«Fratelli tutti», anche alla luce del recente Documento sulla fratellanza umana di Abu Dhabi, rappresenta l’illuminata indicazione magisteriale che il Santo Padre ha voluto rivolgere ai credenti per riconoscersi figli di un unico Padre e ai non credenti per sentirsi creature di un Dio creatore del cielo e della terra!
Il Papa avvia la sua riflessione rendendo presente che la vita umana è un fatto che non ha la sua provenienza in noi stessi, ma ci è stata data da un Altro che trascende l’esistenza di ogni singolo. «Come credenti pensiamo che, senza un’apertura al Padre di tutti, non ci possono essere ragioni solide e stabili per l’appello alla fraternità. Siamo convinti che soltanto con questa coscienza di figli che non sono orfani si può vivere in pace fra noi» (272).
Siamo fratelli e sorelle costituiti della stessa dignità umana, indipendentemente dalla razza, dalla lingua, dal popolo, dalla nazione, dalla cultura o religione. Questa è la sfida lanciata da Papa Francesco al mondo contemporaneo: considerare la fratellanza universale che ha come base antropologica la dignità della persona umana, e questo è il dato fondamentale per costruire il dialogo per la pace. «... la pace reale e duratura è possibile solo a partire da un’etica globale di solidarietà e cooperazione al servizio di un futuro modellato dall’interdipendenza e dalla corresponsabilità nell’intera famiglia umana» (127).
La fraternità rimane una categoria portante del pontificato di Papa Bergoglio. L’umanità intera, nel ricevere la vita, si scopre legata dal vincolo della fraternità, che si manifesta come il principio che esprime la strutturale realtà dell’essere umano di formare con gli altri esseri dell’universo una stupenda comunione universale (cfr. Laudato si’, 220).
Ogni persona, forte della propria dignità umana, è chiamata a godere della stessa uguaglianza sociale, e quindi essere rispettata nell’inalienabile diritto alla vita, ad una vita degna di essere chiamata tale, con diritto all’educazione, al lavoro, alla salute, al rispetto dell’alterità.
Nella società di oggi è pertanto urgente creare una rete di relazioni sociali, tra famiglie, educatori e operatori culturali (cfr. Fratelli tutti, 114), per poter formare i giovani di questa generazione alla fraternità e all’amicizia (cfr. 2), alla solidarietà, al servizio, a valorizzare l’alterità come un punto di partenza per rafforzare la propria identità. Bisogna educare ai valori alti che danno senso, sapore e gioia alla vita e all’esistenza umana, guardano il rapporto con l’altro come una risorsa necessaria per la realizzazione del progetto che abita nel Cuore di Dio: la salvezza dell’umanità.
Papa Francesco, nella sua lettera enciclica, illumina il cammino umano verso la fraternità sociale tramite la contemplazione della parabola che l’evangelista Luca racconta del «buon Samaritano» (Lc 10,25-37), con un’attenta riflessione sulle due domande che il dottore della Legge rivolge a Gesù: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?».
Nel contesto politico, sociale e religioso in cui è inquadrata la parabola, i samaritani e i giudei risultano essere rivali, ma questo non impedisce al buon Samaritano di farsi prossimo a un giudeo percosso a sangue dai briganti. Il Samaritano riesce in maniera eroica a superare sé stesso, ad andare oltre quelle barriere imposte dai limiti umani che non gli avrebbero permesso di farsi prossimo di colui chi si trovava in un’evidente necessità. Il Samaritano ha infatti ha dovuto superare una barriera geografica, accudendo un uomo “figlio” di una regione rivale alla sua. Ha dovuto superare una barriera culturale, politica, sociale e religiosa. Il buon Samaritano non ha badato a queste categorie, e mosso da un sano sentimento di compassione si è fatto prossimo di quel ferito e si è preso cura di lui. Gli ha offerto gratuitamente le sue cure, il suo tempo e senza anteporre alcun calcolo economico, ha speso le sue risorse per curare i suoi bisogni.
In una cultura altamente individualista come la nostra, l’atteggiamento del buon Samaritano risulta un valido invito a guardare l’altro con occhi diversi. Il Samaritano non ha temuto di investire nell’altro le tre realtà tanto care all’egoismo umano: le cure, il tempo e il denaro, e questo ha permesso di attribuire a quel suo appellativo decisamente restrittivo, perché riguardante esclusivamente le sue origini (samaritano), un attributo (buono) che non solo esalta radicalmente la sua natura ma porta frutti concreti a chi lo avvicina.
Il buon Samaritano, scevro dalle regole del mercato che obbediscono pedissequamente alla legge del time is money, è libero di impegnare il suo tempo con un uomo a lui estraneo, ferito e offeso dai suoi simili, mostrando così che è possibile superare i parametri imposti da semplici condizionamenti umani, e solo questo rende il cuore capace di compiere gesti di gratuità!
Mediante questa parabola, icona illuminante (cfr. 67), Papa Francesco ha così messo in luce valori evangelici fondamentali, volti a riscattare l’umanità dall’individualismo globalizzante di chi si chiude nei propri interessi rendendosi incapace di vedere le necessità altrui.
