# CantiereGiovani

Con lo sguardo
di un galletto impertinente

Particolare dalla copertina de «L’uovo nero» (2020)
14 dicembre 2020

A colloquio con Sante Bandirali, editore di Uovonero


«La casa editrice è nata nel 2010, anno in cui alla fiera di Francoforte ci si guardava in giro pensando che la realtà dei libri cartacei stesse per scomparire e che la vittoria del digitale fosse imminentissima. C’era veramente un clima particolare in quell’ottobre. Debbo dire che noi, partiti da poco, non abbiamo mai creduto che l’editoria tradizionale sarebbe tramontata, che l’e-book avrebbe soppiantato tutto». Dieci anni dopo è inequivocabile che abbiano avuto ragione loro, Sante Bandirali, Enza Crivelli e Lorenza Pozzi, fondatori di Uovonero, casa editrice di Crema specializzata in libri inclusivi per giovani lettori che promuovono una cultura della differenza. «La considerazione dell’importanza, del valore della bellezza e dell’estetica del libro a maggior ragione quando si tratta di bambini con difficoltà — ci racconta Bandirali che, oltre a essere editore, è scrittore e traduttore —, è stata da subito al centro del progetto. Assieme alla consapevolezza di andare a coprire uno spazio vuoto nel mercato editoriale italiano, e all’organizzazione delle collane così come esistono oggi». Le diverse collane articolano concretamente l’idea di fondo di Uovonero che vuole accogliere e ampliare lo sguardo dei piccoli lettori, con un’attenzione particolare a quelli più svantaggiati.

«L’idea della casa editrice — prosegue Bandirali — venne a Enza Crivelli, pedagogista clinica, esperta di autismo e coordinatrice di diverse realtà nel nord Italia che se ne occupano. Stanca di materiali artigianali nell’ambito della comunicazione aumentativa alternativa, una quindicina di anni fa iniziò a parlare del diritto dei bambini fragili di poter andare in libreria per comprarsi un libro vero, un libro bello a misura loro». Oggi sullo scaffale troviamo un albo bellissimo che incarna tutto questo. Per festeggiare i primi dieci anni di vita, infatti, Uovonero si è fatta e ha fatto ai suoi lettori un regalo, pubblicando L’uovo nero (2020) — scritto da Bandirali e illustrato da Alicia Baladan — che racconta a suo modo la fiaba di Luigi Capuana da cui gli editori hanno tratto il nome della casa editrice. È la storia di un galletto diverso, discolo e impertinente che, nonostante tutti gli sforzi, non pare raddrizzabile. Volendogli bene, il re e la regina smettono di temerne le stravaganze, lo accettano per come è, permettendogli così si esprimersi a suo modo. Senza forzature.

Leggere segna l’immaginario, orienta lo sguardo, determina il linguaggio: la letteratura per l’infanzia ha oggi la giusta attenzione e il giusto rispetto per il suo pubblico?

Sicuramente ci sono editori molto bravi e coraggiosi che fanno un ottimo lavoro. Esiste però anche un filone che non rispetta l’intelligenza dei bambini, non li considera, e pensa di tutelarli raccontando loro storie banali con un linguaggio un po’ bambinese che in realtà i piccoli non apprezzano. Ma loro non amano leggere quelle cose banali che si crede vadano date loro perché sono bambini, questi libri parlano soprattutto a una falsa e rassicurante idea dei piccoli che hanno molti genitori, portati a fare un acquisto di questo tipo perché così si sentono tranquillizzati. Non si parla di temi difficili come ad esempio la sofferenza: invece ai bambini si può parlare di tutto, l’importante è che lo si faccia con la giusta delicatezza. Così si sentono valorizzati. Ogni tanto ci arriva qualche proposta editoriale, anche da autori già noti, che ci dicono “la propongo a voi perché siete coraggiosi”: secondo me non serve coraggio, serve solo pensare ai bambini come a delle persone che, semplicemente, hanno meno esperienza. E se a causa di questa scarsa esperienza non possiamo usare qualsiasi linguaggio, né essere troppo diretti su alcuni temi, non bisogna però nascondere le cose. Altrimenti i bambini si sentono ingannati.

L’editoria per minori pare essere in Italia la sola in attivo: lei sa rispondere al grande mistero di come mai adulti che non leggono comprino libri per i piccoli? Senso di colpa, speranza che siano migliori di noi, delega o resa incondizionata?

