LA MESSE È MOLTA : VIAGGIO NEL MONDO DELLE VOCAZIONI/6
A colloquio con il rettore del Seminario interdiocesano di Pisa

Un segnale di comunione per formare i preti
di domani

L’esterno del seminario maggiore interdiocesano di Pisa
12 dicembre 2020

Sei diocesi della Toscana occidentale insieme, per formare i preti di domani: nasce così il Seminario interdiocesano di Pisa, che nelle settimane scorse ha avviato il suo primo anno con diciassette giovani e con una solenne cerimonia di apertura per l’inizio ufficiale di questa nuova esperienza di Chiesa e di pastorale vocazionale. Per l’occasione, nella chiesa di Santa Caterina, c’erano un po’ tutti: l’arcivescovo di Pisa, Giovanni Paolo Benotto, vicepresidente della Conferenza episcopale toscana e moderatore del seminario, l’arcivescovo di Lucca, Paolo Giulietti, i vescovi di Livorno, Simone Giusti, di Massa Carrara - Pontremoli, Giovanni Santucci, di Pescia, Roberto Filippini, e di Volterra, Alberto Silvani. Ovvero gli stessi presuli, in rappresentanza delle sei diocesi, che il 26 febbraio 2020 hanno di fatto fondato e istituito il Seminario maggiore interdiocesano, il cui statuto è stato approvato quattro mesi dopo dalla Congregazione per il clero.

Ma erano presenti anche il vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza, Stefano Manetti, in qualità di delegato della Conferenza episcopale toscana per i seminari, e il vescovo di La Spezia - Sarzana - Brugnato, Luigi Ernesto Palletti, che fino a poco tempo fa inviava i seminaristi all’Istituto teologico interdiocesano di Camaiore, ora pure confluito nella struttura pisana. E ovviamente c’era don Francesco Bachi, 45 anni, rettore del seminario, il cui accento e il simpatico tono della voce tradiscono subito le sue origini (è parroco proprio di Santa Caterina, al centro di Pisa), anche nel salutare il titolo di questo “viaggio vocazionale” che ora fa tappa in Toscana. «D’accordo: la messe è molta, ma la comunione vince!», esordisce facendo per l’appunto riferimento allo straordinario anelito delle sei Chiese locali e sul quale torneremo, una volta detto che alla base della decisione di unificare i seminari ci sono anche problemi “spicci” e un po’ più pratici. «Da una prima lettura dell’esame della situazione fatta dai presuli — aggiunge don Francesco — il discorso è stato soprattutto organizzativo: per lavorare meglio e formare meglio i futuri preti, i vescovi hanno maturato in questi ultimi anni l’idea di formarli in un unico luogo. Ma quello che è interessante di questa nostra esperienza è che davvero la comunione vincerà, davvero questo del seminario unico è un bel segno di comunione tra Chiese locali che già da anni collaborano. C’era già stata l’occasione di seminari che accoglievano ragazzi di altre diocesi, tipo Pisa che aveva accolto Livorno e Massa Carrara, oppure Lucca che aveva accolto Pescia, però secondo forme un po’ del passato. Poi c’è stata la visita ai nostri seminari di monsignor Carlo Bresciani, vescovo di San Benedetto del Tronto - Ripatransone - Montalto, in qualità di visitatore apostolico, e anche lui ci ha suggerito di mettere insieme le forze».

Da quella visita «è partita la successiva indicazione del cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il clero, che, cito testualmente, era tesa a “incoraggiare il cammino verso l’interdiocesanità, attraverso la confluenza dei seminaristi delle varie diocesi a Firenze e a Pisa”. Tutto questo nel febbraio 2019; da lì a organizzarsi il passo è stato davvero breve, grazie all’ulteriore cammino di comunione dei nostri sei vescovi».

Sulla decisione di riunire i seminaristi di diverse diocesi in una sola struttura ha naturalmente inciso il fatto che anche in Toscana la crisi delle vocazioni si avverte nei numeri, e quindi si fa sentire anche la consequenzialità di soluzioni pratiche rispetto a determinate aspettative di pastorale: «Quando nei seminari si trovano due o tre giovani — riprende Bachi — è difficile fare una formazione completa ed equilibrata. Penso anche alla formazione alla vita comunitaria: se siamo in due o tre è un po’ complicato renderla pratica. Oppure alla preghiera: è vero che è personale, ma c’è anche quella comunitaria. E poi c’è il discorso dei costi: tenere aperte certe realtà ha delle implicazioni economiche notevoli; pensiamo a certe strutture molto grandi che però prima ospitavano centocinquanta persone e ora a malapena quattro-cinque».

Ma questa di Pisa è allora la soluzione vincente per dare nuovo slancio alla pastorale vocazionale? «Non so — risponde il rettore del seminario — se la nostra è la soluzione vincente. Di certo la comunione, e questo ce lo assicura Gesù, è qualcosa di vincente. La nostra formula è quella giusta? Vedremo, magari tra cinque anni. Sicuramente porterà a preti formati meglio, non so quanti di più ma certamente di una qualità migliore, e io questo lo dico con cognizione di causa perché l’ho già percepito in queste prime settimane di seminario unificato. Un modello per altri seminari? Può darsi — osserva — ma anche qui una cosa è certa: se ce l’abbiamo fatta noi, può farcela chiunque. Penso infatti a tante nostre realtà così diverse, spesso in competizione campanilistica tra loro, se solo guardiamo a Pisa e a Livorno, o anche a Lucca che fino all’unità d’Italia era granducato ed è stata sempre un po’ appartata. In generale, siamo sempre tutti un po’ individualisti, con la nostra storia, le nostre tradizioni, i nostri patroni. Invece, facendole insieme, le cose possono andare meglio».

