«Italiani e no», l’ultimo libro di Goffredo Buccini

Storia di un Paese a galla
su trent’anni di paure

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18 dicembre 2020

Documentato, appassionato, ma anche intriso di amarezza, quella che nasce dalla consapevolezza dei tanti errori nella gestione dell’immigrazione e di ciò che si sarebbe potuto fare per evitare di giungere al punto in cui siamo. È il libro di Goffredo Buccini Italiani e no (Milano, Solferino, 2020, pagine 349, euro 17), scritto con il piglio del reporter di razza e l’acume dell’analista attento ai cambiamenti della società. Un volume che già dall’eloquente sottotitolo — «dagli albanesi ai “taxi del mare”, storia di un Paese a galla su trent’anni di paure» — svela un contenuto che chiama in causa in primo luogo la politica. In particolare gli stereotipi e i preconcetti che certa politica, prima conservatrice e poi apertamente sovranista, ha alimentato a suo favore, e che cert’altra non è riuscita a contrastare, impegnata com’era nel cercare compromessi tra le diverse sue anime, riuscendo anzi nel non semplice intento di continuare a indebolirsi. Insomma tante colpe e responsabilità da dividere tra destra e sinistra.

Quella di Buccini è la ricostruzione dettagliata degli ultimi trent’anni di un Paese in bilico tra accoglienza e rigetto. Un racconto che inizia da Jerry Masslo, il “migrante zero” lo definisce l’autore, «il primo di cui ci accorgemmo, il ragazzo sudafricano ammazzato nel 1989 a Villa Literno, che fece uscire la figura del migrante dalla parodistica rappresentazione del vucumprà da spiaggia, restituendocene appieno la dimensione umana e drammatica. E arriva a Innocent Oseghale, il carnefice del nostro immaginario collettivo, condannato nel 2019 all’ergastolo per l’assassinio di Daniela Mastropietro e lo scempio del suo cadavere, compendio di tutti gli errori del nostro sistema di accoglienza».

Un sistema che però all’inizio non dovette fare i conti con l’immigrazione africana, ma con quella balcanica. In principio, infatti, furono gli albanesi, in fuga dopo la caduta di Enver Hoxha, che nella dirimpettaia Italia, attraverso la tv, vedevano L’America, per dirla con il titolo del film di Amelio. E a risaltare fu la generosità della popolazione pugliese, che accoglieva quei poveracci arrivati sulla costa dando loro cibo, indumenti e talvolta persino un alloggio. Le stesse istituzioni italiane si distinsero allora per il sostegno alla transizione democratica nel Paese delle Aquile. Ma poi la situazione sull’altra sponda dell’Adriatico precipitò nel caos. Il 3 agosto 1991 a Bari giunse la nave Vlora, che in un sol colpo sbarcò diciottomila profughi. E la percezione della realtà cambiò e con essa la politica.

Buccini racconta l’approssimativa gestione di quella prima inattesa emergenza. E da lì ripercorre tre decadi fino a oggi, ricordando il terribile naufragio del 2013 con 368 annegati davanti a Lampedusa, dando conto delle stagioni degli arrivi incontrollati tra il 2015 e il 2017, per giungere alle operazioni di pattugliamento e soccorso nel Mediterraneo prima sovvenzionate dall’Ue e poi sospese. Senza però dimenticare i passaggi politici intermedi, con i primi tentativi di normare il fenomeno, la legge Martelli, poi la Bossi-Fini e per approdare ai restrittivi decreti sicurezza, con la politica dei “porti chiusi” di Salvini, con le ong ostacolate e sul banco degli imputati, le loro navi bloccate per giorni con centinaia di migranti a bordo, nonché le successive inchieste giudiziarie per sequestro di persona a carico dell’ex inquilino del Viminale. Fino alle ultime ondate di isterica xenofobia legate al covid-19 portato in Italia anche sui barconi dei migranti.

