Il magistero

SS. Francesco - Biblioteca Privata - Udienza Generale - 16-12-2020
17 dicembre 2020

Giovedì 10

Mattoni per costruire una società giusta accogliente e pacifica

Ogni sforzo — piccolo o grande — fatto per favorire il processo di pace, è come mettere un mattone nella costruzione di una società giusta, che si apra all’accoglienza, e dove tutti possano trovare un luogo per dimorare in pace. Il mio pensiero va alle persone che hanno dovuto lasciare le case per sfuggire agli orrori della guerra, alla ricerca di condizioni di vita migliore. Ricordo i cristiani costretti ad abbandonare i luoghi dove sono nati e cresciuti, dove si è sviluppata la loro fede. Fare in modo che la presenza cristiana, in queste terre, continui a essere  un segno di progresso e riconciliazione.[Per i] rifugiati che vogliono rientrare nel loro paese. Rivolgo un appello alla comunità internazionale: si faccia ogni sforzo per favorire il rientro garantendo  sicurezza e le condizioni economiche necessarie. Un incoraggiamento alle agenzie cattoliche che sono impegnate negli aiuti umanitari. Sull’esempio del Buon Samaritano, vi adoperate senza riserve per accogliere, curare, accompagnare i migranti e gli sfollati, senza distinzione di credo e di appartenenza. La nostra azione caritatevole dev’essere ispirata dal e al Vangelo... segno tangibile di una Chiesa locale che aiuta un’altra Chiesa che sta soffrendo. In questi luoghi, non siete soli! Tutta la Chiesa si fa uno, per andare incontro all’uomo ferito incappato nei briganti lungo il cammino da Gerusalemme a Gerico.

(Videomessaggio all’Incontro online sulla crisi umanitaria siriana  e irachena organizzato dal Dicastero per il servizio dello sviluppo  umano integrale)


Venerdì 11

Da Slovenia e Abruzzo

Saluto la delegazione della Repubblica di Slovenia, [che]  ha donato il maestoso abete rosso, scelto nei boschi di Kočevje... E la delegazione della Diocesi di Teramo-Atri: dalla vostra terra,  da Castelli, proviene il presepe monumentale in ceramica.

Segni di speranza nel Natale del covid-19

Oggi  l’inaugurazione di  queste “icone” del Natale. Mai come quest’anno, esse sono segno di speranza.
Nel presepio, tutto parla della povertà “buona”,  povertà evangelica, che ci fa beati.
Contemplando la santa Famiglia e i vari personaggi, siamo attratti dalla loro disarmante umiltà.
La Madonna e san Giuseppe sono venuti da Nazaret a Betlemme. Per loro non c’è nemmeno una stanzetta.
I pastori vivono all’aperto. Vegliano.
L’annuncio degli Angeli è per loro, ed essi vanno subito a cercare il Salvatore.
Natale ricorda che Gesù è la pace, la gioia, la forza, il nostro conforto.
Ma, per accogliere questi doni, occorre sentirci poveri e umili come i personaggi del presepio.
Anche in questo Natale, in mezzo alle sofferenze della pandemia, Gesù, piccolo e inerme, è il “Segno” che Dio dona al mondo.
Segno mirabile, come inizia la Lettera sul presepe che ho firmato un anno fa a Greccio. Ci farà bene rileggerla.

(Alle delegazioni di donatori dell’albero e del presepio in piazza San Pietro)


Sabato 12

I tre movimenti della creazione

Quest’anno le luci un po’ sommesse del Natale sono motivo di preghiera e ricordo delle persone che soffrono a causa della pandemia. Qualche pensiero sull’arte e sul suo ruolo in un momento storico così critico.Nella creazione artistica possiamo riconoscere tre movimenti. Un primo movimento è quello dei sensi, che sono colti da stupore e da meraviglia.
Il secondo  tocca l’interiorità. Una composizione di colori, di parole, di suoni ha la forza di toccare l’animo. Si risvegliano memorie, immagini, sentimenti.
Terzo aspetto: la percezione e la contemplazione del bello generano un senso di speranza, che si irradia anche sul mondo circostante.
Il movimento esteriore e quello interiore si fondono e incidono sulle relazioni sociali: generano l’empatia capace di comprendere l’altro.
Questo triplice movimento di meraviglia, di scoperta personale e di condivisione produce un senso di pace, la quale — come testimonia san Francesco d’Assisi — libera da ogni desiderio di dominio, fa comprendere le difficoltà degli ultimi e spinge a vivere in armonia. Un’armonia che è legata alla bellezza e alla bontà.
La Genesi sottolinea che di fronte alle creature «Dio vide che era cosa buona».
L’aggettivo “buono” si può tradurre anche con “armonioso”. Il creato  stupisce per splendore e varietà e fa comprendere quale sia il nostro ruolo nel mondo.
Gli artisti ne sono coscienti e — come scrisse san Giovanni Paolo ii  — avvertono «in sé questa sorta di scintilla divina, che è la vocazione artistica».
Nel messaggio dell’8 dicembre 1965, a conclusione del Concilio, san Paolo vi  si rivolgeva agli artisti definendoli «innamorati della bellezza». E diceva: il mondo «ha bisogno della bellezza per non sprofondare nella disperazione».

