Religio - In cammino sulle vie del mondo

La casa dei Magi

Le grotte sotterranee di Betlemme nei pressi della basilica della Natività
16 dicembre 2020

«In un momento così delicato ripartiamo da Betlemme per ricostruire il nostro ambiente, la nostra vita, probabilmente la nostra umanità. Facciamo il cammino dell’Avvento come lo fecero i magi, arrivati da lontano per cercare qualcosa che poi ha scombussolato le loro vite. E Betlemme può ancora cambiarci e rivoluzionare anche le nostre di vite». È un messaggio di auguri, intriso di speranza, quello che da Betlemme lancia Vincenzo Bellomo, responsabile per quell’area dei progetti di Pro Terra Sancta, con il riferimento niente affatto causale ai magi, visto che è chiamato proprio «Dar Al Majus», in arabo la “Casa dei magi”, il progetto che l’associazione lancia come ulteriore segno di fiducia in questo tempo complicato, contando sulla generosità di chi può spendersi «per le pietre vive, ovvero per questa gente in difficoltà, e per le pietre della storia», come sottolinea più volte Bellomo, collegato sui social con migliaia di persone, non solo in Italia, grazie alla diretta allestita nelle settimane scorse dal responsabile della comunicazione di Pro Terra Sancta, Andrea Avveduto.

«Quella del 5-6 gennaio — riprende Bellomo — è una ricorrenza importante per noi cristiani in molti Paesi, come Italia e Spagna, ma a Betlemme non c’era nessuna opera con questo nome. I re magi sono persone come noi, come migliaia di pellegrini venuti da lontano per cercare qualcosa, quel messaggio, quella grotta, e ognuno di loro ha portato la sua arte, il suo dono più prezioso. Ed è quello che cerchiamo di fare noi ogni giorno con questa gente, mettendo a disposizione la nostra arte e le capacità, ma anche le debolezze e i problemi, portando così quello che di più prezioso abbiamo, in cammino con umiltà per andare nella grotta. La “Casa” — prosegue — è un luogo che vuole mettere insieme Oriente e Occidente, ma anche un posto per tutti quelli che a Betlemme hanno trovato bellezza e hanno il desiderio di tornare, per le migliaia di persone che abbiamo incontrato in questi anni. Questo progetto è un regalo di Natale per tutti, dedicato alla comunità locale, ma anche l’occasione per essere legati a tali luoghi. Adesso qui viviamo un momento sospeso: la stanchezza e la preoccupazione di questi mesi cominciano a farsi sentire nella nostra quotidianità. Ma ci prepariamo a qualcosa di più bello: al Natale, alla speranza».

Il progetto, dunque, per la comunità di Betlemme, cristiana e musulmana, è quello di riprendere e sistemare un antico edificio proprio vicino alla basilica della Natività, per sviluppare una serie di attività già poste in essere. Ma, come vedremo, c’è anche la possibilità concreta di aiutare tanti artigiani messi in ginocchio dalla pandemia e dall’assenza di turisti, acquistando le loro capannine in legno: le informazioni utili su come donare si trovano sul sito dell’associazione (www.proterrasancta.org). Una richiesta di aiuto tanto più significativa perché la Casa si affaccia proprio su piazza della Mangiatoia, nel cuore di Betlemme.