E questo vale anche per i seminari. Da qui il discorso scivola inevitabilmente sull’identikit del seminarista di oggi, almeno di quelli che si stanno preparando all’interdiocesano di Pisa: «In questi ultimi anni — risponde don Francesco — stiamo assistendo a qualcosa di sorprendente: i nostri seminaristi provengono tutti dalle parrocchie; può sembrare strano, ma è così: sono “animali parrocchiali”, cresciuti lì, con un parroco o un prete di riferimento. Non abbiamo invece casi di convertiti o di giovani che provengono da movimenti; tutti arrivano dal territorio, dal tessuto delle parrocchie. E niente vocazioni adulte, anche se un paio stanno facendo un certo tipo di percorso a Lucca e a Massa. Credo che comunque un cinquantenne, soprattutto per il suo bene, non debba poi fare vita comunitaria con ragazzi di 20 anni».

E così chi arriva in questo seminario sotto la Torre lo fa dopo aver compiuto studi universitari e li ha anche portati a termine, magari con una laurea triennale, oppure ha fatto esperienze lavorative. «Da questo punto di vista — argomenta il nostro interlocutore — anche il livello intellettuale è interessante e devo dire che ci si lavora bene con questi seminaristi, si applicano negli studi, conoscono il mondo e sono figli di questo mondo. Speso dico loro: “Vi ci vorrebbe un rettore per uno”, perché sono così straordinari e anche diversi, hanno i loro tempi, i loro interessi. Succede un po’ come i figlioli che hanno bisogno di attenzioni personali e di un percorso, un cammino individuale».

Resta però il fatto che, anche se ovviamente non è questione di numeri, il rapporto di diciotto seminaristi (il diciottesimo sta studiando a Roma) per sei diocesi è pari a 3 e quindi abbastanza basso. Ma non è che incide anche la famosa paura di “farsi prete”, di entrare in seminario? «Tanti hanno paura — ragiona Bachi — perché rispetto a venticinque-trent’anni fa, quando è maturata la mia vocazione, oggi ci sono tanti più timori; questi giovani crescono con una paura innata che poi li appesantisce, li mette in crisi, e per decidere ci mettono più tempo, ma credo che il Signore chiami sempre. I parroci, però, dovrebbero curare un po’ di più la pastorale vocazionale, perché questa non la fa il seminario o chissà chi, ma la parrocchia, il prete che fa vedere che è contento di fare il prete. Io se lo sono è grazie a preti piccoli, semplici e anche un po’ “ignoranti” ma che ci hanno trasmesso cos’è il bene».

Un esempio straordinario, aggiunge il rettore, arriva poi da Papa Francesco: «Il suo modo di parlare del Vangelo e di viverlo credo che “inquieti” ancora di più i giovani di oggi; questo modo di fare avvicina i ragazzi e li interroga, li porta a farsi domande; affascina questo modo del Papa di parlare, ma anche di vivere, trasmette un’inquietudine che diventa positiva; e le sue omelie, che si leggono anche in parrocchia, sono semplici, tutti le capiscono, anche i ragazzi che così si avvicinano».

Insomma, da Pisa si comprende come le vie della pastorale vocazionale non sono certo finite. «È una pastorale vocazionale — ha affermato di recente l’arcivescovo Benotto — che non lascia niente di intentato per aiutare i giovani ad ascoltare e a rispondere positivamente alla chiamata di Gesù, a lasciare tutto per seguirlo». Si tratta di una pastorale «che non si può improvvisare e che richiede grande disponibilità nell’accompagnamento spirituale e umano dei nostri giovani; che chiede tempo dedicato alla direzione spirituale e soprattutto il coraggio di una proposta esplicita che invita a porsi in ascolto del Signore e a domandargli: “Signore, che cosa devo fare?”».

E allora, non resta altro che fare la conoscenza con questi “magnifici 17” del nuovo Seminario interdiocesano di Pisa, senza dimenticare il diciottesimo, ovvero Lorenzo Correnti, di Pisa, che studia patrologia all’Istituto patristico Augustinianum di Roma. Eccoli: Moreno Enyell, originario del Venezuela, proveniente dalla diocesi di Livorno, al suo quinto anno di studi; al quarto anno ci sono invece Tiago Siqueira, brasiliano di origine italiana, già al seminario diocesano di Pisa, Alessio Bertocchi, della diocesi di Massa Carrara - Pontremoli, e Michele Tambellini, che invece appartiene all’arcidiocesi di Lucca; al terzo anno di studi ci sono Francesco Federico, di Pisa, Giorgio Lazzarotti, della diocesi di Massa Carrara - Pontremoli, Agbolo Vignon Mawuli, originario del Togo e già al seminario di Pisa; stanno invece iniziando il secondo anno Roberto Zucchi, pisano, Samuele Rizzi e Raffaele Moscatelli, della fraternità sacerdotale San Filippo Neri della diocesi di Massa Carrara - Pontremoli, e Matteo Nincheri, della diocesi di Pescia; al primo anno, tutti provenienti dal propedeutico, ci sono infine Francesco Matteoni, della diocesi di Pescia, Samuele Ghiselli ed Emanuele Martinelli, entrambi di Lucca, Giacomo Liberto e Alessandro Baroni, pisani, e Diego Bassi, anch’egli della diocesi di Massa Carrara - Pontremoli.

di Igor Traboni