La luce della bellezza nell’oscurità della crisi

Anche nello smarrimento provocato dalla pandemia, la vostra creatività può generare luce.
La crisi rende più fitte «le ombre» e sembra oscurare la luce del divino, dell’eterno. Non cediamo a quest’inganno.
Cerchiamo la luce della Natività: essa squarcia l’oscurità del dolore e delle tenebre.
Vi ringrazio per la solidarietà. La vostra è una vocazione alta e impegnativa: trasmettere verità e bellezza. Entrambe infondono gioia.
Esprimo  apprezzamento alle Missioni Don Bosco e a Scholas Occurrentes per l’impegno e lo spirito di servizio con cui rispondono all’emergenza educativa e sanitaria, attraverso progetti ispirati al Global Compact on Education.

(Udienza agli artisti del concerto di Natale in Vaticano)

Benedire è lo stile di Dio

Nella Liturgia oggi risaltano tre parole, tre idee: abbondanza, benedizione e dono. Guardando l’immagine della Vergine di Guadalupe, abbiamo  il riflesso di queste tre realtà.
L’abbondanza, perché Dio non conosce le dosi. Si lascia “dosare” dalla sua pazienza. Siamo noi che — per la nostra  natura, per i nostri limiti — conosciamo la necessità delle comode rate.
Lui invece si dà in abbondanza, completamente. E dove c’è Dio, c’è abbondanza.
Pensando al mistero del Natale, la liturgia di Avvento prende dal profeta Isaia questa idea dell’abbondanza. Dio si dà tutto, totalmente.
La generosità può essere — a me piace pensare così — un “limite” di Dio: l’impossibilità di darsi in modo diverso che non sia in abbondanza.
La seconda parola è benedizione. L’incontro di Maria con Elisabetta è una benedizione. Dio, fin dalla prima pagina della Genesi, ci ha abituato a questo stile.
La seconda parola che pronuncia è: “Ed era buono”, “è buono”, “era molto buono”.
Lo stile di Dio è sempre di dire bene, per questo la maledizione è lo stile del diavolo, del nemico; lo stile della meschinità, dell’incapacità di donarsi totalmente,  “dire male”.
Dio sempre dice bene. E lo dice con piacere, lo dice donandosi.
La terza parola è dono. E questa abbondanza, questo dire bene, è un regalo... che ci viene dato in Colui che è tutta grazia, che è tutto divinità: nel Benedetto.
Un dono che ci viene dato in Colei che è “piena di grazia”, la “Benedetta”.
Il Benedetto per natura e la Benedetta per grazia: sono i due riferimenti che la Scrittura indica.
E guardando l’immagine di nostra Madre che aspetta il Benedetto, comprendiamo  questa abbondanza, del “benedire”.

Contemplare Maria

E comprendiamo questo  dono di Dio che si è presentato a noi nell’abbondanza del suo Figlio, per natura, [e] nell’abbondanza di sua Madre, per grazia.
Che, contemplando l’immagine di “Nostra Madre”, possiamo “rubare” a Dio un po’ di questo stile: la generosità, l’abbondanza, il “bene-dire”, mai maledire, e trasformare la  vita in un dono.

(Messa nella Festa Liturgica della Beata Vergine Maria di Guadalupe)


Domenica 13

Invito alla gioia

L’invito alla gioia è caratteristico del tempo di Avvento: l’attesa che viviamo è gioiosa, un po’ come quando aspettiamo la visita di una persona che amiamo, ad esempio un grande amico che non vediamo da tempo, un parente.
Questa dimensione della gioia emerge specialmente oggi, terza domenica, che si apre con l’esortazione di San Paolo «Rallegratevi nel Signore».
Qual è il motivo di questa gioia? Che «il Signore è vicino» a noi.

