Per i disabili del Piccolo Cottolengo Don Orione di Milano il covid-19 ha aggravato i disagi

Quando basta
qualcuno accanto

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10 dicembre 2020

Vittoria vive in isolamento nella sua stanza perché è risultata positiva al covid-19. Per lei e per tutte le altre settantacinque persone che risiedono nei nuclei per disabili del Piccolo Cottolengo Don Orione di Milano la situazione è più critica rispetto alla prima ondata. Oggi ci sono oltre venti positivi. A differenza degli anni passati non hanno ammirato le luminarie e allestito i festoni. Però l’albero di Natale e il presepe sono presenti, come ogni dicembre. Gli operatori prepareranno i regali per tutti e cucineranno pietanze speciali per un giorno di festa che si cercherà di passare con familiari e amici in diretta via internet. Sarà per tutti un Natale anomalo ma nel quale la principale fonte di gioia resta quella di poter parlare e scambiare gesti di affetto con le persone care. «Ci portano su un piano diverso da quello a cui siamo abituati. Noi siamo frenetici, mentre con loro molte volte occorre un tempo dedicato, mediato e pacato per riuscire a entrare in relazione», spiega a «L’Osservatore Romano» Cristina Chiapella, educatrice e responsabile dell’area disabilità. Un tempo calmo. È il tempo lento che l’umanità vive in questo Avvento anomalo a causa della pandemia.

Vittoria fa parte del comitato ospiti e parenti dal cui impulso è nato questo gruppo che nell’istituto si occupa anche di proporre nuove attività da svolgere o piatti da inserire nel menù. Nonostante la difficile situazione per via del contagio questa donna ha una speranza immensa: «Sto bene, ma questi giorni li sto vivendo un po’ male perché mi manca il mio reparto», racconta Vittoria, che di recente è stata trasferita in un’area dedicata alla quarantena. «È un cambiamento temporaneo — prosegue — ma totale. Ora purtroppo vivo le mie giornate davanti alla televisione, perché con gli educatori non si può fare niente». Nessuna uscita, né momenti di socialità. Per fortuna non mancano le telefonate con il fratello e con i genitori. «Ora hanno chiuso l’accesso alle visite», conclude, «ma ci sentiamo. A volte li vedo in videochiamata, solo che è complicato e quindi preferisco fare una semplice telefonata».

Nella Giornata internazionale per le persone con disabilità (celebrata il 3 dicembre) si è parlato della costruzione nel postpandemia di un mondo più inclusivo, accessibile, sostenibile. Il covid-19 sta avendo un forte impatto sulle loro vite, ma gli strumenti tecnologici sono un sostegno importante. Ad aprile, per esempio, durante il lockdown i giovani del Piccolo Cottolengo hanno aperto un canale Instagram che si chiama “La casa di Ada”, mentre i parenti hanno potuto seguire le cerimonie funebri dei propri cari in diretta internet. La vita è cambiata del tutto. «Il lavoro prima era incentrato molto sui rapporti con le famiglie e sulle uscite all’esterno, perciò ora per alcuni di loro è una grandissima sofferenza», spiega Chiapella. Con l’inizio della pandemia i volontari non sono più potuti entrare nella struttura. Ciò per ridurre al minimo il rischio di contagio. Con la fine della prima ondata, in estate erano riprese le passeggiate al parco e le visite con i familiari in giardino, limitate dalle misure di sicurezza. «A ottobre — racconta — siamo riusciti anche a fare una castagnata grazie a due persone che, con loro immensa gioia, sono uscite a raccogliere le castagne che poi abbiamo distribuito nelle camere».

La quotidianità è cambiata radicalmente. Prima della pandemia la settimana era scandita da attività regolari. La mattina c’era chi faceva colazione al letto o al bar, poi si pranzava insieme, nel pomeriggio si faceva una “merenda socializzante” e poi tutti a cena. Il lunedì iniziava con il laboratorio del legno e della carta. Il martedì si andava al mercato di quartiere con parenti, operatori e volontari. Il mercoledì di nuovo laboratori, altri facevano fisioterapia o frequentavano centri esterni come la bocciofila. Il giovedì tutti in piscina. Il venerdì si guardavano i film sul maxischermo. Tutto questo è stato sospeso, così come la terapia con la musica e i massaggi. Prosegue, invece, l’animazione religiosa: ogni mattina inizia con la preghiera del buongiorno del direttore don Pierangelo Ondei, mentre all’ora di pranzo le suore malgasce recitano una preghiera, ascoltano, imboccano e fanno compagnia ai disabili.

Oggi, questi ultimi, passano gran parte delle 24 ore in camera perché gli spazi comuni vengono utilizzati a turno per garantire il distanziamento sociale. Chi può guarda la tv, ascolta la musica, naviga su Youtube e si circonda di foto dei propri cari. C’è poi l’area covid in cui, dice Chiapella, «da un giorno all’altro un posto che era considerato la propria casa diventa un ospedale. È molto difficile da accettare per alcuni di essi. E anche noi ci sentiamo un po’ frustrati, perché sembra di non riuscire a fare abbastanza». Perché perdere il contatto fisico, soprattutto per chi ha una disabilità grave, sia essa mentale o fisica, è una grande limitazione. Per esempio, alcuni di loro hanno nel tatto l’unico canale di comunicazione: stringono una mano e sentono una carezza. «Ora si fa tutto con i guanti, non c’è altro modo. E se una persona scoppia a piangere», continua la responsabile, la si abbraccia se necessario, pur con la tuta, la maschera e la visiera.

Un prezioso alleato della speranza è l’emozione di potere nuovamente passare l’estate sulla spiaggia attrezzata di Chiavari, in Liguria. Si tornerà a fare le tradizionali grigliate al “Boscoincittà” di Milano e nei prossimi giorni a comprare i regali di Natale al centro commerciale. Ci saranno altri pellegrinaggi a Roma, con le loro carrozzine gli ospiti torneranno in piazza San Pietro e il Papa li accoglierà ancora in udienza salutandoli uno per uno. A maggio si festeggerà san Luigi Orione con familiari e amici. «È difficile generalizzare la disabilità. Ciò che forse accomuna coloro che vivono al Don Orione — conclude l’educatrice — è che hanno bisogno di persone che diventino un po’ le loro protesi: fino a che si riesce lo facciamo accompagnandole, non sostituendoci». Questo gli consente di vivere in modo indipendente, sentendosi inclusi nella collettività, come ricorda l’articolo 19 della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità.

di Giordano Contu