«Dar Al Majus — spiega ancora Bellomo — è la storia della nostra presenza a Betlemme, un progetto nato sul campo, con la gente, nella nostra affezione e attenzione quotidiana sia alle pietre vive, per l’assistenza medica e scolastica, sia a quelle che raccontano la storia antica, che marcano la presenza millenaria. È un luogo che vuol mettere insieme il nostro lavoro di prossimità alle persone con i luoghi che raccontano una storia di appartenenza». Le emergenze per Betlemme e la Palestina sono legate ovviamente anche alla difficile situazione sanitaria: «Da diversi anni — aggiunge il responsabile di Pro Terra Sancta — portiamo avanti un programma di sostegno rispetto all’emergenza medica, rafforzato anche nei momenti più difficili e complicati del lockdown, per stare vicini alle persone, garantire l’accesso alle cure primarie extra covid. Betlemme vive per l’80-85 per cento di turismo, ma ora senza pellegrini, tanta gente si ritrova improvvisamente senza stipendio. Mandare i figli a scuola, accedere alle cure, è diventato un dramma. L’assistenza medica e l’educazione sono i pilastri della nostra azione, ma nelle ultime settimane tutto questo si è arricchito dal desiderio di offrire opportunità di lavoro, dare dignità alle persone. Ogni giorno ci inventiamo piccole attività per i disabili e gli anziani, per offrire giornate lavative a chi è rimasto senza». Alternative al turismo? «Ci siamo messi all’opera — sottolinea Bellomo — fin da subito, per esempio tramite il progetto di un corso di cucito, con l’idea di fare le mascherine e ora dei grembiuli, per insegnare una nuova arte alle donne di famiglie dove entrambi gli adulti hanno perso il lavoro. Ma è difficile trovare alternative per tutti, per le migliaia di persone che vivevano di artigianato. L’economia non va, basti pensare che adesso il tronco di ulivo da lavorare costa addirittura meno di quello da mettere nei forni per il pane». Il progetto realizzato da Pro Terra Sancta ha dalla sua anche una discreta sostenibilità, illustra Bellomo: <Non solo ricostruiamo la Casa ma diamo anche lavoro a tanta gente, almeno quaranta famiglie sono impegnate tra tecnici, operai e artigiani. E questa è già una scelta coraggiosa che speriamo di portare a termine con l’aiuto di chi ci vuole sostenere. Una volta ripartiti, all’interno ci saranno anche delle attività, dalla cucina a uno spazio per i pellegrini, per sostenere il tutto».

La situazione, come accennato, è a dir poco complicata e Vincenzo Bellomo la fotografa così più da vicino: «I numeri della pandemia sono difficili da raccontare, l’andamento è abbastanza critico, in Palestina abbiamo circa novecento casi al giorno e siamo cinque milioni di abitanti, per cui l’impatto è molto forte. A Betlemme un centinaio di casi quotidiani, ma in tutta la Palestina non vengono fatti più di 4-5 mila tamponi al giorno. Qui, però, la popolazione è molto giovane, al contrario dell’Italia, e questo in qualche modo consente di reggere, anche se siamo molto preoccupati per l’inverno. Vicino a noi Israele sta uscendo da una chiusura molto rigida, con la riapertura parziale delle scuole dopo 3 mesi. L’autorità palestinese non può chiudere perché non ha alcun sistema di welfare. I bisogni principali? La gente è rimasta senza lavoro, qui dicono che è ancora molto più difficile della guerra, della seconda Intifada, perché allora c’era solidarietà internazionale mentre oggi tutto il mondo è in crisi. Tutte le parrocchie sono impegnate ogni giorno a distribuire cibo nell’emergenza, ma non basta. Dovremmo essere zona “rossissima”, ma il governo non può fare niente, non ha alternative».

Problemi che si sommano. Come quelli degli anziani, in isolamento da nove mesi. «Non abbiamo più centro diurno, gli anziani sono aumentati di numero, ora abbiamo quarantacinque persone in accoglienza nella struttura della Società antoniana, grazie ai volontari rimasti qui, alle suore che portano avanti in silenzio la loro missione», fa sapere ancora Bellomo che poi dà conto di qualche luce che pure si intravede, come quella dell’ottima collaborazione tra i ministeri della Salute israeliano e palestinese. I flussi sono rimasti aperti, grazie anche all’opera di mediazione della Chiesa, per i palestinesi che vanno a lavorare in Israele dove lo stipendio è tre volte superiore e così una famiglia può sopravvivere. «Non vediamo l’ora di riaprire le porte e riaccogliere tutti, anche perché — sorride e conclude il responsabile dei progetti di Pro Terra Sancta a Betlemme — ci mancano i tanti amici che venivano a trovarci, anche se qui sono rimasti molti volontari. Prima magari ci lamentavamo che erano troppi, che non avevamo tempo per noi, adesso invece ci mancano i caffè presi insieme, le chiacchierate. Ma il rischio, quando si ricomincerà, è che non tutti ce la faranno, perché in molti si sono indebitati per aumentare l’accoglienza e ora hanno debiti pesanti».

di Igor Traboni