Il Santo Padre ha inoltre ricavato da questa parabola i valori indispensabili per stabilire una solida convivenza umana e non soltanto cristiana: il valore della dignità umana, messa in luce dalla compassione del Samaritano, l’accoglienza dell’alterità, la gratuità (cfr. 139) che non calcola il tempo offerto all’altro e il denaro speso per curarlo, la tenerezza di chi sa farsi prossimo (cfr, 194), la gentilezza che «facilita la ricerca di consensi e apre le strade là dove l’esasperazione distrugge tutti i ponti» (224), l’ospitalità come «modo concreto di non privarsi di questa sfida e di questo dono che è l’incontro con l’umanità al di là del proprio gruppo» (90), il valore
incommensurabile della vita umana in quanto tale.
Le azioni del Samaritano, nell’etica cristiana, vengono qualificate come eccellenti, in quanto mosse esclusivamente dalla carità (cfr. 165, 185) verso uno sconosciuto. Il Samaritano ha saputo usare quell’amore gratuito che supera ogni ostacolo per offrire il meglio di sé all’altro, senza badare chi questi fosse e senza aspettare alcuna ricompensa. Questo è l’Amore tenero del Cuore di Dio, è il sentimento più vero, concreto e puro che Dio nutre nei confronti dell’umanità. Solo nell’usare carità verso il prossimo, l’uomo avrà la possibilità di nutrire gli stessi sentimenti che sono di Dio e diventare così compartecipe con Lui del suo progetto di salvezza per l’umanità.
Come donna consacrata in un istituto internazionale, mi chiedo spesso come posso vivere concretamente quest’amore vero all’interno delle nostre comunità religiose e riconoscere che l’altra sorella ha tutto il diritto di essere da me rispettata e amata nonostante le diversità che la distinguono da me.
Alla luce di questa illuminata lettera enciclica che Papa Francesco ha donato al nostro cuore, mi rendo conto che superare la barriera della diversità è una sfida che dobbiamo avere il coraggio di affrontare anche all’interno delle nostre comunità religiose così da rendere testimonianza al mondo che il Vangelo per essere credibile deve essere vissuto. L’altra anche se diversa da me, non costituisce una minaccia, anzi proprio per la sua diversità è per me un dono arricchente in quanto mi dona l’opportunità di riconoscere la mia vita come dono, dono irripetibile di Dio all’umanità.
La figura geometrica del poliedro (cfr. Evangelii gaudium 237) presentata da Papa Francesco, «rappresenta una società in cui le differenze convivono integrandosi, arricchendosi e illuminandosi a vicenda» (Fratelli tutti 215). La convivenza delle diversità umane, animata dalla carità vicendevole, permette all’uomo di ogni tempo e di ogni razza di vedere nell’altro non un estraneo, non un diverso, ma un fratello, che come tale gode delle mie stesse origini e proprio quella sua diversità diverrà per entrambi fonte di arricchimento e di vicendevole illuminazione nel condurre saggiamente e in modo paritario la storia della vita umana.
La vera carità trasformerà così la diversità nella bellezza delle relazioni fondamentali che daranno vita a una convivenza umana sana e autentica! Siamo fatti per la pienezza che si raggiunge solo nell’amore. (cf. 68).
È quanto mai urgente ai nostri giorni, segnati dall’individualismo e da relazioni che si esauriscono sempre di più in gesti “virtuali”, recuperare le relazioni interpersonali autentiche, ove l’amore diventa un’azione concreta e non solo la parola più inflazionata del vocabolario umano. Per questo il Papa insiste: «c’è bisogno di gesti fisici, di espressioni del volto, di silenzi, di linguaggio corporeo, e persino di profumo, tremito delle mani, rossore, sudore, perché tutto ci parla e fa parte della comunicazione umana» (43). Tutto ciò risulta fondamentale per un sano consolidamento dell’identità della persona umana.
Solo dando debito valore alla persona umana si avvertirà l’esigenza di stabilire relazioni fondamentali e corrette con me stesso e con chi mi è prossimo, giungendo così a conferire a ogni essere umano un’esistenza di serena convivenza sociale: «Trascurare l’impegno di coltivare e mantenere una relazione corretta con il prossimo, verso il quale ho il dovere della cura e della custodia, distrugge la mia relazione interiore con me stesso, con gli altri, con Dio e con la terra» (cf. Laudato si’, 70).
Si tratta di un cammino arduo ma possibile, un cammino che ci permette di toccare le radici del nostro essere cristiani e ci concede la consapevolezza che come tali saremo sempre discepoli, anche quando diventiamo apostoli, perché è vitale restare alla scuola del Cuore di Cristo, il Maestro per eccellenza, che insegna i valori autentici che reggono l’esistenza di coloro che percorrono un cammino insieme in questo tempo della storia e che condividono uno spazio in questo pianeta Terra, che geme di dolori per i colpi di violenza ricevuti dai suoi «figli» che vi abitano.
Vieni, Spirito Santo! Mostraci la tua bellezza riflessa in tutti i popoli della terra, per scoprire che tutti sono importanti, che tutti sono necessari, che sono volti differenti della stessa umanità amata da Dio. Amen.
di Miriam Cunha Sobrinha
Superiora generale delle Apostole del Sacro Cuore di Gesù