A dieci anni dalla morte di Enzo Bearzot

Il «Vecio» dalla polvere
al trionfo

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10 dicembre 2020

Sono 10 anni che non c’è più Enzo Bearzot, detto il Vecio, l’allenatore del Mundial 1982 che fece impazzire l’Italia in quell’estate torrida di 38 anni fa.

Mediano nell’Italia degli anni ’50, molto Torino nel suo curriculum, tre anni a Catania e una sola presenza in Nazionale da giocatore: un’Ungheria-Italia del 1955 finita 2 a 0, persa solo negli ultimi minuti contro la squadra invincibile di Puskas.

Dopo una parentesi in Federazione, Bearzot diventa Commissario Tecnico della Nazionale nel 1975. Resta in sella fino al 1986, guidando l’Italia attraverso ben tre Mondiali e registrando il record di partite allenate alla guida della prima squadra azzurra: ben centoquattro, contro le novantasette di Vittorio Pozzo.

Nel Mondiale 1978, disputato in pieno inverno nell’Argentina dei generali, l’Italia gioca il suo calcio migliore e viene eliminata per una serie di episodi sfortunati, culminati in alcuni irripetibili gol subiti con tiri da fuori area che misero sul banco degli imputati il povero Dino Zoff, accusato di non parare i tiri da lontano perché ormai vecchio: il portiere friulano si rifarà quattro anni dopo con gli interessi.

Innumerevoli gli aneddoti nel corso del Mondiale 1982: la fiducia incondizionata a un Paolo Rossi appena riemerso da due anni di squalifica, tanto che la battuta a Selvaggi fu: «Franco, vieni, ma non portare le scarpe da calcio»; questo per far capire la cieca fiducia in Pablito, che la presenza di un Pruzzo capocannoniere del campionato avrebbe potuto mettere in crisi dopo le prime prestazioni negative; lo schiaffo rifilato a una tifosa che chiede la convocazione dell’interista Beccalossi, ma che poi, dopo le spiegazioni, lo invita addirittura al suo matrimonio; il commovente bacio che gli stampa sulla guancia in diretta proprio Dino Zoff dopo la vittoria col Brasile: il Vecio passa in un mese dalla polvere al trionfo, senza cedere mai alle lusinghe dei falsi complimenti, la sua tempra non lo consentiva.

Nel Mondiale 1986 Bearzot commette l’errore di non svecchiare abbastanza la squadra, portandosi dietro molti degli eroi del 1982, ma la forza e l’etica del gruppo per lui venivano prima di tutto. Chiedetelo a Roberto Mancini, l’attuale allenatore della Nazionale italiana, che commise l’errore durante una tournée dell’Italia di New York di uscire con Marco Tardelli e fare ritorno in ritiro solo all’alba, venendo messo in disparte, anche se Bearzot confessò di aver sperato che Mancini si scusasse per poterlo perdonare e riconvocare, che alla fine anche il perdono ha un ruolo importante nella gestione del gruppo; ma il sampdoriano per vergogna non si scusò mai, e saltarono per lui i Mondiali 1986.

La modernità di Bearzot allenatore la raccontano le formazioni che metteva in campo, ove si pensi che nel suo calcio presuntamente catenacciaro ha sempre schierato due punte di ruolo, un’ala offensiva e un trequartista.

Nel 1994, annunciando la formazione che scenderà in campo contro il Brasile nel corso della conferenza-stampa prima della Finalissima, Arrigo Sacchi dichiara con orgoglio che per la prima volta nella sua storia l’Italia sta per giocare una finale Mondiale senza schierare né libero né stopper; Bearzot replicherà sorridendo che per la prima volta l’Italia ha giocato una finale senza punte di ruolo in campo (perdendola lasciando in panchina un certo Giuseppe Signori, peraltro).

Il Vecio muore il 21 dicembre 2010, lo stesso giorno di Vittorio Pozzo, lasciando inconsolabili sessanta milioni di commissari tecnici e undici figli: Zoff, Gentile, Cabrini, Oriali, Collovati, Scirea, Conti, Tardelli, Rossi, Antognoni, Graziani. La Squadra che ha battuto il Brasile nel 1982.

di Alessandro Tozzi