Cristiani con la faccia da veglia funebre

Una volta un filosofo diceva: “Io non capisco come si può credere oggi, perché coloro che dicono di credere hanno una faccia da veglia funebre. Non danno testimonianza della gioia della risurrezione di Gesù”.
Tanti cristiani con quella faccia di tristezza.
Ma Cristo è risorto! Cristo ti ama! E tu non hai gioia?
Il Vangelo ci presenta il personaggio biblico che — eccettuando la Madonna e San Giuseppe — per primo e maggiormente ha vissuto l’attesa del Messia e la gioia di vederlo arrivare: Giovanni il Battista.
È il primo testimone di Gesù, con la parola e con il dono della vita.
Tutti i Vangeli concordano nel mostrare come lui abbia realizzato la sua missione indicando Gesù come l’Inviato di Dio promesso dai profeti.
Giovanni era un leader del suo tempo. La sua fama si era diffusa. Ma lui non cedette nemmeno per un istante alla tentazione di attirare l’attenzione su di sé: sempre orientava a Colui che doveva venire.
Sempre il Signore al centro. I Santi intorno, segnalando il Signore. E chi non segnala il Signore, non è santo!

Decentrarsi da sé e mettere al centro Gesù

Ecco la prima condizione della gioia cristiana: decentrarsi da sé e mettere al centro Gesù. Questa non è alienazione, perché Gesù è la luce che dà senso pieno alla vita.
È lo stesso dinamismo dell’amore, che mi porta a uscire da me stesso  per ritrovarmi mentre  mentre cerco il bene dell’altro.
Il cammino della gioia non è una passeggiata. Ci vuole lavoro. Giovanni ha lasciato tutto, fin da giovane, per mettere al primo posto Dio.
Si è ritirato nel deserto spogliandosi di ogni cosa superflua, per essere più libero di seguire il vento dello Spirito.
Certo, alcuni tratti della sua personalità sono unici, irripetibili. Ma la sua testimonianza è paradigmatica per chiunque voglia trovare la vera gioia.
Il Battista è modello per quanti nella Chiesa sono chiamati ad annunciare Cristo: possono farlo solo nel distacco da sé stessi e dalla mondanità.
La  gioia deve essere la caratteristica della nostra fede.
Anche nei momenti bui, sapere che il Signore è con noi.
Pensate: come mi comporto io? Sono una persona gioiosa che sa trasmettere  gioia?
Se io non ho la gioia della mia fede, non potrò dare testimonianza e gli altri diranno: “Ma se la fede è così triste, meglio non averla”.
Noi vediamo questo realizzato pienamente nella Vergine Maria: lei ha atteso nel silenzio la Parola di salvezza di Dio; l’ha ascoltata, l’ha accolta, l’ha concepita.

Benedizione dei Bambinelli

Saluto il gruppo che è venuto in rappresentanza delle famiglie e dei bambini di Roma, in occasione della benedizione dei “Bambinelli”, appuntamento organizzato dal Centro Oratori Romani. Quest’anno siete qui in pochi a causa della pandemia, ma so che tanti bambini e ragazzi sono negli oratori e nelle case e ci seguono attraverso i mezzi di comunicazione. Benedico le statuine di Gesù, che verranno collocate nel presepe.  Quando pregherete a casa, davanti al presepe con i familiari, lasciatevi attirare dalla tenerezza di Gesù Bambino, nato povero e fragile, per darci il suo amore.

(Angelus in piazza San Pietro)


Mercoledì 16

Preghiera d’intercessione

Chi prega non lascia mai il mondo alle sue spalle.
Se la preghiera non raccoglie gioie e  dolori, speranze e angosce, diventa attività “decorativa”, superficiale, da teatro, atteggiamento intimistico.
Tutti abbiamo bisogno di interiorità: di ritirarci in uno spazio e in un tempo dedicato al  rapporto con Dio.
Questo non vuol dire evadere dalla realtà.
Ogni cristiano è chiamato a diventare, nelle mani di Dio, pane spezzato e condiviso.
Gli uomini e le donne di preghiera cercano la solitudine e il silenzio, non per non essere infastiditi, ma per ascoltare meglio  Dio.
A volte si ritirano dal mondo, ma, ovunque siano, tengono sempre spalancata la porta del cuore:  per quelli che pregano senza sapere di pregare; per quelli che non pregano ma portano dentro un grido soffocato; per quelli che hanno sbagliato e hanno smarrito la via.
La preghiera è il nostro cuore e la nostra voce, e si fa cuore e voce di tanta gente.