Gli adulti non leggono ma sanno che leggere è importante. Hanno un po’ la coscienza sporca e si nascondono dietro un sacco di scuse: hanno da fare, devono lavorare, manca il tempo. Ma sanno che i libri sono importanti. Quindi sono più propensi a darli ai bambini perché ai bambini si tende a dare il meglio, a dare le cose importanti. Del resto è molto antica l’idea della esibizione delle biblioteche: fin dall’Antica Roma gli ignoranti esponevano libri che non leggevano come indice di potenza, ricchezza e cultura. Poi nella lettura dei bambini c’è sicuramente — anche se potrebbe essere più forte — il ruolo della scuola.

Avete uno sguardo ramificato: vi rivolgete ai lettori svantaggiati, a quelli non svantaggiati per aiutarli a comprendere chi è diverso da loro, agli adulti che vivono o lavorano con alunni svantaggiati.

Uso spesso la metafora dell’uovo. Il nucleo del progetto editoriale — il tuorlo — sta negli albi inclusivi che usano dei codici, come i simboli della comunicazione alternativa aumentativa: sono libri che nascono per chi ha difficoltà, ma non sono libri solo per loro. Ogni volta, infatti, pensiamo anche a chi non ha difficoltà di lettura in modo che il libro sia veramente condiviso da tutti, da tutta la classe ad esempio. L’idea del libro speciale per i bambini speciali è un ghetto, e molti esempi di comunicazione alternativa aumentativa che si trovano in giro rendono la lettura per chi non ha difficoltà talmente fastidiosa e faticosa da finire per allontanare il lettore. Noi invece siamo arrivati al punto di fare libri di narrativa ad alta leggibilità senza più nemmeno scrivere che lo sono: la dimostrazione è Una per i Murphy di Lydia Mullaly Hunt che ha vinto il premio Strega quest’anno. Un libro ad alta leggibilità il che però è scritto solo all’interno nel colophon in corpo 8, cioè piccolissimo, senza strombazzarlo. Così nessuno potrà dire che un libro ad alta leggibilità ha vinto lo Strega: dirà semplicemente che Una per i Murphy ha trionfato! Al tempo stesso, però, se un bambino dislessico inizia a leggerlo fa meno fatica che a leggere un libro impaginato in maniera tradizionale. Tornando all’uovo, se il libro inclusivo che usa codici speciali destinato a tutti i bambini è il nucleo del progetto editoriale, c’è poi l’albume. E cioè il racconto che affronta i temi della fragilità e delle diversità per i compagni di classe, i familiari, le sorelle e i fratelli, gli amici, i conoscenti, i vicini di casa. Quindi c’è il guscio che tiene insieme un po’ tutto, costituito dalla collana di saggistica destinata ad adulti. Operatori, genitori, insegnanti che siano.

Come si racconta la fragilità? Perché non basta avere una buona idea o una buona storia per scrivere un buon libro…

Ci deve essere una bella storia: il romanzo deve essere letteratura, l’albo deve avere anche una componente artistica, il testo deve essere narrato con delicatezza. La fragilità, la disabilità, anche se ingredienti importanti della storia, non devono mai essere qualcosa di buttato lì, di messo volutamente sotto i riflettori. Altrimenti è il cosiddetto libro a tema, spesso molto povero, che vuole dare una spiegazione. Anche qui facendo un esempio delle proposte che riceviamo, tantissimi ci dicono “ho scritto un libro sull’autismo”: ebbene so già che quando aprirò quel manoscritto non ci troverò nulla di interessante. Forse l’esempio più celebre dei nostri libri è stato il primo romanzo che abbiamo pubblicato, Il mistero del London Eye di Siobhan Down, che vinse il premio Andersen nel 2012: è un libro bellissimo, un giallo straordinario, di quelli — come scrive Simonetta Agnello Hornby nell’introduzione — che ti tengono alzato tutta la notte per quanto è accattivante. È un mistero insolubile quello di questo ragazzo che sale sulla ruota panoramica e scompare: i due cugini rimasti a terra lo guardano, seguono la ruota salire ma quando la capsula torna giù, lui non c’è. Cosa è successo? I personaggi sono molto belli, molto forti, e certo Ted — l’io narrante — ha la sindrome di Asperger, che tra l’altro non viene mai citata. Ma non è un libro sulla sindrome di Asperger, è un bellissimo giallo per ragazzi e quando arriviamo alla fine scopriamo anche di aver imparato molte cose sulla sindrome. Siobhan Down, grande scrittrice inglese prematuramente scomparsa, ha veramente la capacità di raccontare temi difficili con il sorriso sulle labbra anche davanti a momenti davvero tragici, come quando — nel romanzo — si pensa che il cugino sia morto. Ted parla di morte, dice non sappiamo quando ma tutti moriremo, è una pagina fortissima che però inserita in un libro come questo alla fine è una cosa che porta a riflettere. Senza che sia stata buttata sul giovane lettore come un macigno.

di Giulia Galeotti