L’impegno della Chiesa in Mongolia raccontato dal prefetto apostolico di Ulaanbaatar

Con in dono la freschezza delle origini

varobj3384985obj2035841.jpg
16 dicembre 2020

Nella nostra epoca, sempre più dominata dalle leggi del mercato, i discepoli del Signore sanno di non dover cadere nella tentazione di intendere anche l’evangelizzazione in termini di efficienza, risultati e ottimizzazione delle risorse. Sanno che l’ansia del raccolto finisce per far perdere la festa che si fa in cielo per ogni «pecora», «moneta», «figlio» ritrovati e l’invito a gioire con il Signore (Luca, 15). Lo sanno e accolgono l’invito, con gratitudine e stupore. Come accade in Mongolia, Paese nel quale i primi missionari giunsero nel 1992, su richiesta del governo che aveva appena stabilito relazioni diplomatiche con la Santa Sede dopo l’inverno del regime comunista durato settanta anni. Questa terra, cinque volte più grande dell’Italia, caratterizzata da rigidissimi inverni, è abitata da tre milioni di persone, in larga maggioranza buddiste; i cattolici costituiscono un piccolo gregge: anno dopo anno sono diventati 1.300. Le parrocchie sono otto, i sacerdoti 22 (di cui uno originario della Mongolia), le suore 46. A questi religiosi e religiose, che appartengono a dieci congregazioni, si aggiungono due laici missionari e un diacono mongolo che dopo il lockdown sarà ordinato sacerdote. Lo scorso 2 aprile Papa Francesco ha nominato prefetto apostolico padre Giorgio Marengo, missionario della Consolata, 46 anni, di cui 17 trascorsi in Mongolia.

Dal 1992 la Chiesa, attenta ai bisogni della popolazione, si è impegnata in campo sociale, educativo, sanitario: sono stati fondati un istituto tecnico, due scuole elementari e due materne, un ambulatorio medico che offre gratuitamente cure e medicine ai più indigenti, un centro che garantisce assistenza ai disabili, due istituti che accolgono gli anziani abbandonati e poveri. Ogni parrocchia ha inoltre avviato progetti caritativi, aprendo mense e docce pubbliche, servizi di doposcuola, corsi destinati alla popolazione femminile. «Dagli anni Novanta ad oggi la Mongolia è profondamente cambiata», racconta padre Marengo. «La crescita tumultuosa dell’economia, dovuta in larga misura allo sfruttamento delle immense risorse del sottosuolo, ha notevolmente migliorato le condizioni di vita, tuttavia ha determinato anche diversi squilibri». Gran parte della popolazione vive di allevamento, ma negli ultimi anni un sempre maggior numero di persone abbandona le steppe e si trasferisce nella capitale, Ulaanbaatar, alla ricerca di un lavoro stabile, che però è difficile trovare. «La Mongolia non è più un Paese in via di sviluppo, ma la povertà non è scomparsa», prosegue il prefetto apostolico. «Con le proprie strutture assistenziali la Chiesa continua a sostenere le giovani generazioni e ad assistere coloro che patiscono privazioni e sofferenze. Oggi però il quadro normativo è cambiato e talvolta è faticoso mantenere le opere esistenti. Un esempio: solitamente un centro medico privato offre prestazioni a pagamento e risulta difficile capire il nostro ambulatorio che garantisce assistenza gratuita ed è sostenuto da un ente religioso che si mantiene grazie alla Provvidenza. Al momento stiamo dunque lavorando per poter continuare ad assicurare alla popolazione questo prezioso servizio di cura, che mira unicamente al bene delle persone, senza alcuna finalità di supposto proselitismo». La Chiesa ha fondato anche due centri culturali: uno, dotato di un’apprezzata biblioteca, sorge a Ulaanbaatar, nei pressi dell’università; il secondo ha sede nell’antica capitale dell’impero, Kharkhorin, ed è dedicato alla promozione del dialogo interreligioso. Per decenni in questa città i fedeli delle diverse religioni hanno vissuto insieme pacificamente e il centro si propone di far conoscere questa importante pagina della storia mongola. A questo scopo la Prefettura apostolica sta curando la pubblicazione di un’opera dedicata alla città scritta da un archeologo locale. Allo stesso tempo si stanno promuovendo studi sul cristianesimo in Mongolia: esso infatti giunse in questo Paese nella forma nestoriana già prima dell’anno Mille e vi rimase per lungo tempo.

La Caritas, costituitasi negli anni Novanta e riconosciuta dal governo mongolo nel 2010, lavora alacremente a sostegno della popolazione, affiancando la protezione civile in occasione dei disastri climatici, accudendo le persone più fragili e vulnerabili, promuovendo progetti di artigianato e agricoltura, come le serre ad alto rendimento termico.

Nel corso dei decenni la Chiesa si è dedicata all’annuncio, alla catechesi, all’amministrazione dei sacramenti e all’accompagnamento di quanti chiedevano di intraprendere un cammino di fede. Attualmente, dal punto di vista pastorale «è indispensabile, operare affinché questo piccolo gregge di cattolici, sparpagliato in diverse località e talvolta visto con sospetto e commiserazione dal resto della popolazione, possa sentirsi maggiormente unito», sottolinea padre Marengo. «Lo scorso agosto Papa Francesco, durante un incontro, mi ha invitato a curare la formazione dei sacerdoti: il mio proposito è camminare insieme a loro con spirito fraterno moltiplicando le occasioni di confronto, preghiera, riflessione per costruire comunione fra noi, una comunione che sarà poi più facile edificare fra le diverse comunità, alle quali è importante anche offrire alcuni percorsi pastorali comuni. Reputo necessario inoltre lavorare per sostenere meglio il cammino di fede delle persone che, dopo il battesimo, sono molto desiderose di essere aiutate a declinare concretamente nella vita quotidiana il loro legame d’affetto con il Signore. A questo scopo intendo adoperarmi, ad esempio, affinché i fedeli possano disporre di un maggior numero di testi del magistero tradotti in lingua mongola». E riflettendo sull’esperienza maturata in missione, padre Marengo aggiunge: «Poter svolgere il mio ministero in questo Paese dove Gesù è poco conosciuto è stata e continua ad essere una delle grazie più grandi che ho ricevuto. Mi intenerisce sempre molto cogliere lo stupore di uomini e donne che iniziano a conoscere un Dio personale, un Dio che perdona. Mi commuove sempre molto constatare l’azione del Signore nei cuori delle persone che si sentono guarite e liberate da molte paure. Penso che la giovane Chiesa mongola stia portando in dono alla Chiesa tutta una sorta di freschezza delle origini, la bellezza e la letizia sincera di uomini e donne che hanno scoperto Gesù da pochi anni e cominciano a camminare dietro a Lui. La loro è una felicità semplice e grata, una felicità che spero possa sostenere e contagiare quelle comunità occidentali segnate da tiepidezza, ripiegate su se stesse e tentate di rimpiangere nostalgicamente il passato».

di Cristina Uguccioni