Il corridoio a nord del Rio Grande

Musica di frontiera

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17 dicembre 2020

Tra le realtà musicali caratterizzate da una solida identità locale, vi è quella popolare del Lower Rio Grande Border, nel sud-ovest del Texas, definita tex-mex perché rimasta ancorata alle radici spagnole, in continuità con il passato. Con il trattato di Guadalupe-Hidalgo del 1848, il confine venne definitivamente fissato con il corso del Rio Grande, separando gli Stati Uniti dal Messico e causando altresì una ferita profonda tra le due differenti culture. I Tejanos, discendenti degli spagnoli cattolici che colonizzarono il Texas all’inizio del Settecento, dove fondarono le prime comunità, e che divennero poi cittadini messicani, dovettero, dopo l’annessione agli Usa, convivere con gli angloamericani, i Texians, che immediatamente iniziarono a disprezzarli e segregarli.

Gli stereotipi creati attorno alla figura del sudamericano rispecchiava un atteggiamento marcatamente ostile, il quale portò a un’emarginazione durata almeno fino alla fine della seconda guerra mondiale. La musica tejana è, dunque, messicana, frutto di una fusione tra la tradizione folklorica spagnola e quella arcaica indigena, che è riuscita a rimanere immutata, conservandone le singolari peculiarità.

Dal 1850 in poi, durante il conflitto socio-economico tra Tejanos e Texians, la musica di frontiera cominciò a evolversi anche nei corridos, ballate tramandate oralmente dalla melodia semplice, la cui struttura origina forse dalle poetiche décimas, costituite da dieci strofe, che nel corso del Settecento venivano utilizzate in tutta l’America Latina. I lunghi testi raccontano leggende, eroi popolari, fatti di cronaca storicamente documentati, il trasferimento delle mandrie, il malanimo e gli avvenimenti legati alla classe meno abbiente, costituita dagli indigenti braccianti agricoli e dagli operai, vittime dei soprusi inflitti dalle autorità americane.

Emblematico che anche i temuti Rangers diventino protagonisti delle storie narrate dai corridistas. «Un pomeriggio un prigioniero stava cantando/ una canzone molto triste: / “Se i miei genitori fossero vivi, / non sarei in prigione; / mi avrebbero dato la loro benedizione, / e avrebbero intercesso per me; / ora che sono rinchiuso qui dentro, / posso soltanto pregare il Signore; / per un prigioniero sventurato / non c'è cosa più grande di Dio”» (da El huérfano).

Solo però a partire dal 1926, grazie all'interesse commerciale delle case discografiche per le minoranze etniche, la musica tex-mex, custode quasi centenaria di una letteratura della gente più povera, espressione di un mondo umile, rurale, iniziò ad essere incisa da duo e trio di guitarreros, autentici trovadores che si esibivano nelle piazze dei mercati e le cui voci in armonia eseguivano corridos e canciones liriche, dal contenuto sentimentale ed introspettivo.

L’epoca d’oro del corrido si può dire immortalata grazie al minuzioso lavoro di Chris Strachwitz, che nel 1975 produsse, per l’Arhoolie Records, due album contenenti pregevoli registrazioni di artisti veterani del genere, come gli Hermanos Banuelos, i Trovadores Regionales e Nacho & Giustino, selezionate accuratamente tra le tante di quell’incomparabile periodo che iniziò nel 1930.

Due antiche ballate possono essere qui citate per la loro importanza. Al centro della prima traccia di Texas-Mexican Border Music Vol. 2, vi è la tragedia realmente accaduta dell’eroe popolare Gregorio Cortez che uccise per legittima difesa lo sceriffo W.T. Morris. Amato nelle regioni di confine, in quanto simbolo della sempre più dilagante ingiustizia razziale, la sua vita divenne un film nel 1982, dal titolo La Ballata di Gregorio Cortez, diretto da Robert M. Young. A testimonianza di un’ulteriore e idealizzata celebrazione popolare del fuorilegge temerario, la seconda traccia, nella versione degli Hermanos Sanchez Y Linares, è un corrido in onore di Joaquin Murrieta, il famoso bandito della California del 1850, anche detto il Robin Hood messicano, la cui storia affascinò persino Pablo Neruda, che gli dedicò un’opera teatrale drammatica nel 1966. Mosso dal fuoco della vendetta per il brutale assassinio della sua famiglia compiuto dai gringos oppressori, Murrieta si può definire come un uomo snaturato dall’impietoso giogo del sopruso. Eppure, diviene un eroe chiamato alla libertà, generoso, anch’egli di stampo romantico, che lotta, seppur avvalendosi di una condotta criminosa, in difesa degli ultimi, senza cedere all’indifferenza del suo tempo. «Non sono un cileno né uno straniero / su questo suolo che calpesto. / La California appartiene al Messico, / perché Dio voleva così».

di Marta D’Ambrosio