisione della Corte costituzionale relativa al tema del suicidio assistito. In qualità di presidente della Conferenza episcopale ho fatto una dichiarazione per la Chiesa cattolica austriaca tramite l’agenzia di stampa ufficiale. La decisione rappresenta l’abbattimento di un argine, un primo passo che — come si vede in altri Paesi in cui è stato adottato lo stesso pronunciamento — potrebbe condurre alla legalizzazione dell’eutanasia. Siamo molto preoccupati per questa sentenza che apre la strada alla legalizzazione del suicidio assistito. Oltre ai vescovi anche diverse personalità della Chiesa austriaca hanno espresso riserve e critiche in merito a questo passo.

Quali saranno le conseguenze che questa decisione comporterà?

Noi dobbiamo accettare, in linea di principio, le decisioni della Corte costituzionale e non esiste una possibilità di fare appello contro di esse. Con questa sua sentenza essa ha, comunque, solo affermato che la legislazione esistente in materia non è conforme alla nostra Carta costituzionale. Adesso è la volta del Parlamento che deve prendere l’iniziativa. I parlamentari avranno un anno di tempo per varare una legge che regoli la materia in modo conforme ai principi affermati nella Costituzione austriaca. La questione è: che cosa possiamo fare noi nel frattempo? Possiamo cercare il colloquio e il confronto con le diverse forze politiche per tentare di salvare il salvabile. Questo è tutto quello che possiamo fare. Possiamo sottolineare che la legge, così com’era, non era contro la dignità della persona. Anzi, morire è un atto eminentemente personale in cui non si può intervenire, interferire, dall’esterno. L’uomo non è il signore della morte, non può disporre della morte a suo arbitrio. L’inizio e la fine naturali dell’esistenza sono i due punti cruciali che rimandano ad una realtà soprannaturale. E l’uomo non deve interferire.

Mentre la Corte costituzionale ha depenalizzato il suicidio assistito ha invece mantenuto il divieto per l’eutanasia. Ma questa decisione non le sembra che, in fondo, apra la strada proprio all’eutanasia che si vuole vietare?

Pensiamo che sia proprio così. La ragione per la quale la Corte costituzionale si è pronunciata in favore della legalizzazione del suicidio assistito è che si tratterebbe di una forma di discriminazione e di indifferenza nelle libertà personali dell’individuo, garantite dalla Carta fondamentale. Ma chi ci dice che in futuro gli stessi argomenti non potrebbero essere alla base di una decisione che consenta anche la pratica dell’eutanasia? Che questo potrebbe essere il prossimo passo lo si vede in altri Paesi in cui si è iniziato con la legalizzazione del suicidio assistito.

Secondo lei, gli Stati hanno l’autorità, morale e giuridica, di consentire ad una persona di togliersi la vita?

Commettere suicidio in Austria non è un reato, non è proibito dallo Stato. E questo, per me, è accettabile fermo restando che il suicidio non è un atto morale: decidere di togliersi la vita rientra nella libertà dell’individuo. Quello che, finora, era proibito era prestare assistenza a chi ha deciso di commettere suicidio: questo non è accettabile e non dovrebbe essere consentito. Non è possibile creare un istituto giuridico che consenta o addirittura forzi qualcuno ad aiutare una persona a togliersi la vita. Non dobbiamo dimenticare quali conseguenze, una cosa del genere, potrebbe comportare. Potrebbe capitare che ospedali gestiti da organizzazioni o istituti di religiosi potrebbero vedersi costretti a fornire questo tipo di “servizio” andando contro la propria coscienza. Questo è inammissibile: medici e personale sanitario hanno già espresso riserve in merito.

La decisione di depenalizzare il suicidio assistito è stata presa dalla Corte costituzionale e non dal Parlamento. Come giudica la tendenza, in atto in molti Paesi europei, di far decidere su temi delicati, come la difesa della vita, organi terzi e non invece quelli eletti dal popolo?

La Corte costituzionale si è limitata ad affermare che la legislazione attuale non è conforme ai principi della Carta costituzionale austriaca. Essa non è un organo legislativo e non può legiferare. Il Parlamento è chiamato adesso a varare una normativa che sia compatibile con i principi cui fanno riferimento i giudici costituzionali e ha un anno di tempo per rifare la legge. Vorrei concludere con una dichiarazione personale: la Chiesa accetta, in linea di principio, la competenza inappellabile della Corte costituzionale nelle questioni concernenti la costituzionalità della legislazione. Ma come Chiesa non applicheremo una legge — che probabilmente sarà approvata in un prossimo futuro — che dovesse permettere il suicidio assistito. Ci sentiamo riportati nel tempo in cui fu scritta la lettera a Diogneto nella quale si elencano le cose che i cristiani non fanno. Così spero e prego che un giorno si possa dire dei cristiani: questo i cristiani non lo fanno!

di Federico Piana