Antenna di Dio

L’orante prega per il mondo intero, portando sulle sue spalle dolori e peccati.
Prega per tutti e per ciascuno: è come se fosse un’“antenna” di Dio.
In ogni povero che bussa alla porta, in ogni persona che ha perso il senso delle cose, chi prega vede il volto di Cristo.
Quando preghiamo siamo in sintonia con la misericordia di Dio.
Perché Cristo davanti al Padre è intercessore,  e prega facendo vedere  le piaghe delle sue mani;  pregare è intercedere in Gesù al Padre, per gli altri.
Alla preghiera sta a cuore l’uomo. Chi non ama il fratello non prega seriamente.
In spirito di odio non si può pregare; in spirito di indifferenza non si può pregare. La preghiera soltanto si dà in spirito di amore.
Chi non ama fa finta di pregare, o crede di pregare, ma non prega,  manca l’amore.
Chi conosce la tristezza o la gioia dell’altro va più in profondità di chi indaga i “massimi sistemi”.
C’è un’esperienza dell’umano in ogni preghiera, perché le persone, per quanto possano commettere errori, non vanno mai rifiutate o scartate.
Quando un credente prega per i peccatori, non fa selezioni, non emette giudizi di condanna. Prega per tutti.

E prega anche per sé. In quel momento sa di non essere diverso dalle persone per cui prega: si sente peccatore.
Noi non siamo migliori di nessuno, siamo tutti fratelli in una comunanza di fragilità, di sofferenze.
Il mondo va avanti grazie a questa catena di oranti che intercedono, e che sono per lo più sconosciuti… ma non a Dio!
Ci sono tanti cristiani ignoti che, in tempo di persecuzione, hanno saputo ripetere le parole di nostro Signore.
La Chiesa, in tutte le sue membra, ha la missione di praticare la preghiera di intercessione. Si tratta di pregare con tenerezza per gli altri.

Un Natale purificato dal consumismo

Vorrei esortare ad “affrettare il passo” verso il Natale, quello vero, cioè la nascita di Gesù. Quest’anno ci attendono restrizioni e disagi; ma pensiamo al Natale della Vergine Maria e di San Giuseppe: non furono rose e fiori! Quante difficoltà hanno avuto! Quante preoccupazioni! Eppure la fede, la speranza e l’amore li hanno sostenuti. Sia così anche per noi! Ci aiuti anche — questa difficoltà — a purificare un po’ il modo di vivere il Natale, di festeggiare, uscendo dal consumismo: che sia più religioso, più autentico, più vero.

(Udienza generale nella biblioteca privata del Palazzo apostolico vaticano)

L’educazione è un atto di speranza

L’educazione è sempre un atto di speranza che, dal presente, guarda al futuro.Questo è stato un anno straordinario di sofferenza, d’isolamento obbligato ed esclusione, di angoscia e crisi spirituali e di non poche morti. Più di un miliardo di bambini hanno affrontato interruzioni nella  educazione. Centinaia di milioni sono rimasti indietro nelle opportunità di sviluppo sociale e cognitivo. Le crisi biologica, psichica ed economica sono state molto aggravate dalle crisi politiche e sociali.Le Nazioni Unite offrono un’opportunità unica affinché i governi e la società civile del mondo si uniscano sia nella speranza sia nell’azione per una nuova educazione. Nel nostro tempo, in cui il patto educativo mondiale si è infranto, vedo con soddisfazione che i governi si sono impegnati mediante l’adozione dell’Agenda 2030 e degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU, in sinergia con il Global compact on education.L’obiettivo 4 impegna tutti i governi a «garantire un’istruzione di qualità inclusiva e paritaria e di promuovere opportunità di apprendimento permanente e questo per tutti». Il Global compact on education e la Missione 4.7 lavoreranno insieme per la civiltà dell’amore, la bellezza e l’unità. Spero che  siate i poeti di una nuova bellezza fraterna e amichevole, come pure della salvaguardia della terra.  Non vi dimenticate degli anziani e dei nonni portatori dei valori umani più decisivi.

(Videomessaggio  in occasione  del lancio della “Missione 4.7”  in sinergia con il Global Compact on Education)