Trent’anni che Buccini ripercorre non tralasciando le vicende legate allo sfruttamento dei braccianti, la vergogna dei ghetti, gli scandali legati alla gestione dell’accoglienza, con le inchieste sui Cara in mano alla mafia; le dure conclusioni della commissione d’inchiesta sull’accoglienza, come pure l’esperimento Riace, in Calabria, all’inizio laboratorio riconosciuto a livello mondiale come esempio di integrazione e poi demolito per via giudiziaria probabilmente perché in contrasto con la vigente visione politica. L’autore dà altresì conto dei primi discutibili accordi di Berlusconi con Gheddafi per fermare le partenze dalla Libia e dei più recenti e non meno controversi sottoscritti dal ministro dell’interno Minniti con le autorità di un Paese diviso e non considerato dall’Onu un “porto sicuro”. Accordi tuttora sostanzialmente in essere, in quello che Buccini chiama il “paradosso del pacifista”, con la prova che «i migranti vengono seviziati, sfruttati e spesso uccisi dentro lager che noi stessi paghiamo, sovvenzionando sedicenti funzionari e inverosimili guardie costiere per trattenere lì chi tenti di attraversare il Mediterraneo». Ma anche consapevoli che «senza un filtro, si riverserebbero sulle nostre coste potenti flussi migratori senza controllo».

Nelle pagine di Buccini sul banco degli imputati non c’è però solo l’Italia. Dalle vicende riportate emergono le ipocrisie dell’Europa verso l’Africa. Perché è questo continente la grande incognita del ventunesimo secolo: l’Africa senza pace, dilaniata da conflitti per il controllo di ricchezze destinate ad altri, impoverita anche da corruzione interna e speculazioni neocolonialiste, affamata da carestie e cambiamenti climatici. L’Africa alle prese con un trend demografico che, per l’autore, è “la vera bomba sul nostro uscio”, se è vero che «nel 2100 la popolazione giovanile africana equivarrà al doppio dell’intera popolazione europea».

Quello migratorio è dunque un fenomeno che non può essere ignorato, ma che va gestito a livello europeo con strumenti normativi adeguati e con sforzi realmente condivisi. E per farlo, spiega Buccini, esiste un solo modo: unire solidarietà e sicurezza, umanità e rigore, perché «si tratta di integrare chi può stare tra noi, ma anche di reprimere l’irregolarità di chi non può», con l’accortezza di «soppesare le esigenze del nostro mondo del lavoro, tarando su di esse efficaci decreti flussi, e collegando in modo stabile permessi di lavoro e permessi di soggiorno». Quello proposto è un modello di Global skill partnership, ovvero «un’alleanza attraverso cui si scambiano capacità tecnologiche dei Paesi d’arrivo contro forza lavoro garantita dai Paesi di partenza, nei quali si producono anche nuove competenze e sviluppo». Dunque, non più soldi a pioggia nelle tasche dei tiranni africani, ma interventi mirati. Sarebbe una risposta a quella che Dambisa Moyo ha chiamato la “carità che uccide”, ma anche un modo per ribaltare la “maledizione delle risorse”, ovvero la contraddizione di popolazioni poverissime in territori ricchi di preziose materie prime.

In sostanza, in Italiani e no Buccini ricostruisce lucidamente i mutamenti generati dalla paura dei migranti nel costume e nella politica italiana, quest’ultima incapace di governare il fenomeno, trasformandolo anzi in una perenne emergenza, con partiti pronti a strumentalizzarla cinicamente per lucrare consensi, anche attraverso un uso distorto dell’identità nazionale. È un pezzo di storia raccontato attraverso le vicende di persone reali, tra episodi di incredibile coraggio e di vergognosa viltà; una lettura che aiuta a muoversi tra gli stereotipi classici usati per definire gli italiani, trasformatisi da “brava gente” a “razzisti intolleranti”, e a comprendere che cosa è diventato il Paese e perché.

di Gaetano Vallini