PUNTI DI RESISTENZA
Una «strana» festa di laurea

Con un nome
che si legge «gioia»

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12 dicembre 2020

«Avevo un piano e stava crollando tutto». Questa storia, con i suoi piani e i suoi crolli, discese e risalite, nasce con un nome che si legge Gioia. E comincia un giorno dell’estate scorsa quando una ragazza di 22 anni, Xhoia Rista, studentessa di Scienze e tecniche psicologiche a Urbino, prossima alla laurea, viene ricoverata a Fabriano, dove vive: da qualche mese soffriva di un grave acufene di cui non si conosceva l’origine. E aveva perso l’udito all’orecchio destro. Gli accertamenti in ospedale, poi la diagnosi: neoplasia del nervo acustico. «Il giorno stesso ho chiamato la segreteria e un responsabile del mio corso per informarmi su eventuali conseguenze se avessi rimandato la laurea. Inizialmente ero devastata, non tanto dal tumore perché mi fido dei medici e credo nella mia fortuna a scamparmela nella sfortuna, ma per la laurea, la borsa di studio e il corso magistrale».

Il piano che Xhoia aveva per la sua vita stava crollando, in poco tempo, tra l’altro nel pieno di una pandemia che già aveva sbaragliato i tanti schemi del mondo. La sua “fortuna” però è anche quella di aver avuto da sempre «un approccio umoristico di fronte alle avversità». Il titolo della sua tesi sta lì, su una rilegatura rosa, a dimostrarlo: Implicazioni psicologiche dell’umorismo nella promozione del benessere. Focus sugli stili umoristici. Dalla teoria alla pratica. Aveva paura sì, «chi non l’avrebbe?» racconta. «Ma inibire la paura con un sorriso si è rivelato il meccanismo di coping perfetto per me. È stata la mia ancora di salvezza. Scherzarci su riduceva il carico emotivo negativo che quello che mi si presentava portava con sé e riduceva lo stress annesso, per esempio, a ogni accertamento a cui venivo sottoposta o ai numerosi ricoveri».

Da Fabriano a Roma, le consigliano di recarsi all’ospedale pediatrico Bambino Gesù dove il 21 settembre viene operata. «Quel giorno i dottori hanno rimosso quasi tutto lo Schwannoma con un intervento durato 22 ore». Viene dimessa ma dopo circa un mese una complicanza la costringe a ritornare in ospedale. «Mi hanno operata nuovamente per chiudere una fistola da cui fuoriusciva il liquor. Tra le due operazioni ho scritto gran parte della tesi. Era una corsa contro il tempo, dato che la consegna era prevista per il 16 ottobre, ma ero determinata a finirla». Dopo qualche giorno esce dall’ospedale ma è necessario un altro ricovero, il 12 novembre. «Sentivo di remare contro un fato avverso, ma alla fine ho raggiunto il traguardo e il 19 novembre mi sono laureata con 105/110».

In ospedale si festeggia. «Trattandosi di un ospedale pediatrico siamo più abituati a festeggiare esami di terza media e diplomi — racconta la dottoressa Antonella Cacchione che lavora nel Dipartimento di oncoematologia e terapia genica cellulare — ma in certi casi, come quello di Xhoia, l’assistenza è estesa anche ai giovani adulti. Lei era ricoverata nel reparto di neurochirurgia e il dottor Andrea Carai è riuscito a organizzare tutto, mettendo a sua disposizione uno studio medico già attrezzato per le videoconferenze, così l’intero reparto è stato allestito a festa». Una lettera di saluto da parte degli infermieri, regali, mazzi di fiori. «La professionalità è scontata ma non lo è l’amore — osserva il professor Carlo Efisio Marras, che ha operato la ragazza ed è responsabile della Neurochirurgia — c’è uno scenario affettivo reale e concreto che i pazienti e i loro genitori scoprono, nel momento in cui entrano nel nostro reparto. Con Xhoia si è creato un grande rapporto di fiducia e lei in un momento così difficile si è sentita protetta. Il momento della sua laurea è stato molto bello, vissuto come se noi fossimo i parenti presenti alla discussione e paradossalmente in un momento in cui in genere ci si laurea a distanza, questo evento è stato ancora più memorabile, perché vissuto con qualcuno vicino che la festeggiava».

Umorismo e fiducia hanno così impresso la storia. «Pensare di essere in buone mani mi ha aiutata molto» confida Xhoia, ricordando anche i giorni più tristi. «Sentivo che non me la sarei cavata a causa della paralisi al nervo facciale. Sentivo che siccome “l’esterno” era compromesso e più lento nei movimenti, anche le mie capacità e la mia performance ne avrebbero risentito. Associavo alla perdita della capacità di muovere metà viso e alla perdita d’udito, una perdita anche interiore. Come se io stessa fossi cambiata e forse in peggio. Dopo la laurea ho capito che può cambiare il guscio ma io resto io, che ciò che mi definisce non è il nervo trigemino o quello acustico, ma quello che penso e faccio e che nessuno può portarmi via».

Adesso Xhoia è iscritta al corso di laurea magistrale di Psicologia clinica a indirizzo giuridico, sempre a Urbino. Ai suoi piani, in parte crollati, non dà più molta importanza. «Ho deciso di provare a non rendere la mia vita un rigido schema da seguire anche quando tutto sembra voler fluire verso un’altra direzione. L’unica cosa che ho chiara è il tipo di persona che voglio essere e il fatto di voler aiutare il prossimo. Mi porto dietro tanto amore rivolto in molte direzioni. Ho imparato a distinguere i rapporti in base alla loro profondità. E ho imparato ad amarmi un po’ di più. Ad amare quei miliardi di cellule che ogni giorno si impegnano per la mia salute. E a non dare per scontato nemmeno un respiro».

Le resta anche la soddisfazione di essere riuscita a far sembrare “meno grave” quello che stava succedendo alla sua famiglia (arrivata in Italia dall’Albania quasi trent’anni fa) e ai suoi amici; di aver convinto sua sorella, più grande di 6 anni, a non rinunciare all’Erasmus in Belgio insistendo affinché partisse, e di aver riscoperto in sua madre la sua migliore amica. «Quando sono triste è un ossimoro vivere con questo nome: Xhoia, che si legge Gioia. Ma penso che per conoscere la tristezza devi aver fatto esperienza della gioia, per vedere il contrasto è necessaria una conoscenza piena del duale. E penso anche che se mia sorella a 6 anni ha scelto questo nome per me è perché devo essere una Gioia nella vita altrui, oltre che nella mia».

di Tullia Fabiani