Meditazioni «in pillole» nell’ultimo libro di Enrico Nicolò

Commenti a margine di un testo implicito

Enrico Nicolò, «Scrivere» (2010, particolare)
17 dicembre 2020

Dopo aver letto Come rotaie di un binario di Enrico Nicolò (Modena, Palombi Editore, pagine 151, euro 14) viene in mente, per le tante similitudini con la forma e con il tono, riflessivo e pacato, In margine a un testo implicito, dell’erudito colombiano Nicolás Gómez Dávila. Frasi emerse da «un territorio tenuto gelosamente nella penombra» (Álvaro Mutis), fulminanti annotazioni in margine a un «testo implicito» appunto, un testo che non c’è perché coincide con la vita, che sta al lettore scoprire passo dopo passo, aforisma dopo aforisma. Schegge e frammenti di meditazione che colpiscono come altrettante evidenze. Ciò che le tiene insieme è, come scrisse una volta Nietzsche, la «lunga logica di una sensibilità filosofica ben definita», che però l’autore si guarda bene dall’esplicitare troppo, per non risultare pretenzioso, dato il testo smisurato che commenta.

Non a caso, il sottotitolo del libro di Enrico Nicolò è Frammenti immaginari; si tratta di una raccolta — si legge in quarta di copertina — di quattrocentottantatrè brevi estratti da opere letterarie immaginarie, «schegge di vita che raccolgo lungo il mio viaggio — scrive l’autore nel prologo — i frantumi dei sogni, i cocci delle attese, i brandelli delle aspettative, i filamenti dei desideri (...) ma anche le lamelle di gratitudine, le briciole di certezza».

Tessere di un mosaico, particelle di un diario “esploso” in una miriade di particelle, frammenti sapienziali come «Non ho più tempo per offendermi. Mi resta solo quello per voler bene», o note fuori dal coro mainstream, in cui una dolciastra sensiblerie detta legge, come «il sentimento inganna molti, l’emozione quasi tutti». Da non perdere il lungo, appassionato elogio della fotografia, «luogo di riposo dove il tempo si attarda silenzioso. Un luogo dell’animo dove ascoltare nella pace la voce del tempo, dove raccontare se stessi agli esseri umani; è la finestra di comunicazione tra l’animo dell’autore e il mondo, alla quale ciascuno dei due si affaccia dal suo lato. Si fotografa ciò che si è; per trascrivere stessi e la propria visione della vita».

Puntare e schiacciare il pulsante dell’otturatore della fotocamera, continua l’autore, «mi dà la stessa piacevole sensazione di quando, da adolescente, ai baracconi di tiro a segno dei luna park miravo e premevo il grilletto del fucile ad aria compressa sfidando mio padre a colpire il bersaglio di cerchi concentrici. E scrutare i provini a contatto è come contare i punti dei fori sul cartoncino colorato, con le corone circolari rosse, bianche e verdi. La fotografia è un innesco di gioia». La fotografia ci insegna a vedere e, ammirando, si impara ad amare. «Uscire a fare fotografie — continua Nicolò — è come svitare il cappuccio della mia stilografica e dispormi a mettere nero su bianco». Nel prisma della scrittura si riflettono perle che altrimenti rischierebbero di passare inosservate, come «l’ora sospesa», quei pochi minuti, subito dopo colazione, quando la giornata non è ancora iniziata e tutto può ancora succedere.

«A volte mi trovo a desiderare che mi accada qualcosa di autentico — si legge in uno dei passi più “visivi” del libro —Non di grande. Né di importante. Ma di vero. Di genuino, semplice e sincero. Di meravigliosamente spontaneo e inatteso. Di sublimamente umano (...) Ecco, due giorni fa, nell’androne del mio palazzo, una ragazza di almeno quarant’anni più giovane di me, che entrava, vedendomi scendere le scale mi ha salutato gentile ed è tornata rapidamente sui suoi passi per tenere aperto per me il portone che si stava a poco a poco richiudendo. Non era tenuta a farlo. Mi sono intimamente commosso»

di Silvia Guidi